martedì 29 luglio 2008

STORIA DI UNA DONNA TRISTE E DEL TUNISINO CON IL MAZZO DI ROSE

La donna uscì di casa di fretta, aveva poco tempo. I tacchi a spillo cominciarono a farle male dopo non appena cento metri, ma era pronta a sopportare il dolore, doveva solo fare attenzione a non inciampare. Poco a poco, cominciò ad abituarsi alla strana andatura che i tacchi le conferivano… cominciò ad apprezzare il breve suono secco dei tacchi sul marciapiede, suono che palesava il ritmo teso dei suoi passi. Conosceva il café dove i suoi tacchi a spillo la stavano conducendo. Piazza 25 aprile, Café Italia. Il miglior café della città. Si fermò un istante, affascinata dalla sua ombra slanciata contro il muro. La donna constatò soddisfatta che il reggiseno puh-up che aveva indossato per l’occasione concedeva al suo seno una mezza misura in più. Si toccò i capelli, erano morbidi come seta e profumavano ancora di balsamo al cocco. Riprese a camminare, rassicurata sul suo aspetto, ma notò che qualcuno la stava guardando. Si voltò e vide il sorriso giallo di un marocchino (in realtà era tunisino, ma la donna non lo sapeva e credeva fosse marocchino) che le tendeva una rosa rossa con una mano, mentre con l’altro braccio ne serrava un mazzo intero. –bella rosa per bella signora?- chiese con tono confidenziale. La donna si irrigidì, odiava questo tipo di situazioni. Perchè questa gente non si trova un lavoro invece di andare ad importunare le brave persone? –no guarda, lascia stare- rispose la donna con tono infastidito. Il marocchino non sembrava aver percepito il livello di fastidio presente nella sua voce, perchè aggiunse con lo stesso sorriso da venditore ambulante -costa poco, bella rosa per bella signora-… -non voglio le tue rose, scusa ma devo andare- tagliò corto la donna allungando il passo e aumentando la pressione delle dita sulla sua borsa, nel caso in cui il marocchino decidesse di strappargliela di mano. Il marocchino non insistette e lei scivolò velocemente dietro l’angolo. Perchè vengono qui, questi marocchini? Noi italiani andiamo forse in Marocco ad imporre la nostra presenza e le nostre leggi?
Il suono delle campane interruppe i pensieri della donna, ricordandole il suo appuntamento. Oddio, sarebbe arrivata in ritardo. Allungò ulteriormente il passo e arrivò in Piazza 25 aprile in meno di cinque minuti. Il café era quello a destra della fontana, vicino alla tabaccheria. Lui non era ancora arrivato. Si sedette ad un tavolino all’ombra dei grandi ombrelloni verdi che coprivano la terrazza del café. Lanciò un’occhiata intorno. Di fronte c’era il café Valencia, quello frequentato dai marocchini della città. Erano lì… parlavano, ridevano, scherzavano, si chiamavano in arabo. “L’arabo! Che brutta lingua! Mica come l’italiano” pensò la donna con leggero disprezzo. Ma ora non aveva tempo di pensare all’arabo. Controllò il cellulare. Nessuna chiamata. Erano le 17.30….. l’appuntamento era fissato per le 17.15. Avrà avuto problemi con il traffico? Lei abitava relativamente vicina a Piazza 25 aprile, ma lui per spostarsi doveva prendere la BMW. Aspettò e fumò una sigaretta. Gli arabi del café Valencia sembravano presi da un discorso importante. Alcuni parlavano concitati, altri ascoltavano rapiti. Poi tutti scoppiarono in risate. Una discussione politica terminata con una barzelletta? Si accese un’altra sigaretta. Erano le 17.45… nessuna chiamata sul cellulare. Altra sigaretta, erano le 18.15… un’ora di ritardo. Lo chiamò, ma IL CLIENTE DA LEI SELEZIONATO NON è AL MOMENTO RAGGIUNGUBILE, LA PREGHIAMO DI RIPROVARE Più TARDI. Il cuore cominciò a batterle forte in petto, ma si calmò all’idea che forse avrà avuto qualche problema con il traffico e con il parcheggio. Forse doveva passare in ufficio, prima. è un uomo d’affari, Lui. Finì il pacchetto di sigarette alle 18.45…. SMS! Finalmente avrebbe saputo perchè era così in ritardo. Le mani le tremavano prendendo in mano il cellulare e per tre volte non riuscì a sbloccare la tastiera, tanto era la sua agitazione. 1 messaggio ricevuto. Leggi. Lui. Leggi. SCUSA. NON POSSO VENIRE. CIAO. Non poteva essere vero. Rilesse il messaggio tre volte prima di crederci. Poi il mondo le cadde addosso. Neanche una misera spiegazione riciclata. Il messaggio era chiaro: non la voleva più. Trasognata, tirò fuori dal suo portafoglio CK i spicci necessari per il succo d’arancia che aveva ordinato per poter restare seduta ad aspettarlo. Poi si alzò, miseramente, inciampando nella sedia del tavolino vicino. Si allontanò dal café a passi lenti, a testa bassa. Le veniva da piangere, ma si trattenne e decise di andare ai giardini pubblici Vivaldi, dove conosceva una panchina abbastanza isolata dove avrebbe potuto starsene un po’ in pace a digerire il Suo messaggio.
La panchina era fredda e un po’ umida, l’aria attorno era un po’ più fresca grazie agli alti alberi che regalavano ombra a coloro che si rifugiavano sotto la loro ampia chioma. La donna vi si sedette e aspettò la sera che scivolava lentamente sulla città, allungando le ombre e facendo arrossire il cielo. All’improvviso sentì un fruscio accanto a sé e vide che un uomo le si era seduto accanto. Reggeva un mazzo di rose rosse in braccio. La donna studiò per un attimo il suo viso e riconobbe il marocchino di poche ore prima. Il mazzo che stingeva al petto non sembrava essere diminuito di una sola rosa. L’uomo sospirò lungamente, era scuro in volto, scuro nello sguardo, scuro nell’umore. Ma questo la donna non l’aveva notato. Lei si chiedeva perchè si era seduto proprio lì. “Non c’era un’altra panchina libera?” pensava. Cercò di dissimulare l’imbarazzo evitando il suo sguardo ma il marocchino le chiese con tono affabile –signora, che ore sono?- “ecco! Ora mi chiede l’ora e poi cercherà attaccare bottone!” -19.20- rispose secca. –grazie, devo andare. Prenda questa- gli disse il marocchino tendendogli una rosa –signora triste, non paga- aggiunse voltando le spalle. La donna rimase in silenzio, con la rosa in mano, a guardare l’uomo che si allontanava.

Continua...

lunedì 28 luglio 2008

Il numero di immigrati cresce a vista d'occhio: ma è vera invasione?

Sicilia: triplicati gli arrivi nel primo semestre


Aumentano gli sbarchi in Sicilia. Sempre più donne. Sempre più richiedenti asilo. Sempre meno marocchini e egiziani. A fotografare il nuovo volto degli immigrati che raggiungono le coste siciliane sono i dati ufficiali diffusi dal Ministero dell’Interno lo scorso 8 luglio. Nei primi sei mesi del 2008 sono sbarcate in Italia 11.949 persone. Il triplo dei 3.158 che avevano fatto ingresso nel nostro Paese nello stesso periodo 2007. Una media di 66 persone al giorno, contro i 55 al giorno del 2007, quando nell’intero anno arrivarono 20.455 persone. Le imbarcazioni intercettate sono state 258. In media su ognuna viaggiavano 46 passeggeri; erano 34 nel 2007 e 44 nel 2008.
E all’aumento degli arrivi corrisponde, inevitabilmente, un aumento delle vittime: 387 quelle documentate dalla stampa nel primo semestre, contro le 556 di tutto il 2007. Ma il dato potrebbe essere molto più elevato a causa del numero imprecisato di dispersi causati da una serie di naufragi fantasma di cui sono stati ritrovati soltanto alcuni cadaveri in alto mare.

Nel dettaglio, aumentano le donne (11% contro l’8% del 2007), il cui numero nei primi sei mesi dell’anno ha già eguagliato quello dell’intero 2007. Mentre si assiste a un drastico cambiamento nel panorama delle nazionalità. Crollano gli arrivi dai Paesi del Maghreb. Gli egiziani passano dai 5.131 dell’intero 2007 ai 557 del primo semestre 2008. E così i marocchini, dai 2.341 agli 849. Più stabile il numero dei tunisini (1.287), che dopo Somalia e Nigeria rappresentano la terza nazionalità. Il 75% di chi sbarca in Sicilia arriva - nell’ordine - da Somalia (2.556 persone), Nigeria (1.859), Tunisia (1.287), Ghana (853), Marocco (849), Egitto (557), Burkina Faso (290), Costa d’Avorio (277), Eritrea (240) e Togo (202).

Da notare l’aumento deciso del numero dei somali, passati dagli 892 di tutto il 2007 ai 2.556 del primo semestre di quest’anno. La situazione in Somalia è disperata. Senza un governo da 17 anni, il Paese è esasperato ogni giorno dalla guerra, dopo che alla fine del 2006 la forza militare guidata dall’Etiopia ha vinto sul campo le Corti islamiche. Una situazione che spinge ogni anno centinaia di migliaia di somali a lasciare il Paese, per lo più attraversando il Golfo di Aden verso lo Yemen, oppure tentando la rotta libica verso l’Italia o quella turca verso la Grecia.

Altro dato su cui riflettere è il crollo degli sbarchi degli eritrei. In tutto il 2007 ne erano arrivati 3.007. E dall’aprile 2005 se ne contavano almeno 6.000. Eppure nei primi sei mesi del 2008 ne sono arrivati soltanto 240. La situazione in patria non è migliorata. Un recente reportage della Reuters denuncia le dure condizioni imposte dalla coscrizione militare a tempo indeterminato, che costringe ormai 320.000 ragazzi e ragazze a servire l’esercito per 20 dollari al mese, in un paese che conta 4,7 milioni di abitanti. Ma sulle vie della diaspora eritrea la rotta libica sembra ormai essersi chiusa. Oltre 700 eritrei sono detenuti da più di due anni nel carcere libico di Misratah. E altri 1.500 sono stati arrestati in Egitto, lungo la nuova rotta che dal Sudan, via Assuan e Il Cairo, porta in Israele. Mille di loro sono già stati rimpatriati, nonostante le proteste delle associazioni di eritrei, da Roma a Addis Abeba. Della loro sorte non si ha notizia.

Contro chi grida all’invasione, i dati sugli sbarchi vanno contestualizzati. Nei primi quattro mesi del 2008 sono state presentate in Italia 4.237 richieste di asilo politico. In tutto il 2007 erano state 14.053. Il 10% delle domande sono state accolte, e il 47% ha avuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma quanti sono i rifugiati nel mondo? Alla fine del 2007, secondo l’ultimo rapporto dell’Alto commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, i rifugiati politici e gli sfollati interni, fuggiti a guerre o persecuzioni, erano almeno 31,7 milioni. L’80% è ospitato da Paesi non industrializzati. Il maggior numero dei rifugiati nel 2007 era accolto in Pakistan, Siria, Iran, Germania e Giordania.

Un ultimo cenno infine va fatto al fallimento del meccanismo delle quote di ingressi per motivi di lavoro. Perché non si può dimenticare che i due terzi di chi rischia la vita nel Canale di Sicilia sono lavoratori in cerca di salari migliori. La legge concede ogni anno quote di ingressi per alcuni Paesi, previa dichiarazione di assunzione del datore di lavoro. Il visto di ingresso va ritirato presso l’Ambasciata italiana nel proprio Paese. Peccato che per trovare il datore di lavoro si debba prima venire in Italia e farsi conoscere. Il 90% lo fa con un visto turistico. Gli altri via mare. E una volta in Italia, dopo anni di lavoro nero, ottenuta la dichiarazione di assunzione, si tenta di tornare. Ma è una lotteria. E i dati lo confermano. Secondo un’inchiesta di Metropoli del 20 luglio 2008, dei 300.000 visti di ingresso rilasciati nel 2006, ben 89.000 non sono mai stati ritirati. Uno su quattro. Perché è tutta una farsa. I lavoratori sono già in Italia, e per molti di loro tornare significa rischiare un provvedimento di espulsione. Rimarranno qui. A lavorare nei nostri cantieri e nelle nostre case. Senza carte né diritti. E il gioco si ripete ogni anno. Nel 2007 il governo ha assegnato 170.000 ingressi. Sono state presentate 650.000 richieste. La maggior parte dei lavoratori vive già in Italia. La maggior parte non avrà il nulla osta. E tra chi lo avrà, uno su quattro non potrà tornare in patria per ritirare il visto di ingresso.

di Gabriele Del Grande


Continua...

sabato 26 luglio 2008

Mare mostrum

Estate. Tempo di mare. Tempo di vacanze sotto l’ombrellone. Migliaia di chilometri di spiagge che si animano di turisti in cerca di relax o di divertimento. Giochi in acqua e sulla spiaggia.
Estate. Tempo di mare calmo. Tempo di traversate di clandestini. Tempo di morte. Guadagni di una vita di un’intera famiglia stipati come sardine sopra un pezzo di legno chiamato barca, per una speranza fasulla. Guadagni, illusioni, vite nelle mani della criminalità.
E intanto noi non vediamo uomini disperati in fuga da guerre, da miseria, da persecuzioni, ma solo forza lavoro, che in alcuni casi ci fa comodo ed in altri no.
Non abbiamo il coraggio di vedere in quegli occhi speranze, sogni, apsettative, rifiutandoci del fatto che anche un clandestino è un essere umano, con una sua storia.
Estate. Tempo di stato d'emergenza...

Continua...

domenica 20 luglio 2008

La Storia delle cose Parte 1

Annie Leonard ci spiega qual'è il problema della corsa al consumismo iniziata negli anni 50. Il perchè oggi ci stiamo dirigendo contro un muro.
Si ringrazia il progetto dePILiamoci a cura di Roberto Lorusso e Nello De Padova per la traduzione e il doppiaggio italiano


Continua...

La Storia delle cose Parte 2


Continua...

La Storia delle cose Parte 3


Continua...

sabato 19 luglio 2008

SQKUOLA: CONSIDERAZIONI SPARSE DI UNA 17ENNE CHE AMA E ODIA LA SUA SCUOLA

In risposta al post del nostro tenero professorino di fisica e matematica fresco di laurea che si sta abituando gradualmente al suo eroico mestiere, ecco alcune considerazioni sulla vita scolastica di una ragazza che ha concluso il terzo anno di liceo linguistico e che, volente o nolente, si trova sempre dalla parte sbagliata della barricata, di qualsiasi barricata si tratti. Chiedo scusa in anticipo per la disorganicità con la quale esporrò queste considerazioni.

Garantirsi una sopravvivenza a scuola non è poi tanto difficile. Basta abituarsi a certe cose.

Agli odori, per esempio. L’odore della scuola è un odore inconfondibile, dolciastro e un po’ nauseante, ma anche estremamente rassicurante perchè lo conosciamo bene, ci viviamo dentro nove mesi all’anno fin da quando eravamo marmocchi di prima elementare.
A settembre, i cancelli della scuola riaprono, sorridendo (ironici) alla folla di studenti che prendendo un bel respiro si tuffa in quell’odore familiare che sa di abitudine, di routine, di tempo arrugginito, di vocabolari che hanno servito a non so quante generazioni di studenti, di gesso nuovo, di detersivo (che i bidelli utilizzano per pulire la scuola ed esorcizzarla in questo modo da altri odori), di sudore sotto le ascelle e di fulminanti tempeste ormonali. È sempre un po’ uno shock entrare in una scuola dopo tre mesi di (presunte) vacanze, bisogna aspettare qualche tempo prima di riconciliarsi con questa miscela di odori che aleggerà su di noi, entrando nei nostri vestiti e impregnando la nostra vita.

Una volta fatta l’abitudine all’inconfondibile “odore della scuola”, ci è possibile capire come procede la vita in questa micro-società che funziona come tale e che riproduce in sè tutti gli schemi e tutte le regole della “grande” società esterna.
Dal punto di vista sociale, ci sono codici di comportamento da rispettare, norme relazionali che regolano i rapporti tra studenti, tra professori, tra studenti e professori.
Prendiamo ad esempio una normalissima classe di terza liceo. Al suo interno, ci saranno i forti e i deboli, i secchioni e i buffoni, le troiette e le verginelle, i fighi e gli sfigati, i discotecari e gli intellettuali (i secondi in netta minoranza rispetto ai primi). Gli strambi. Ad ognuno la sua etichetta, appiccicata alla schiena con una colla che altro che UHU o VINAVIL…. e così è per i professori. Ci sono i larghi e gli stitici (in fatto di voti, s’intende), i bravi e i noiosi, i parziali e gli imparziali… si va così a delineare una geografia sociale che assegna ad ognuno un ruolo e guai a ribellarsi ad un’etichetta che è stata appiccicata con il consenso della maggioranza. Se quel professore è stato definito Noioso, guai a chi mostra troppo interesse alle sue lezioni. Se quel ragazzo è stato definito Sfigato, chiunque gli si avvicini ne condividerà la sorte in quanto Amico Dello Sfigato. Ci sono tantissimi ragazzi che assorbono queste etichette, le fanno proprie, imparano a capire da che parte conviene stare se si vuol aver la pace. E poi ci sono quelli che fino alla fine non capiscono un accidenti (e fra quelli ci sono io). Convinta che le etichette le avessimo abbandonate alle scuole medie… finisco sempre per ritrovarmi dalla parte “sbagliata” della barricata. Un pò per rispettare i miei principi, un pò perchè ce l'ho nel DNA. Ma di questo non mi lamento.
Omologarsi, entrare nell’anonimato, conformarsi al resto del gruppo… diventare Mister Chiunque. La scuola, che pretende di tirar fuori il meglio da ognuno e che finge di formare e di incoraggiare il senso critico degli studenti, è complice invece di una società stagnante, dove gli ultimi rimangono gli ultimi e i primi rimangono i primi. Non è colpa dei professori (potrei nominarne alcuni che davvero ci insegnano qualcosa, e potrei nominarne moltissimi che veramente ci provano). È colpa del sistema scolastico in sé, che pur di continuare a sopravvivere come istituzione evita ogni disaccordo con la società ed educa i giovani di oggi nel modo più “sicuro” possibile, imprigionando la cultura in modo molto "didattico" e "accademico"...
Questo lo si vede dai programmi. Ad esempio: letteratura. Sempre e solo i venti-trenta autori “seri” e “classici” della “nobile letteratura italiana”. In quanto studentessa del liceo linguistico, il mio programma di letteratura italiana prevede lo studio della Divina Commedia spalmato lungo tutto il triennio come la marmellata d’albicocche sul pane. In terzo si studia l’Inferno, in quarto il Purgatorio, in quinto il Paradiso. Tre anni passati a studiare una sola opera nel modo più scolastico e didattico possibile. Non ho nulla contro il caro vecchio Dante e anzi lo apprezzo molto. La letteratura dei “grandi” non deve certo essere trascurata, ma c’è anche una miriade di poeti e scrittori (anche contemporanei) che meritano di essere letti ma che nessuno legge mai, nessuno considera mai abbastanza “istruttivi” per poter far parte di un programma scolastico (o se ne fanno parte, vengono rapidamente liquidati in un quarto d’ora di lezione).

Il bello della scuola è studiare non solo per arraffare una dannata sufficienza, ma anche per il solo gusto di imparare. Più spesso però la scuola viene vista unicamente come un campo di addestramento per piccoli soldati di piombo che devono fare ciò che gli viene chiesto senza riflettere al perchè delle cose.

E poi questa storia dei voti, dei mezzi voti, dei tre quarti di voto… decimi di voto che possono far la differenza fra una sufficienza e un’insufficienza, decimi di voto per i quali molti studenti si battono e si stressano tutto l’anno… decimi di voto che i professori dispensano per graziare uno studente in pericolo o gratificare uno studente particolarmente secchione. Voti che si dividono in due, in quattro, in sei… un più di qua, un meno di là… e così tutto il sapere che viene insegnato viene trasformato in una serie di numeri e di segni che vengono trascritti nel registro. Ci sono ragazze che piangerebbero per un mezzo voto in più, che si dispererebbero se la media finale di tutti i voti fosse di un decimo inferiore a quella dell’anno scorso. Tutta questa fiscalità mi da spesso la nausea, mi da la sensazione che tutto alla fine debba ridursi a questo: a un cinquepiù, a un novemeno, a un settemezzo… dimenticando così tutto il bello che c’è nello studiare. So bene che della valutazione non possiamo fare a meno (sarebbe impossibile da ogni punto di vista immaginare un sistema scolastico privo di sistema di valutazione), ma a volte mi sembra che l’ansia dei voti alti superi il limite del normale e che il vero scopo della scuola (istruire) passi in secondo piano.

Un’altra cosa della quale mi sento profondamente stanca… sono i progetti della scuola. Educazione alla sessualità, educazione all’ambiente, educazione alla legalità… tutte cose che in principio non sarebbero neanche male, ma che in pratica si riducono a un lungo, monotono blabla di esperti e a un non-coinvolgimento degli studenti, che restano a guardare attoniti “quel tizio” che parla mentre il cervello comincia a svolazzare per i cazzi suoi. Odio tutti quei progetti che vengono introdotti con un’ora di discorsi circolari, perchè puzzano di burocrazia… in un’ora di progetto “educazione alla sessualità” è estremamente raro che escano fuori i veri problemi dei giovani riguardo all’amore o al sesso… tutto rimane un enorme minestrone di belle parole farcite di ipocrisia che gli “esperti” riversano sugli studenti annoiati e/o cinici. L’ho detto, l’idea di fondo sarebbe anche buona. Ma è troppo evidente che il serpente della burocrazia striscia anche fra i numerosi progetti finanziati dal Comune, dalla Regione o da vattelapesca, e che è più un modo di spendere soldi che un modo per istruire i ragazzi a determinati temi. Ciò non toglie che esistano dei progetti validi e coraggiosi, iniziative che vanno aldilà delle parole e che riescono a rompere l’equazione “progettino mandato dall’autorità di turno = meno ore di lezione ma noia assicurata lo stesso”. Solo che questi progetti sono estremamente rari.

E poi… e poi ci sono le assemblee di classe, le assemblee d’Istituto… ho visto assemblee di classe trasformarsi in feroci liti e assemblee d’Istituto ridursi ad un magro gruppetto di ascoltatori radunati intorno all’oratore di turno. Si sta ore a parlare di nulla, si sta ore ad incazzarsi per nulla e si sta ore a sperare che il nulla diventi qualcosa. Al minimo commento, subito l’arena si mette a gridare e a reclamare la testa del provocatore su un piatto d’argento… prima di riaddormentarsi non appena passata la stimolante bufera.

Ma in fondo… Garantirsi una sopravvivenza a scuola non è poi tanto difficile. Basta abituarsi a certe cose.

Continua...

"Lettera agli amici" di Padre Alex Zanotelli

Napoli, 12 luglio 2008

LETTERA AGLI AMICI

“ E’ AL COLMO LA FECCIA”

Carissimi,

è con la rabbia in corpo che vi scrivo questa lettera dai bassi di Napoli, dal Rione Sanità nel cuore di quest’estate infuocata. La mia è una rabbia lacerante perché oggi la Menzogna è diventata la Verità. Il mio lamento è così ben espresso da un credente ebreo nel Salmo 12

“ Solo falsità l’uno all’altro si dicono:
bocche piene di menzogna,
tutti a nascondere ciò che tramano in cuore.
Come rettili strisciano,
e i più vili emergono,
è al colmo la feccia.”

Quando, dopo Korogocho,ho scelto di vivere a Napoli, non avrei mai pensato che mi sarei trovato a vivere le stesse lotte. Sono passato dalla discarica di Nairobi, a fianco della baraccopoli di Korogocho alle lotte di Napoli contro le discariche e gli inceneritori.Sono convinto che Napoli è solo la punta dell’iceberg di un problema che ci sommerge tutti.Infatti, se a questo mondo, gli oltre sei miliardi di esseri umani vivessero come viviamo noi ricchi (l’11% del mondo consuma l’88% delle risorse del pianeta!) avremmo bisogno di altri quattro pianeti come risorse e di altro quattro come discariche ove buttare i nostri rifiuti. I poveri di Korogocho, che vivono sulla discarica, mi hanno insegnato a riciclare tutto , a riusare tutto, a riparare tutto, a rivendere tutto, ma soprattutto a vivere con sobrietà.

E’ stata una grande lezione che mi aiuta oggi a leggere la situazione dei rifiuti a Napoli e in Campania, regione ridotta da vent’anni a sversatoio nazionale dei rifiuti tossici.Infatti esponenti della camorra in combutta con logge massoniche coperte e politici locali, avevano deciso nel 1989, nel ristorante “La Taverna” di Villaricca, di sversare i rifiuti tossici in Campania. Questo perché diventava sempre più difficile seppellire i nostri rifiuti in Somalia. Migliaia di Tir sono arrivati da ogni parte di Italia carichi di rifiuti tossici e sono stati sepolti dalla camorra nel Triangolo della morte (Acerra-Nola- Marigliano), nelle Terre dei fuochi ( Nord di Napoli ) e nelle campagne del Casertano. Questi rifiuti tossici “bombardano” oggi, in particolare i neonati, con diossine, nanoparticelle che producono tumori, malformazioni , leucemie……

Il documentario Biutiful Cauntri esprime bene quanto vi racconto .

A cui bisogna aggiungere il disastro della politica ormai subordinata ai potentati economici-finanziari. Infatti questa regione è stata gestita dal 1994 da 10 commissari straordinari per i rifiuti, scelti dai vari governi nazionali che si sono succeduti. (E’ sempre più chiaro, per me, l’intreccio fra politica, potentati economici-finanziari, camorra, logge massoniche coperte e servizi segreti!). In 15 anni i commissari straordinari hanno speso oltre due miliardi di euro, per produrre oltre sette milioni di tonnellate di “ecoballe”, che di eco non hanno proprio nulla : sono rifiuti tal quale, avvolti in plastica che non si possono nè incenerire (la Campania è già un disastro ecologico!) né seppellire perché inquinerebbero le falde acquifere. Buona parte di queste ecoballe, accatastate fuori la città di Giugliano, infestano con il loro percolato quelle splendide campagne denominate “Taverna del re “.

E così siamo giunti al disastro ! Oggi la Campania ha raggiunto gli stessi livelli di tumore del Nord-Est, che però ha fabbriche e lavoro. Noi, senza fabbriche e senza lavoro, per i rifiuti siamo condannati alla stessa sorte. Il nostro non è un disastro ecologico-lo dico con rabbia- ma un crimine ecologico, frutto di decisioni politiche che coprono enormi interessi finanziari. Ne è prova il fatto che Prodi, a governo scaduto, abbia firmato due ordinanze:una che permetteva di bruciare le ecoballe di Giugliano nell’inceneritore di Acerra, l’altra che permetteva di dare il Cip 6 ( la bolletta che paghiamo all’Enel per le energie rinnovabili) ai 3 inceneritori della Campania che “trasformano la merda in oro- come dice Guido Viale-Quanto più merda , tanto più oro!”

Ulteriore rabbia quando il governo Berlusconi ha firmato il nuovo decreto n.90 sui rifiuti in Campania. Berlusconi ci impone, con la forza militare, di costruire 10 discariche e quattro inceneritori. Se i 4 inceneritori funzionassero, la Campania dovrebbe importare rifiuti da altrove per farli funzionare.Da solo l’inceneritore di Acerra potrebbe bruciare 800.000 tonnellate all’anno! E’ chiaro allora che non si vuole fare la raccolta differenziata, perché se venisse fatta seriamente ( al 70 %), non ci sarebbe bisogno di quegli inceneritori. E’ da 14 anni che non c’è volontà politica di fare la raccolta differenziata. Non sono i napoletani che non la vogliono, ma i politici che la ostacolano perché devono ubbidire ai potentati economici-finanziari promotori degli inceneritori. E tutto questo ci viene imposto con la forza militare vietando ogni resistenza o dissenso, pena la prigione.Le conseguenze di questo decreto per la Campania sono devastanti. "Se tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge (articolo 3 della Costituzione), i Campani saranno meno uguali, avranno meno dignità sociale-così afferma un recente Appello ai Parlamentari Campani Ciò che è definito “tossico” altrove, anche sulla base normativa comunitaria, in Campania non lo è; ciò che altrove è considerato “pericoloso” qui non lo sarà. Le regole di tutela ambientale e salvaguardia e controllo sanitario, qui non saranno in vigore. La polizia giudiziaria e la magistratura in tema di repressione di violazioni della normativa sui rifiuti, hanno meno poteri che nel resto d’Italia e i nuovi tribunali speciali per la loro smisurata competenza e novità, non saranno in grado di tutelare, come altrove accade, i diritti dei Campani”.

Davanti a tutto questo, ho diritto ad indignarmi. Per me è una questione etica e morale. Ci devo essere come prete, come missionario. Se lotto contro l’aborto e l’eutanasia, devo esserci nella lotta su tutto questo che costituisce una grande minaccia alla salute dei cittadini campani. Il decreto Berlusconi straccia il diritto alla salute dei cittadini Campani.

Per questo sono andato con tanta indignazione in corpo all’inceneritore di Acerra, a contestare la conferenza stampa di Berlusconi , organizzata nel cuore del Mostro, come lo chiama la gente. Eravamo pochi, forse un centinaio di persone. (La gente di Acerra, dopo le botte del 29 agosto 2004 da parte delle forze dell’ordine,è terrorizzata e ha paura di scendere in campo). Abbiamo tentato di dire il nostro no a quanto stava accadendo. Abbiamo distribuito alla stampa i volantini: "Lutto cittadino. La democrazia è morta ad Acerra. Ne danno il triste annuncio il presidente Berlusconi e il sottosegretario Bertolaso." Nella conferenza stampa (non ci è stato permesso parteciparvi!) Berlusconi ha chiesto scusa alla Fibe per tutto quello che ha “subito” per costruire l’inceneritore ad Acerra! (Ricordo che la Fibe è sotto processo oggi !) . Uno schiaffo ai giudici! Bertolaso ha annunciato che aveva firmato il giorno prima l’ordinanza con la Fibe perché finisse i lavori! Poi ha annunciato che avrebbe scelto con trattativa privata, una delle tre o quattro ditte italiane e una straniera, a gestire i rifiuti. Quella italiana sarà quasi certamente la A2A (la multiservizi di Brescia e Milano) e quella straniera è la Veolia, la più grande multinazionale dell’acqua e la seconda al mondo per i rifiuti. Sarà quasi certamente Veolia a papparsi il bocconcino e così, dopo i rifiuti , si papperà anche l’acqua di Napoli. Che vergogna! E’ la stravittoria dei potentati economici-finanziari, il cui unico scopo è fare soldi in barba a tutti noi che diventiamo le nuove cavie. Sono infatti convinto che la Campania è diventata oggi un ottimo esempio di quello che la Naomi Klein nel suo libro Shock Economy, chiama appunto l’economia di shock! Lì dove c’è emergenza grave viene permesso ai potentati economico-finanziari di fare cose che non potrebbero fare in circostanze normali. Se funziona in Campania, lo si ripeterà altrove. (New Orleans dopo Katrina insegna!).

E per farci digerire questa pillola amara, O’ Sistema ci invierà un migliaio di volontari per aiutare gli imbecilli dei napoletani a fare la raccolta differenziata, un migliaio di alpini per sostenere l’operazione e trecento psicologi per oleare questa operazione!! Ma a che punto siamo arrivati in
questo paese!?! Mi indigno profondamente! E proclamo la mia solidarietà a questo popolo massacrato! "Padre Alex e i suoi fratelli " era scritto in una fotografia apparsa su Tempi(inserto di La Repubblica ). Sì , sono fiero di essere a Napoli in questo momento così tragico con i miei fratelli (e sorelle) di Savignano Irpino,espropriati del loro terreno seminato a novembre , con i miei fratelli di Chiaiano, costretti ad accedere nelle proprie abitazioni con un pass perchè sotto sorveglianza militare .

Per questo, con i comitati come Allarme rifiuti tossici , con le reti come Lilliput e con tanti gruppi, continueremo a resistere in Campania. Non ci arrenderemo. Vi chiedo di condividere questa rabbia, questa collera contro un Sistema economico-finanziario che ammazza ed uccide non solo i poveri del Sud del mondo, ma anche i poveri nel cuore dell’Impero. Trovo conforto nelle parole del grande resistente contro Hitler, il pastore luterano danese, Kaj Munk ucciso dai nazisti nel 1944 . "Qual è dunque il compito del predicatore oggi ? Dovrei rispondere: fede, speranza e carità. Sembra una bella risposta. Ma vorrei dire piuttosto: coraggio. Ma no, neppure questo è abbastanza provocatorio per costituire l’intera verità.....Il nostro compito oggi è la temerarietà..Perchè ciò di cui come Chiesa manchiamo non è certamente né di psicologia né di letteratura.Quello che a noi manca è una santa collera."

Davanti alla Menzogna che furoreggia in questa regione campana, non ci resta che una santa collera. Una collera che vorrei vedere nei miei concittadini, ma anche nella mia Chiesa. “ I simboli della Chiesa Cristiana sono sempre stati il leone, l’agnello, la colomba e il pesce-diceva sempre Kaj Munk-Ma mai il camaleonte.”

Vi scrivo questo al ritorno della manifestazione tenutasi nelle strade di Chiaiano, contro l’occupazione militare della cava.Invece di aspettare il giudizio dei tecnici sull’idoneità della cava, Bertolaso ha inviato l’esercito per occuparla. La gente di Chiaiano si sente raggirata, abbandonata e tradita .

Non abbandonateci. E’ questione di vita o di morte per tutti. E’ con tanta rabbia che ve lo scrivo.

Resistiamo!


Alex Zanotelli



Di Padre Alex Zanotelli, leggi nel blog anche la lettera a Beppe Grillo.

Continua...

giovedì 17 luglio 2008

SKQUOLA: alcune considerazioni di un professorino giovane giovane sulle complesse problematiche della struttura educativa italiana.

Anno Scolastico 2007-2008: un ventisettenne sbarbatello fresco di laurea intraprende la strada dell’insegnamento nella scuola superiore italiana e viene assunto come professore di matematica e di fisica. Il ragazzo può definirsi fortunato perchè riesce fin da subito, nonostante le problematiche occupazionali che investono oggi la categoria dei docenti, a fare il pieno delle ore disponibili. Le due sedi in cui viene convocato (Norcia e Umbertide) non sono esattamente il massimo della comodità, distano rispettivamente 85 e 40 km dalla sua abitazione, ma la cosa è da mettere in conto e non gli fa paura. Imparerà a guidare come un pilota automatico, senza intoppi né esitazioni, e i 900 km da percorrere ogni settimana voleranno via veloci sul ciglio della strada. Il duplice incarico gli pone davanti una grande molteplicità di esperienze: a Norcia insegnerà fisica a tre classi dei Geometri e matematica ad una classe dell’Igea. Ad Umbertide invece avrà di fronte persone adulte, generalmente più grandi di lui, uomini e donne che hanno deciso di rimettersi in gioco e di prendersi quel diploma non conseguito prima per chissà quali circostanze della vita. In brevissima sintesi…ecco il mio primo anno di lavoro. Un anno impegnativo, senza soste, esaltante e deprimente allo stesso tempo, pieno di mazzate psicologhe pazzesche e di gratificazioni incredibili nei momenti più inaspettati.

A dieci anni di distanza dal mio esame di maturità, rientro nella scuola saltando dall’altra parte della barricata. Per certi versi, non ci ho messo molto a calarmi nei nuovi panni di professore e per averne conferma, chiedere ai miei ciccini. Quante prediche pallose, sull’importanza dello studio o sulla necessità di avere una condotta adeguata al contesto, si sono dovuti sorbettare; quante insufficienze nei compiti e quanti richiami ad impegnarsi di più, destinati puntualmente ad entrare in un orecchio e ad uscire dall’altro. Forse da questo punto di vista, è cambiato ben poco rispetto a dieci ani fa. Ho notato invece un deterioramento notevole dei livelli di conoscenza: questi ragazzi non hanno più capacità di concentrazione né metodo di studio, aprono il libro una volta ogni tanto per fargli prendere aria, hanno grosse difficoltà ad affrontare gli argomenti proposti e spesso e volentieri non ci provano nemmeno.

D’altra parte insegnare le funzioni o i principi della dinamica a dei ragazzetti il cui pensiero unico è quello di trombarsi la compagna di banco nel caso dei maschi, di non mi chiedete cosa (perché tanto le donne io non le capisco e mai le capirò, a maggior ragione a questa età) ma qualunque cosa sia, certamente non è lo studio nel caso delle femmine, risulta impresa quanto mai ardua. In materie come le mie, dove impegno costante e capacità di concentrazione sono qualità assolutamente necessarie, bisogna inventarsi di tutto per conquistare un minimo della loro attenzione; e così la caduta dei gravi si trasforma in una trattazione dettagliata del bungee jumping (naturalmente la domanda fondamentale diventa se il professore si è mai buttato da un ponte e se lo ha fatto con o senza corda), le forze uguali e discordi si tramutano in due renne che fanno a capocciate tra di loro; l’elettrizzazione per strofinio con un panno di lana si evolve in un nuovo fenomeno fisico, noto come elettrizzazione per T., dal nome dello scienziato, pardon…l’alunno, che ha elettrizzato con i suoi lunghi capelli ricci una bacchetta di plastica, rendendola capace di attirare piccoli pezzi di carta. Funzionava veramente!

Essere insegnante oggi significa essere: psicologo, motivatore, assistente sociale, mediatore culturale, ideatore di progetti, esperto informatico, tecnico di laboratorio, burocrate e anche un poco domatore di leoni. Una molteplicità variegata di compiti diversi, in cui però passa in secondo piano quello che dovrebbe essere il ruolo principale: ovvero, l’insegnante. E’ giusto che quella del docente sia una figura completa con competenze a tutto tondo, ma fino a non troppo tempo fa la mansione più importante del nostro mestiere era quella di trasmettere i contenuti fondamentali delle discipline per creare una conoscenza condivisa tra tutte le generazioni. Oggi questo aspetto viene invece sottovalutato, trascurato, a volte ridicolizzato. E non sarà anche per questo che i nostri ragazzi hanno oggi un’ignoranza che fa paura? Che anche i più bravi scrivono ha senza h oppure è senza accento. Agli esami di maturità, ho appreso che la seconda rivoluzione industriale è avvenuta nel 1600 e che la Costituzione Italiana è stata scritta nel 1901! Mi verrebbe da andare dai miei ex professori delle scuole superiori e chiedere loro i danni, visto che non mi hanno reso edotto di tutte queste belle cose….Ho assistito alcuni ragazzi fare scena muta davanti alla Resistenza; non sanno più che cosa è la Resistenza, cazzo…

Ma in fin dei conti, se seguiamo i principi della didattica moderna, non è poi così disdicevole affermare che 8x8 fa 88 o che la scoperta dell’America è avvenuta nel 600. Sono errori veniali, può capitare a tutti di dire qualche castroneria. La didattica moderna non può però fare a meno dell’ interdisciplinarietà: un argomento non deve essere sviluppato a compartimenti stagni, bisogna vedere i fenomeni da tutti i punti i vista, in una prospettiva più ampia e generalizzata che coinvolga ciascuna disciplina. L’approccio in sé non sarebbe neanche tanto sbagliato, se fosse fatto però con un minimo di criterio; e come capirete, nel 99% delle cose della scuola, svolgere le cose con criterio è più difficile che camminare bendati sopra un filo sospeso nel vuoto a 200 metri d’altezza. Ma che importa, la parola d’ordine è interdisciplinarietà, interdisciplinarietà, interdisciplinarietà! In nome di questo principio fondamentale, pretendevano che, all’interno di un progetto pensato per una classe prima e che coinvolgeva tutte le materie del corso, dedicassi il 20% del mio monte ore all’applicazione della matematica nella conoscenza del territorio della Valnerina... A questi ragazzi, che non ti fanno più una tabellina come Dio comanda neanche a puntargli un mitra addosso, avrei dovuto mostrare dove si cela la matematica in Valnerina (che più che celarsi, con i miei pargoli, ha giocato veramente a nascondino…). Per fortuna, grazie ad alcune complicazioni burocratiche mai tanto provvidenziali, il progetto è fallito miseramente, per il sollievo mio e dei colleghi ancora provvisti di senno…

Eppure anche io, professore giovane ma dalla mentalità già vetusta, ciò nonostante sono riuscito a svolgere un’ illuminante attività interdisciplinare. Anzi, mi vien da dire che nel leggere queste righe, qualche illustre pedagogo potrebbe rimanere positivamente sbalordito; non credo che sia cosa da tutti i giorni svolgere un’esperienza che colleghi la fisica e l’elettromagnetismo con la musica e la danza moderna. Il tutto peraltro è avvenuto in un contesto di cooperative learning, quel processo per cui insegnanti e studenti collaborano e trovano insieme una conoscenza condivisa….Il non plus ultra della didattica! Per farla breve, un bel giorno porto i miei tesori del terzo a svolgere un’esperienza di laboratorio sul condensatore piano. In questo esperimento, una pallina di materiale conduttore viene immessa all’interno dello spazio compreso tra due armature metalliche collegate tra loro tramite un generatore elettrico; non vi sto a spiegare il perché e il per come, ma ─ coerentemente con i principi fisici che ci eravamo studiati in classe ─ questa pallina si muoveva avanti e indietro tra le armature del condensatore. Nel fare ciò, veniva generato un rumore ritmico, molto particolare e piuttosto gradevole ad ascoltarsi. Ebbene fu in quell’istante che l’alunno B.G., sovrano indiscusso dei cazzeggiatori nursini, fino a quel momento in altre faccende affaccendato, diede una piccola dimostrazione del suo talento cristallino cominciando a…ballare! Dovevate vederlo come si muoveva, il B.G., al battito fremente del condensatore piano; quale eleganza nei movimenti e che agilità. Uno spettacolo magnifico, sicuramente mille volte più degno delle tante veline coscescoperte et tetteignude della tv. Il ragazzo, a fine anno, è stato bocciato per l’alto numero di insufficienze. Dico peccato, nonostante anche il sottoscritto abbia espresso nei suoi confronti pollice verso. Il suo è veramente un estro artistico e la riprova sta, oltre al fatto che suonasse magnificamente la tromba, nell’incredibile facilità con cui riusciva a proporre a getto continuo situazioni al limite dell’assurdo. Era da bocciare perché la sua voglia di fare era inversamente proporzionale alla sua genialità. Ma quella scena di ballo o la saga a puntate della nonna zoppa, gobba e puzzolente…avrei dovuto sostenere la sua promozione solo per quei momenti degni di un consumato attore di cabaret! In fin dei conti mi aveva dimostrato di saper utilizzare le conoscenze acquisite in ambiti del mondo reale oggetto di studio della disciplina.

Burocrazia, accennavo prima vagamente da qualche parte; è sorprendente la mole di cartaccia con cui ha che fare un insegnante di oggi. Quanti moduli, relazioni e fogli d’ogni genere ho dovuto compilare quest’anno, a pensarci mi viene ancora la nausea. Hai bisogno del libro di testo che è stato scelto (da altri) per la tua classe nell’attuale anno scolastico? Devi fare un’apposita richiesta scritta, da protocollare in segreteria didattica e da consegnare alla segreteria amministrativa della scuola, la quale poi provvederà a chiamare la casa editrice per chiedere di mandarne una copia. Fai i corsi di recupero, che quasi ti scongiurano perché nessuno si vuole prestare? E giù anche lì con il bel moduletto da riempire e in cui, in ordine sparso, è necessario allegare: nomi degli studenti frequentanti, il registro delle presenze, le giustificazioni dei genitori alle loro assenze, l’indice degli argomenti rivisitati, le griglie di valutazioni per la verifica finale del corso di recupero, relazione finale conclusiva. Vado per difetto, questa è solo una parte della documentazione che ho consegnato per un corso di recupero complessivo…. di 6 ore! E poi moduli infiniti per la programmazione d’inizio anno, relazioni in cui dover motivare rigorosamente perché cambi un libro di testo che fa schifo, addirittura una richiesta scritta per avere un pennarello per la lavagna luminosa!!!! Se fossi un’attivista di Greenpeace, mi incatenerei al cancello della scuola per protesta, contro lo scempio ambientale perpetuato. Quanta carta viene sprecata inutilmente, quanti alberi si abbattono per mettere per iscritto documenti che mai e poi mai nessuno si sognerà di leggere?

Capitolo rapporto con i colleghi…o meglio definire, rapporto con le colleghe, visto che mi sono ritrovato immerso in un ambiente quasi completamente femminile. Beato tra le donne direte, amato, coccolato, riverito…Beh, non ho mai sentito la mancanza di una presenza maschile diffusa come in questa occasione. Intendiamoci, non che siano cambiati i miei gusti e le mie tendenze... personalmente poi i rapporti con gli altri docenti sono stati generalmente buoni, indipendentemente dai connotati sessuali di chi mi trovavo di fronte…ma essere uno dei pochi uomini in un ambiente di lavoro dominato dall’altra metà del cielo, eh sì che ce ne vuole di pazienza! L’aspetto forse più palloso di tutta la faccenda è stata la tendenza, direi molto generalizzata da parte delle mie care compagne di avventura, a non staccare mai la spina dall’ambiente scolastico. Iniziare la giornata con un viaggio di 85 km in compagnia di quattro professoresse significa automaticamente sentirsi martellato per un’ora e passa il proprio encefalo piatto, ancora non desto dalla levataccia mattutina, con una lunga sequela di: e l’alunno X non ha studiato, e la signorina Y non si creda di essere promossa, e Z dovrebbe essere sospeso…ma tanto la scuola se li tiene tutti ‘sti criminali, e sempre questi progetti…e quando studiano poi… Non che le cose migliorassero una volta arrivati a destinazione. Una persona normale che entrasse dentro un’aula insegnanti rimarrebbe basita nel vedere tutti questi docenti starnazzare ogni giorno in Dolby Sorround su obiettivi disciplinari, criteri di valutazione o crediti formativi. Siamo stati plagiati e non ce ne accorgiamo nemmeno più. Non mi sorprende affatto che alcuni colleghi in queste stanze, nuovi gironi dell’inferno dantesco, non ci mettano più piede: hanno ragione, non vogliono perdere le loro facoltà mentali.

Le riunioni poi, quale incredibile perdita di tempo possono essere! Soprattutto nei collegi e nelle riunioni di dipartimento, l’ordine del giorno era sempre il fumo; fumo non da intendersi tanto come piaga sociale legata alle sigarette o alla marijuana, quanto piuttosto in senso nichilistico, come sinonimo di vuoto, di vacuo, di nulla. In queste riunioni noi discutevano, ci accanivamo, ci scannavamo per ore e ore e ore dibattendo sul nulla. Le nostre energie e il nostro tempo, da dedicare più fruttuosamente allo studio, alla famiglia o anche solo ad una semplice passeggiata distensiva, sacrificati all’essenza vaporosa del nulla… Sono stati questi gli unici momenti che mi hanno fatto seriamente pensare di cambiare lavoro. Un po’ meglio andava con i Consigli di Classe, sicuramente più concreti rispetto alle altre riunioni, se non altro perché si parlava delle problematiche dei nostri alunni. Ma anche qui, la già accennata maggioranza femminile del corpo docenti non ha fatto sconti. Non so perché le donne siano spesso tra di loro ─ quasi come legge di natura ─ così invidiose, competitive, maligne. Vivi e lascia vivere, cerchiamo di portare avanti un lavoro comune finalizzato al bene dei ragazzi, in cui ciascuno di noi dà il proprio importante contributo. E invece no, anche qui discussioni infinite, battute al vetriolo, rivendicazioni di miglior competenza e miglior professionalità rispetto ai colleghi, un continuo rinfacciarsi delle più insignificanti piccolezze. E’ vero anche che questo clima di tensione era sempre generato da personaggi “sui generis” da prendere molto con le molle, ma non ho potuto fare a meno di notare che tali situazioni si verificavano solamente in quei consigli in cui ero l’unico professore uomo. Spero che sia stata solamente casualità, credo tuttavia che un certo nesso ci sia…

Un bilancio conclusivo in postilla a queste chiacchiere da bar. Avrete capito che il post, al fine di una presunta ironia da quattro soldi, descrive solamente le situazioni più paradossali dell’esperienza che ho vissuto, in alcuni casi pompandole un po’! In linea generale però, non si sta così male; è vero che ci sono tanti alti e bassi ma questo avviene in tutte le cose, a maggior ragione in un lavoro fondato sulle relazioni umane. Per quanto mi riguarda, devo certamente migliorare in molti aspetti, soprattutto nel riuscire a mantenere la disciplina: troppe volte ho concesso ai miei bimbi un dito e loro hanno finito per prendersi la mano intera. Devo lavorare ancora sul mio carattere, diventare più duro e più drastico; un po’ di sano fascismo in questo mestiere non fa certamente male! Ma complessivamente sono abbastanza soddisfatto di questo anno; con i ragazzi credo di essere riuscito ad instaurare un dialogo schietto e costruttivo e qualche volta sono pure riuscito a farli studiare! Con i miei studenti del serale ho passato un anno umanamente molto gratificante, sia in classe che fuori. Con alcuni colleghi infine, anche tra i cosidetti “fissati”, ho creato amicizie significative che spero di riuscire a mantenere in futuro.

Insomma, nel mondo della scuola si riesce a stare bene, sebbene ci siano segnali nebulosi all’orizzonte che non inducono all’ottimismo. Non mi riferisco in questo frangente alla situazione occupazionale assai critica di noi docenti, sebbene la scimitarra ministeriale taglierà 100 mila di noi nei prossimi tre anni e il precariato sia una piaga che non ci può far dormire sonni tranquilli. No, mi riferisco alla tendenza, da parte dell’istituzione scuola, ad allontanarsi sempre di più da quello che dovrebbe essere il suo compito fondamentale: formare i cittadini di domani. Una convinzione la mia suffragata da tanti piccoli segnali che muovono però tutti nella stessa direzione. Come interpretare ad esempio il fatto che gli istituti organizzino delle vere e proprie campagne di marketing per accaparrarsi i ragazzi provenienti dalle scuole medie? Più ragazzi significano più soldi provenienti dal ministero e quindi maggiore contabilità economica. E per assicurarsi che gli studenti non cambino idea nel corso dell’anno, promuoviamoli tutti, anche se poi capiscono meno di una capra nana o sono dei delinquenti patentati. D’altra parte in questo modo si evitano anche i possibili, temutissimi ricorsi: da quanto mi hanno riferito alcuni colleghi, negli anni precedenti i genitori di alcuni ragazzi respinti si sono appellati al tribunali amministrativi per riammettere i loro figli. Sembra che in queste censure non venisse messo in discussione il fatto che i giovinotti fossero dei ciucchi senza speranza. Si ricorreva invece sulla correttezza formale dei documenti, come ad esempio i registri; un’assenza non segnalata o un segno grafico di troppo erano motivo sufficiente per rendere nulla una bocciatura decisa dal Consiglio di Classe.

Di fronte ai messaggi televisivi che promuovono un tipo di modello che ben conosciamo e constatato come in molti casi la famiglia sia empaticamente distante dai propri ragazzi, l’istituzione scolastica non dovrebbe mostrare il fianco ma al contrario dare un segnale forte che indichi un’alternativa valida. Poiché però si rende conto che da sola non ce la fa, la scuola si lascia andare e si dimette spontaneamente dal suo ruolo educativo tradizionale. Non avendo più neanche strumenti punitivi adatti (oggi uno studente può essere sospeso solo se ha commesso qualcosa punibile dal codice penale) e dovendo cercare di ottenere tutto con il dialogo, risulta veramente difficile far capire ai ragazzi l’importanza dello studio, la bellezza del sacrificio, l’orgoglio di ottenere risultati grazie ad un impegno meticoloso e costante. Affrontare un’equazione, capire che cosa significa, batterci e ribatterci la testa sopra…ma mettiamoci nei loro panni, chi glielo fa fare? La televisione mostra che si può essere belli, ricchi e famosi non facendo nulla, perché diventare brutti, emarginati e tristi con qualche cosa che non servirà mai a niente nella vita? E se anche la scuola non ci crede più e pensa solamente alla sua sopravvivenza economica…chi provvederà a salvare dal baratro la nostra società?



Continua...

lunedì 14 luglio 2008

ABBASSO I DIAMANTI

È un sogno abbastanza comune, ma non ho mai capito perchè così tanta gente desideri la ricchezza smisurata. Se un giorno venissi a sapere di uno zio imprenditore arricchitosi fino a scoppiare che morendo ha lasciato a me, sua unica erede, tutti i suoi averi… cosa me ne farei?
Sposerei un finanziere che se la fa con le puttane in una camera d’albergo a cinque stelle e che ogni anno mi regala una collana di diamanti (sporchi di sangue) della Sierra Leone per il nostro anniversario. Avrei una piscina a idromassaggio (a forma di isola) dove inviterei le mie amiche pettegole a prendere il sole con i loro occhiali da sole firmati Prada. Avrei una Porche nera mafiosa e una limousine avana altrettanto mafiosa. Vestirei solo capi di altra moda, che cambierei con il cambiare della moda, e non comprerei mai un pantalone a meno di 300 euro. Avrei case in tutta Europa. Avrei due barboncini rognosi che abbaierebbero furiosi ad ogni sconosciuto che osa avvicinarsi a meno di 5 metri dal cancello che circonda il giardino, ovviamente tenuto bene da un giardiniere ucraino sottopagato con cui me la farei mentre mio marito è al lavoro. Andrei in vacanza in molti posti, ma sempre nello stesso posto: albergo lussuoso con piscina e accappatoi di lino bianco. Sarei ignorante come una capra, ma tutti i miei amici (?) loderebbero la mia profonda cultura. Mio marito durante le cene di Natale in famiglia racconterebbe barzellette sui neri e sui comunisti. Voterei a destra, ovviamente sarei una buona cristiana che almeno una volta all’anno regala un euro ai bambini del Carrefour… ehm, volevo dire Darfur.
Qualcuno potrebbe pensare che tutto sommato non sia male. Bene, se la prenda pure questa vita, si prenda pure lo zio imprenditore e il marito finanziere, si prenda pure la Porche, la limousine e tutto il resto…
Basta pensare che nel Sud del mondo… la gente crepa. Crepa di malattia, crepa di fame, crepa di guerra e di ignoranza. Crepa di lavoro. Crepa di rabbia. E non crepa perchè gli va bene così, crepa perchè a qualcuno fa comodo che crepi. E sapete cosa vi dico? Creperei volentieri con loro, pur di non far parte di quelli che sì, la pietà va bene, ma solo quando CI SI GUADAGNA. Non voglio far parte di quelli che ragionano con il portafoglio, non voglio che la mia vita abbia il colore verdastro del dollaro, e tanto meno che le mie mani puzzino di soldi, che il mio conto in banca abbia una sfilza infinita di zeri. Preferisco crepare pure io, miei cari signori. Ma non lasciare soli i miei fratelli. Non lasciare quelli che darebbero una gamba per avere questo zio imprenditore, perchè altrimenti non hanno niente. Non lasciare quelli che partono con la voglia di tornare, o quelli che si fanno la guerra l’un l’altro e che in fin dei conti hanno la stessa fame, non lasciare quelli che muoiono da soli, senza telecamere, senza telespettatori addolorati e conduttori politicamente corretti, senza eredità da lasciare a nessuno, senza saliva per bisbigliare le ultime significative parole.
Preferisco morire con loro e per loro, piuttosto che morire da dentro, in una casa troppo grande e troppo lussuosa per poter accogliere l’irrompente fuoco della vita.

Continua...

domenica 13 luglio 2008

Senza fine...

Senza fine è l’egoismo cieco e menefreghista degli italiani. Egoismo che ci porta a valutare solo i nostri benefici, senza valutare minimamente la possibilità di costi; che ci fa vedere tutti i nostri fratelli come “altri”, come minaccia ai nostri interessi e alle nostre ambizioni.
Senza fine è la cecità per il nostro mondo, per la nostra stessa vita; che ci rende indifferenti a tutto e a tutti; che ci fa essere come tanti cagnolini scodinzolanti in attesa di una crocchetta che ci dia quel temporaneo senso di appagamento superfluo. E andiamo dietro a chi ci fa sentire più cagnolini scodinzolanti. Accettiamo di scivolare verso un regime dolce, fregandocene di diritti civili e umani basilari, dimenticandoci delle cose per cui solo pochi mesi prima quegli stessi eletti, ci hanno chiesto la loro fiducia, disattendendola subito dopo aver posto il loro ricco culo su una poltrona. E questo indipendentemente dal colore politico.
Senza fine è il menefreghismo per tutto quello per cui vale la pena vivere; e ci accontentiamo di una cultura sempre più materialista e utilitarista, correndo dietro al reality di turno o al fenomeno da baraccone.
E intanto l’Italia và...indietro, sempre di più..e non accettando che è la nostra passività a farla, a farci, regredire quotidianamente, abbiamo il bisogno di tirare fuori sempre un qualche nuovo capro espiatorio..e l’Italia continua ad andare..sempre più indietro, privando i suoi giovani di un futuro, lasciandoli in balia di un mondo oscuro, privo di certezze, privo di sostegni, privo di sé stesso..e l’Italia và..e noi con lei.


Continua...

Per gli italiani è incubo precarietà. A Napoli si muore di lavoro a 17 anni

da Liberazione del 13/07/2008

Stefano Bocconetti

Hanno detto bugie. Tutti. O almeno tutti quelli che siedono in Parlamento. E su quelle hanno costruito strategie, alleanze, un governo. Con la più forte maggioranza della storia repubblicana. E ancora, su quelle bugie s'è costruita anche la cultura politica dell'opposizione parlamentare. In ogni caso, bugie. Dati falsi. Vediamoli, allora. Dunque, per più di un anno - diciamo da quando gli scricchiolii del governo Prodi sono diventate vere e proprie frane e s'è cominciato a parlare di elezioni anticipate - hanno raccontato che questo paese aveva un solo incubo: l'immigrazione. Che nel loro vocabolario significava criminalità diffusa, microcriminalità, questione rom, campi nomadi. Hanno scomodato anche qualche sociologo che un po' frettolosamente aveva spiegato che la sinistra - una «sinistra moderna» - non avrebbe dovuto sottovalutare la questione sicurezza. Considerata la priorità da tutti, compreso il blocco sociale che tradizionalmente ha sempre guardato a sinistra. Ecco, tutto questo era semplicemente falso. Una bugia. La verità, attraverso una lunga, complicata indagine-sondaggio condotta in tutti i centri sopra i 10 mila abitanti, la racconta ora il Censis. Ed è tutta un'altra storia: questa ci racconta che il primo, quasi unico problema degli italiani è il lavoro. E' il lavoro che non c'è, è il lavoro che anche quando c'è è precario. E' al nero. E' il lavoro che non risponde nè alla propria formazione, nè alla propria aspirazione. E' il lavoro senza diritti. Un'altra storia, insomma, che ci racconta di come la paura, la paura vera sia - per due persone su tre - quella di restare senza un impiego. O di restare precari a vita. La paura del migrante, quando c'è, viene dopo. Molto dopo.
Uno studio - che sarà alla base di un convegno a Roma del "World Social Summit", a settembre - ci regala un'altra fotografia di questo paese. Più lontana dai temi della campagna elettorale ma più vicina alla cronaca di tutti i giorni. Dove il lavoro che manca, soprattutto al Sud, costringe tanti ad accettare qualsiasi violazione pur di portare a casa qualche euro. Costringe tanti ad accettare lavori pericolosi, dove si muore. Quello studio fotografa un paese che assomiglia di più all'Italia. Che assomiglia di più a Napoli. Dove ieri un ragazzo di diciassette anni - un ragazzo di Scampia - è stato costretto a lavorare di sabato mattina, per montare impianti di aria condizionata, negli appartamenti di chi può permetterseli. Un ragazzo che non tornerà più a casa. All'improvviso ieri, verso mezzogiorno, è precipitato da una specie di impalcatura, dal quinto piano del palazzo. Un volo di venti metri, uno schianto. E' morto sul colpo. In una città soffocata dall'afa.
Questo accade in questo paese. E questo racconta lo studio del Censis. Un lungo elenco di numeri, dati, statistiche. E si viene così a scoprire che sessantasei persone, sessantasei famiglie su cento pensano che le vere emergenze siano quelle collegate al tema del lavoro.
Emergenza che significa tante cose, che si traduce in altri dati. Si viene così a sapere che un laureato su due - il 50% - accetta un lavoro dequalificato per il timore che persa un'occasione non se ne ripresenti una seconda. E insieme a questa paura c'è la denuncia. Su una situazione che più o meno tutti conoscono ma di cui troppo poco si parla: quella per cui un lavoratore su quattro oggi ha un impiego precario. O addirittura al «nero».
Di più. L'incubo del lavoro - che non c'è, o è stagionale - diventa la sola ossessione al Sud. L'85,9 % delle persone intervistate lo considera il primo problema. Il vero, unico problema. Percentuale che significativamente scende - ma solo di un po' - al centro, il 72,5 per cento, fino a diventare la preoccupazione «solo» del 40% nelle ricche aree del Nord-Est.
Scavando ulteriormente nei dati, nelle risposte, si scopre che ben l'11,9 per cento di chi dichiara di avere un'occupazione in realtà è legato da contratti a termine: interinali, stagionali, e via dicendo. Ci sono addirittura ancora tanti contratti di apprendistato. Cosa ancora più grave, un altro 12 % dice semplicemente di lavorare nel sommerso. In nero. Senza contributi, senza nulla. Messe insieme queste due categorie di precari, fanno un esercito di cinque milioni e 800mila lavoratori. Un occupato su quattro, insomma, non può dirsi sicuro sul proprio futuro. Un esercito in continua crescita: in appena quattro anni, i lavoratori precari sono aumentati dell'11 e tre per cento. Un esercito che continuerà a crescere. Dice ancora il Censis: «Le dimensioni del fenomeno appaiono in prospettiva destinate a svilupparsi ulteriormente, considerato che sono proprio i settori a maggiore spinta, servizi e terziario in primis, quelli in cui i fenomeni in questione appaiono più significativi». Saranno sempre di più, insomma, i senza sicurezza per il futuro.
Futuro, come sanno anche i sassi ormai, che non può garantire neanche un titolo di studio. Ed è questa forse la parte dell'indagine più nuova, che svela i dati meno conosciuti, meno prevedibili. Il Censis racconta infatti che un laureato su due fa un lavoro che richiede competenze molto, molto più basse di quelle acquisite all'università. Il 50% dei giovani laureati, insomma, è costretto ad accettare quella che si chiama «sottoccupazione». Lo fa, anche qui, per paura di restare senza nulla.
Questi sono i problemi degli italiani. Che stridono non solo con gli slogan della passata campagna elettorale - per curiosità: la questione immigrazione, nelle priorità degli intervistati, viene otto punti dietro il problema lavoro - ma anche con i dati ufficiali. Quelli che indicano una crescita, anche se impercettibile, del numero degli occupati. Nuovi posti forse ma, come si è visto, quasi esclusivamente a tempo, quasi esclusivamente lavori precari. E addirittura, nel mondo del precariato, crescono i contratti assolutamente senza alcuna garanzia, come quelli a «progetto». Che possono durare anche solo una settimana. Perché le cifre ci dicono che questa «categoria» - l'ultima dei precari in scala gerarchica - è aumentata del due e due per cento.
Questa è l'Italia. La politica italiana racconta, invece, un altro paese. Anche quando finge di accorgersi delle vere emergenze. Le ultime battute, infatti, non possono che essere per Veltroni. Da due mesi s'è occupato di Rete4, o delle leggi ad personam varate dal governo di destra. Ieri, improvvisamente ieri, in concomitanza con i dati del Censis, s'è accorto della questione sociale, dell'emergenza sociale in italia. L'ha fatto dentro uno strano discorso in cui, come sempre, ha messo insieme la questione sicurezza, lamentando gli scarsi fondi messi a disposizione delle forze di polizia, e il disagio sociale. Mettendo insieme il tema sicurezza e il disagio di pezzi di questo paese che non ce la fanno più ad arrivare neanche alla seconda settimana, che vanno al lavoro senza sapere se torneranno a casa. Che non possono progettare nulla perché non hanno un posto fisso.
Anche Veltroni sembra essersene alla fine accorto. Salvo poi riproporre l'intero armamentario del piddì: l'aumento dei salari attraverso gli straordinari detassati - cosa che la destra sta per varare -, la fine del contratto nazionale per legare gli incrementi alla produttività. Cioè soldi in più solo a chi lavora di più. Per finire con l'idea di aumentare di qualcosa la retribuzione dei precari. Pagati qualcosa di più, ma sempre precari. Formule che sono parte del problema, non la soluzione. No, la fotografia del Censis invoca qualcos'altro. Ma purtroppo quel «qualcos'altro» ancora non c'è.

Continua...

sabato 12 luglio 2008

Moni Ovadia: "E' la retorica del nemico alle porte"

da peacereporter.net

L'attore, scrittore e cantante si scaglia contro l'oblio storico degli italiani


Dobbiamo creare un grande movimento che travolga queste misure indegne. Circola un pessimo clima in questo Paese. Rischiamo di finire nell'abbrutimento. La gente ha sentimenti di paura, e questi sentimenti vengono dall'insicurezza sociale. Dal non arrivare alla fine del mese, dal non sapere quale sarà il futuro loro e dei loro figli. Allora è facile che cadano nella trappola della demogagia. Dobbiamo fare capire loro che dietro quella trappola non c'é solo il pericolo per il Rom o per altri, ma c'è anche il pericolo per la sua vita e la vita dei suoi figli. E' un Paese incattivito, spaventato da pericoli immaginari, un Paese pericoloso per se stesso. Allora bisogna pian piano lavorare su questo problema. Io sono molto orgoglioso di sapere che abbiamo una rivista come Famiglia Cristiana, che ha scritto l'articolo più duro, più chiaro, più emotivo, facendo riferimento ai valori cristiani. Bisogna far capire che se Gesù nascesse adesso nascerebbe in un campo nomadi, piaccia o non piaccia. E se non si capisce il valore profondo dei principi etici, laici o cristiani che siano, allora è la deriva, non si sa dove si va a finire. Sarebbe bene coinvolgere tutti, aldilà degli schieramenti politici. Per un cristiano che si riconosce come tale, l'aggressione all'umile, all'indifeso, al degradato, è un vulnus stesso al Cristianesimo. Cristo scelse di esercitare il suo magistero tra gli umili, tra gli ultimi, tra i disperati. Ignorare tutto ciò significa far implodere il Cristianesimo sotto una crosta insignificante. Molti cristiani sentono questa urgenza di protesta, e meno male. Per quanto riguarda gli ebrei, va da sé che solo una parte fa il loro dovere, qualcuno cerca di barcamenarsi non tanto in cambio di piccoli favori personali, ma occhieggiando al governo di Israele. Questa è una cosa molto brutta. Naturalmente, le fedi protestanti, come i valdesi, sentono fortemente questi valori, ma anche nella società civile laica c'è una certa tensione. Ma poiché ci sono stati anni di remissività del Paese, c'è bisogno di trovare parole di dissenso forti, perché questo centro-destra, non è un centro-destra: i conservatori francesi, i gollisti, prima di tutto sono antifascisti, i conservatori tedeschi di Angela Merkel hanno una robustissima fibra democratica antifascista, così come i conservatori britannici di Cameron. Questo centro-destra populista e demagogico è un fenomeno solo italiano. Vediamo come anche la dialettica politica spagnola funzioni meglio che da noi. Il nostro Paese ha lasciato andare il dibattito su certi valori pensando che ormai fossero acquisiti. Bisogna riaffermarli ogni minuto. I valori che salvano, li conquisti, non te li regala nessuno. Credo che questo centro-destro abbia come alleato una parte di senso comune che emerge nei momenti di difficoltà sociale. E' ovvio che la demagogia soffia sul fuoco. Con uno stipendio medio non si arriva alla terza settimana, i figli non si sa che vita avranno, siccome non si è in grado di risolvere tali problemi a livello politico, cosa fa il demagogo? Dice: sai, è tutta colpa di quello lì. Se non ci fosse lui, se lui fosse sotto controllo, andrebbe tutto meglio. E' falso. E' falso. Vessare i Rom e i Sinti, in che modo migliora la sicurezza degli italiani? E' una bugia come un'altra, in Germania lo dicevano dei Rom e sopratutto degli ebrei. Sono le stesse argomentazioni usate contro gli ebrei. Identiche. Si diceva: non sono come noi, non hanno riconosciuto Cristo, stanno sempre tra di loro, si aiutano tra di loro. Molti caporioni del nazifascismo l'hanno detto, quando erano sotto processo: bisogna far credere che il nemico è alle porte per scatenare una guerra. Per avere vantaggi elettorali, tu fai credere che esista un pericolo, lo inventi, lo gonfi. Si sa benissimo che la stragrande maggioranza di queste persone cercando di fare tranquillamente la loro vita. In fatto di criminalità , poi, noi italiani abbiamo da insegnare a tutto il mondo. Siamo la gente dei Totò Riina, dei Bernardo Provenzano. Siamo questo Paese, in cui quattro Regioni sono quasi interamente in mano alla malavita organizzata, e andiamo a raccontare che il nemico è fuori. Da qui si capisce la trappola. Purtroppo la gente è fragile, non ha avuto una robusta educazione democratica. L'unica cosa che funzionava nelle scuole era l'educazione civica. E' stata cancellata. A me interessa poco che uno studente non impari l'inglese a scuola. Lo imparerà . A me interessa che sia prima di tutto un buon cittadino. E chi glielo insegna? Chi gli insegna che non si deve discriminare, che non si deve essere razzisti? E' possibile che i ragazzi non sappiano che gli italiani sono stati oggetto di discriminazione razziale? Chi gli insegna che non bisogna discriminare, che non bisogna essere razzisti? E' possibile che questi ragazzi non sappiano che gli italiani sono stati oggetto di discriminazione razziale? Che i razzisti americani negli anni '10 li consideravano negroidi? Non ricordiamo più che c'erano le scritte 'vietato agli italiani e ai cani'? Perché nessuno racconta la memoria del dolore? Non sappiamo più che gli italiani emigrati sono stati 27 milioni in un secolo, e 4 milioni sono stati clandestini irregolari. Allora? Andava bene quando li vessavano, li picchiavano, quando si mandavano alla forca innocenti come Sacco e Vanzetti solo perché erano italiani? Ecco qual'è il problema. La memoria corta. Che noi siamo stati complici della più feroce dittatura del Novecento e della Storia. Abbiamo già dimenticato? E' ora di alzare la voce. Di rialzare la testa. E' ora di non farsi più ingannare dalle trappole razziste. Chi prende questi provvedimenti è un razzista. Punto e basta.

Essendo falliti i tentativi di riconoscimento politico, sociale e civile, ciò che resta di questi individui non è che la 'nuda vita', considerata secondo i parametri del filosofo Giorgio Agamben, che con la sua 'biopolitica' postulava la presa in carico da parte del potere del corpo dell'individuo. Dove si va seguendo questa strada?

Si va verso il totalitarismo. Agamben ha descritto i Cpt come dei lager. Chiaro che non sono dei lager. Ma la forma giuridica e la forma mentis di chi li ha ispirati, sì. Cosa è stato fatto con gli ebrei? Li si è disumanizzati, dicendo che non sono uomini. Poi si può fare di loro ciòche si vuole, dato che sono clandestini, non esistono. Non sono protetti dalla Convenzione di Ginevra. Perché sono clandestini. Non lo si chiama signor Mohamed Abdullah, lo si chiama clandestino. Ecco dov'è il principio della logica totalitaria. Il clandestino non ha più profilo. E' un individuo-massa. E' un individuo non garantito da statuti precisi. E allora questa non si può che chiamare barbarie.

Intervista di Luca Galassi


Continua...

giovedì 10 luglio 2008

"Farmaci che ammalano e case farmacetiche che ci trasformano in pazienti", di Ray Moynihan e Alan Cassels


Solo un paio di anni fa, i media nazionali e internazionali annunciavano, con toni allarmistici piuttosto inquietanti, l’imminente diffusione a macchia d’olio di quella che veniva definita la nuova peste del millennio. L’ influenza aviaria del ceppo H5N1 avrebbe causato, secondo previsioni ritenute altamente probabili, la morte di più di 100 milioni di individui. Nel panico generale che si era creato, le speranze di sopravvivenza venivano riposte su un farmaco antivirale svizzero, il Tamiflu della Roche. Per ragioni mai del tutto chiare, questo medicinale non fu commercializzato in Italia nel periodo della suddetta crisi. Ricordo la costernazione di ampi strati della società civile, indignati per la mancanza del Tamiflu nel nostro paese; ricordo le immagini televisive che inquadravano le lunghe file alla dogana con il paese elvetico oppure le “orde italiche” all’assalto delle farmacie rossocrociate per ottenere un piccolo flaconcino della magica panacea. Due anni sono passati e come è andata a finire? L’influenza aviaria ha ucciso ─ è vero ─ circa duecento persone nel sud-est asiatico; ma questo è avvenuto sempre in regioni le cui condizioni igienico-sanitarie non possono che definirsi assai precarie. E il Tamiflu invece? Questo farmaco, messo sul mercato per la prima volta nel 1997 (quindi ben prima della diffusione dell’aviaria) e che era stato fino a quel momento un disastro commerciale, ha riportato invece nel solo 2006 un profitto di oltre un miliardo e mezzo di euro.

Trenta anni fa Henry Gadsen, direttore generale della casa farmaceutica Merck, intervistato dalla rivista Fortune, se ne uscì con un’affermazione tanto franca quanto sconcertante: “Il nostro sogno è quello di produrre farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”. Con la narrazione di questo aneddoto inizia il libro, scritto a due mani del giornalista scientifico Ray Moynihan e del ricercatore canadese Alan Cassels, Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti, pubblicato in Italia dalla collana Nuovi Mondi Media. Un’opera importante oltre che scomoda, per gli interessi in gioco analizzati nonché per la ampia documentazione allegata. Non c’è da stupirsi allora che non abbia trovato l’attenzione che sicuramente merita, rimanendo ancorata nel campo dell’informazione indipendente.

Quale sia il raccordo tra l’affermazione dell’ oscuro dirigente della Merck e il pensiero dei due autori, credo che sia piuttosto semplice da capire. La tesi fondamentale sostenuta da Moynihan e Cassels è che il sogno espresso da Gadsen tre decadi fa ha trovato oggi la sua completa realizzazione. Le case farmaceutiche, in quanto società a scopo di lucro, si pongono come obiettivo primario quello di massimizzare i propri introiti. Fin qui, nulla di scandaloso; il problema sorge però nel momento in cui, per raggiungere tale finalità, si adottano politiche caratterizzate dal solo interesse egoistico, che tramutano in comportamenti anti-etici nei confronti dei propri clienti e della collettività in generale. Il tutto diventa poi ancora più difficile da accettare tenendo conto che queste società fanno profitti sulla salute delle persone, la cui tutela dovrebbe essere considerata un diritto fondamentale inalienabile. Cosa che evidentemente rimane solo un piano ideale…

I due autori riportano fin da subito l’ordine di grandezza dei profitti in gioco. A livello mondiale, l’industria farmaceutica vanta un fatturato annuo di oltre 500 miliardi di dollari (pari circa al prodotto interno lordo di paesi come l’Argentina o il Sudafrica). Il mantenimento o l’incremento di questo enorme flusso di denaro viene assicurato dall’applicazione di alcune strategie che il libro riesce a descrivere con una certa meticolosità. Nel fare ciò, Moynihan e Cassels adottano un approccio che potremmo definire induttivo: partendo dall’esposizione di una decina di casi significativi (scelti tra i più attuali ed eclatanti), si passa poi all’analisi delle dinamiche generali che spiegano come le aziende farmaceutiche riescano a fare così tanti soldi.

In questo contesto, emergono allora alcuni meccanismi diffusi sicuramente emblematici. In particolare, i due autori evidenziano a più riprese come le case farmaceutiche riescano:
  • ad inventare dal nulla nuove malattie o quanto meno ad allargare i confini di quelle precedenti. In questo modo, molte più persone diventano dei potenziali malati e quindi potenziali clienti di tali società;
  • a focalizzare l’attenzione della malattia quasi esclusivamente sugli aspetti di squilibrio fisico dell’organismo umano (gli unici su cui si può intervenire tramite medicinali), sminuendo l’importanza che possono avere invece altri fattori di causa (come quelli economici, sociali, psicologici, etc.) ;
  • a trasformare normalissime esperienze di vita (quali possono essere i disturbi premestruali per le donne o le difficoltà di relazioni sociali) in possibili malattie che colpiscono ampi strati della popolazione e su cui naturalmente intervenire con i farmaci;
  • a controllare sia il campo della ricerca scientifica che gli enti di vigilanza, in modo tale da ottenere definizioni di malattie e normative favorevoli alle politiche delle aziende nonché una totale acquiescenza delle istituzioni qualora si presentino situazioni problematiche con i clienti.

Relativamente a quest’ultimo punto, il libro descrive il forte condizionamento che le case farmaceutiche esercitano sui comparti professionali agenti nel campo della sanità. Avvalendosi di un esercito di 80 mila rappresentanti solamente negli Stati Uniti, le aziende del settore riescono spesso ad instaurare ─ anche grazie all’aiuto di campioni omaggio, regali di varia natura, partecipazione spesata ai corsi d’aggiornamento ─ un rapporto di fiducia reciproca con i singoli medici e ciò ha naturalmente le sue buone ripercussioni sull’aumento della prescrizione di farmaci. Gli stessi convegni sono inoltre quasi sempre finanziati dalle multinazionali farmaceutiche e i relatori invitati ─ i cosiddetti thougt-leaders o opinion-leaders ─ sono figure generalmente di prestigio che però hanno stretti legami con le società organizzatrici. Le linee dei convegni sono allora dettate secondo schemi favorevoli alle case farmaceutiche che riescono così con più facilità a “plagiare” il pensiero del personale medico. Gli stessi dottori peraltro possono avere anche un certo interesse nella politica adottata dalle multinazionali di trasformare una persona in un paziente. Come viene ben evidenziato nel capitolo sulla pressione alta, “ad un medico […] una diagnosi di “ipertensione” può fruttare un paziente a vita. […] allacciare la fascia e misurare la pressione ad un paziente è un incontro clinico ideale: è facile, veloce e piuttosto ben pagato rispetto al poco tempo richiesto”.

Moynihan e Cassels descrivono inoltre come anche il principale ente pubblico statunitense preposto per il controllo della qualità dei farmaci, l’FDA (Food and Drug Admistration), sia fortemente colluso con le aziende produttrici. Per rendere l’idea, basta dire che negli USA, “più del 50% del lavoro di controllo della sicurezza e dell’efficacia dei medicinali è pagato dalle medesime case farmaceutiche i cui prodotti vengono controllati”. In realtà questa tendenza non sembra essere prerogativa solo americana, visto che anche in altre nazioni europee sussistono situazioni simili, mentre in Australia le case farmaceutiche finanziano il 100% delle spese dell’ente di vigilanza.

Il controllo dell’ambiente medico sarebbe però inutile senza un’adeguata campagna di marketing che convinca il consumatore ad acquistare il prodotto. Questa semplice constatazione è stata ben compresa dalle case farmaceutiche che investono nei soli Stati Uniti qualcosa come tre miliardi di dollari all’anno per la pubblicità. Personaggi pubblici famosi, figure scientifiche prestigiose ma anche solo semplici pazienti (generalmente forniti dalle associazioni dei malati, anch’esse generosamente finanziate dall’industria del farmaco) vengono arruolati per girare spot o messaggi promozionali di ogni genere che finiscono poi sulle televisioni, sui quotidiani e sulle riviste di mezzo mondo. Le case farmaceutiche si alleano con le grandi società di comunicazione che elaborano strategie promozionali sempre più sofisticate e funzionali agli interessi del cliente. Nell’ analisi dei casi specifici riportati nel libro, i due autori mostrano in più occasioni come:
  1. gli annunci pubblicitari risultino spesso ingannevoli sui rischi e sui benefici dei medicali reclamizzati. Molti spot tendono ad esagerare i vantaggi che il farmaco porta, mentre vengono minimizzati gli effetti collaterali;
  2. la comunicazione adottata sia finalizzata a cambiare la percezione che la gente ha dei propri mali consueti, trasformando disturbi del tutto naturali nel corso dell’esistenza umana in patologie mediche. “Le persone devono venire persuase che problemi che prima magari accettavano come un semplice inconveniente ora sono considerati degni di un intervento a livello medico”. Per raggiungere tale obiettivo, la strategia promozionale fa spesso leva sulle ansie e sulle paure della gente. In particolare, si cerca di promuovere l’idea subdola che piccoli malanni o piccoli acciacchi siano in realtà sintomi di malattie serie su cui è necessario intervenire tempestivamente con i farmaci;
  3. le case farmaceutiche promuovano la propria pubblicità come informazione medica oggettiva, necessaria ai pazienti per fare scelte consapevoli sulla cura della loro salute. In questo modo, si favorisce una visione distorta o quanto meno parziale delle malattie, naturalmente favorevole agli interessi delle aziende.

Il quadro delineato da Moynihan e Cassels dimostra quindi la totale adesione da parte dell’industria farmaceutica ai modelli liberisti più sfrenati. Le multinazionali del settore sono letteralmente macchine per fare soldi che non si fanno scrupoli per raggiungere l’obiettivo dichiarato di massimizzare i propri profitti. Contrastare questo modello di sviluppo risulta certamente difficile…ma non impossibile. Il libro parla anche di alcune esperienze di opposizione alle logiche descritte ─ portate avanti da ricercatori e personale medico indipendente ma anche da semplici cittadini ─ e che hanno avuto infine un esito positivo. La messa in discussione dello status quo deve necessariamente ricercare l’indipendenza dalle case farmaceutiche dei comitati di controllo (in questo senso, la prima cosa da fare è limitare notevolmente i finanziamenti dell’aziende alle istituzioni come l’FDA), nonché dei sistemi informativi, attualmente molto accondiscendenti con le politiche delle multinazionali. Gli enti di vigilanza dovrebbero inoltre avere una presenza maggiore di personale non medico, che guardi le tematiche sanitarie con una prospettiva più ampia e meno propensa ad un’eccessiva medicalizzazione delle malattie. E infine, risulta molto importante far conoscere tali problematiche ad un pubblico più vasto, discuterne con le persone e cercare di formare un atteggiamento maggiormente critico nei riguardi dell’ambiente farmaceutico. Come affermano gli stessi autori, “benché possa sembrare buon senso spicciolo, può servire moltissimo parlare con i familiari e amici per capire se una certa diagnosi sia corretta o meno e se il problema in questione sia davvero segno di una malattia o semplicemente uno degli alti e bassi della vita quotidiana […] non si potrà mai esagerare l’importanza di un salutare scetticismo nei confronti della pubblicità aggressiva sulle malattie più nuove e sul numero di persone che si afferma ne soffrano”. Speriamo che il nostro post sia uno stimolo in più per intraprendere questa strada...


Continua...

RIDATECI LA NOSTRA ROCCHETTA

http://comitatoproacquagualdo.blogspot.com blog
comitatoproacqua@libero.it email

Era già successo a Gennaio di quest'anno quando su internet e giornali sono cominciate a circolare le foto della nostra emblematica fonte della sorgente Rocchetta completamente svuotata! Ora a Luglio ci siamo di nuovo e con l'arrivo
dell'onda turistica è ancora più grave: la fonte è a secco! Come Comitato ProAcqua Gualdo chiediamo ufficialmente alla nostra amministrazione che cosa sta accadendo ed allo stesso tempo rendere noto a tutti i cittadini gualdesi che è in corso, da un po' di tempo a questa parte, una vera opera di svilimento di questa area che era uno dei posti punti di riferimento e ristoro di famiglie intere nelle calde e afose giornate d'estate. Vogliamo a gran voce la concreta e reale rivalorizzazione del luogo anche per lo sfortunato turista che volesse visitare la zona della Sorgente! Prima si trova costretto a chiedere ai passanti indicazioni, perchè la segnaletica è scarsa se non nulla, e quando anche dovesse arrivarci si ritrova in un'area semi abbandonata con una fonte addirittura vuota.

Vogliamo ricordare a tutti che molto recentemente, con una spesa di circa 9.000 euro, sono stati anche restaurati i Servizi igienici pubblici antistanti la fonte, ma nessuno può usufruirne: sono chiusi perchè si dice che scandalosamente NON C'E' ACQUA nei bagni della Rocchetta! In piu' perche non si mette in funzione la spettacolare cascata dotata di pompa per il ricircolo dell'acqua?

Noi ci chiediamo: perchè mai questo? Come mai questa subdola programmata volontà di togliere la voglia a chiunque di avvicinarsi a questo luogo nonostante i fondi spesi non solo per la ristrutturazione dei bagni, ma anche per la fontana vicino all'ingresso da cui non esce acqua e per la generale risistemazione dell'area?

Vogliamo con forza, e ci adoperemo per questo, che l'Amministrazione si impegni in maniera concreta per la restituzione ai cittadini del fiore all'occhiello dei nostri luoghi simbolo e che il nome Rocchetta sia e rimanga per sempre prima di tutto il nome della nostra sorgente da cui continuare ad attingere acqua e del suo suggestivo scenario.

Gualdo Tadino non appartiene alla Rocchetta S.p.A.! Ed ora che tutti noi gualdesi stiamo prendendo sempre più coscienza del continuo ed incalzante sopruso permesso e concesso loro dalla nostra Amministrazione, dobbiamo anche cominciare ad esprimerlo a voce alta, chiara e senza paura il nostro NO! No alla prepotenza che comincia dalla svendita di acqua, passa per la questione della zona della sorgente e sicuramente non finisce purtroppo con il triste connubio dei nostri amati GIOCHI DELLE PORTE con la bottoglia verde.



Il Consiglio
Direttivo del Comitato Pro Acqua Gualdo

Sull'argomento, guarda nel blog anche:





Continua...

lunedì 7 luglio 2008

La favola atomica. Il nucleare risolve tutti i problemi?

Il circolo culturale primomaggio di Bastia ci segnala l'iniziativa organizzata a Spoleto dalla Legambiente sul nucleare.

La favola atomica. Come e perché si ricomincia a parlare di energia nucleare in Italia.

venerdì 11 luglio ore 21.00 presso la Biblioteca Montagne di Libri via dei Filosofi Spoleto ( sede Comunità montana dei monti Martani e del Serano)

L'energia nucleare come soluzione di tutti i problemi.
Questo è quello che sentiamo "raccontare" in questi giorni, ma ancora secondo l'opinione di parte del mondo scientifico, il programma nucleare è pericoloso, alimenta l'atomo militare e non è economico. Parliamone con uno dei maggiori esperti in materia.

con la partecipazione di:
Massimo Scalia , fisico, docente all'Università La Sapienza di Roma

Introdurrà e coordinerà Vanessa Pallucchi Segreteria Nazionale Legambiente
segue dibattito

Continua...

domenica 6 luglio 2008

La storia di Michele Fabiani - "Sono Michele, detto Mec, eh eh!"

Si terrà l'11 luglio, alle ore 18, la presentazione del libro "Sono Michele, detto Mec,eh eh!" a Spoleto presso la Sala dei Duchi del Palazzo Comunale, organizzata dal Comitato 23 Ottobre.
Sono 8 mesi che Michele Fabiani è in carcere, la giustizia e la verità sono ben lontani dal trionfare, la presentazione del libro è un'occasione non solo per non dimenticare, ma anche per cercare di ristabilire la "legalità".

www.circoloprimomaggio.org
Circolo Culturale primomaggio - Via G. Bernabei 16 - 06083 - Bastia Umbra - Perugia - Italy

Continua...

Tir carichi di rifiuti pericolosi sulle strade dell'Irpinia

di Antonella Palermo da Liberazione 06/07/2008

Napoli - Due provenivano da Foggia, l'altro da Caserta. Direzione irpinia. Nei cassoni c'era materiale ferroso, rottami inquinanti, radiatori, scarti di rame e diverse batterie di automezzi esauste, eternit e residui bituminosi. Centocinquanta quintali di rifiuti pericolosi che dovevano presumibilmente essere scaricati in una zona compresa tra i comuni di Torella e Castelfranci e che sono stati bloccati e sequestrati dai carabinieri. I pesanti automezzi viaggiavano sulla strada statale Vecchia Ofantina: è questa la strada preferita dai conducenti dei tir che trasportano rifiuti speciali. L'altra strada, la Nuova Ofantina, ormai non la fa quasi più nessuno, colpa dei troppi presidi dei carabinieri che da mesi eseguono controlli a tappeto. Solo che stavolta i carabinieri si sono appostati anche sulla Vecchia Ofantina. Gli autisti, quattro originari di Cerignola, nel foggiano, e due della provincia di Caserta, sono stati denunciati per trasporto illecito di rifiuti e per l'attività di recupero, smaltimento e commercio di rifiuti senza le prescritte autorizzazioni.
L'emergenza rifiuti continua a viaggiare su e giù per la Campania. Passa anche per le aule di tribunale. La Procura di Napoli ha chiuso l'inchiesta sulla gestione del Commissariato per l'emergenza rifiuti in Campania, un atto che fa presagire una probabile richiesta di rinvio a giudizio. Ventinove gli indagati, tra cui anche il prefetto di Napoli Alessandro Pansa e l'ex commissario per l'emergenza rifiuti, Corrado Catenacci, vertici del commissariato e rappresentanti del gruppo Impregilo. L'inchiesta, firmata dai pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo è un secondo troncone dell'indagine che ha già portato a giudizio anche il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, nella sua qualità di ex commissario dell'emergenza rifiuti in Campania. "Rompiballe", il nome dell'inchiesta che racconta di finte ecoballe spaccottate e maciullate per poter essere confuse con rifiuti da sversare in discariche. I reati vanno dal falso ideologico alla truffa ai danni dello Stato, al traffico illecito di rifiuti.
Intanto, buone notizie arrivano dalla città del Vesuvio dove, finalmente, si comincia a fare amicizia con la raccolta differenziata. Istituzioni, ma anche comitati civici, protezione civile e movimenti di disoccupati hanno dato vita a una serie di iniziative per sensibilizzare i cittadini napoletani sul tema. La prima fase della raccolta porta a porta è partita ieri sera ad opera dei dipendenti dell'Asia. Nei giorni scorsi è stata effettuata la distribuzione domiciliare del kit per il porta a porta e dei bidoncini carrellati condominiali. Nel quartiere Sanità invece, da due giorni, gli eurodisoccupati napoletani stanno consegnando ai cittadini materiale informativo e sacchetti colorati. A breve, per fronteggiare l'emergenza saranno pronti anche gli 850 addetti della protezione civile, 350 volontati e 500 dipendenti pubblici, che hanno frequentato i corsi di formazione sulla raccolta differenziata, organizzati della Scuola regionale di Protezione civile, diretta dal generale Francesco Bianco, d'intesa con la facoltà di Scienze Ambientali della II Università di Napoli.
Guido Bertolaso, ex commissario ed ora sottosegretario ai rifiuti, è ottimista. Dal suo ufficio stampa hanno fatto sapere che l'ambizioso piano per portare la Campania fuori dall'emergenza è a buon punto. Merito anche dello spirito di collaborazione tra istituzioni, spiegano. Una garanzia anche per le Regioni che hanno offerto asilo politico ai rifiuti campani. Ora però, ha pure ricordato Bertolaso, dobbiamo fare i termovalorizzatori. Quello di Acerra, quello di Salerno, quello di Santa Maria la Fossa (in provincia di Caserta) e quello di Napoli. Ad Agnano, però, non lo vogliono. La giunta comunale guidata da Rosetta Iervolino, invece, sì. Rifondazione Comunista ha chiesto che la delibera di giunta venga ritirata e che «l'assurdo ricatto del decreto 90/08 del Governo Berlusconi vada rispedito al mittente». La scelta di Agnano viene contestata in quanto «area sismica, soggetta a vincolo paesaggistico a ridosso dell'Oasi naturalistica degli Astroni. A questo - prosegue la segreteria provinciale del Prc - si aggiunge un ulteriore minaccia data dal fatto che la realizzazione dell'inceneritore comporterebbe una svalutazione dei suoli di Bagnoli che consentirebbe, non certo la diminuzione dei fitti per i residenti, bensì un affare per i palazzinari che acquisterebbero i suoli a prezzi stracciati».
D'altra parte, «l'emergenza e la gestione ordinaria dei rifiuti - sostiene Rifondazione - non possono trovare soluzione solo nell'individuazione degli impianti di smaltimento, discariche e termovalorizzatori. Gli spazi disponibili e tecnicamente adatti restano pochissimi, mentre scelte sbagliate come quella di Chiaiano creano rischi che la popolazione non può più sopportare».

Continua...

giovedì 3 luglio 2008

"Idrea-Rocchetta, giù le mani dalla nostra acqua!" Boschetto festeggia l'annullamento delle concessioni delle sorgenti del Rio Fergia (seconda parte)


(Riprende dal post del 29/06/2008)

L’avvocato Valeria Tocchio, insieme ai colleghi Angelo Velatta e Daria Grilli, ha rappresentato legalmente ─ in sede di dibattimento al TAR dell’Umbria ─ i soggetti (in primis il Comitato per la difesa del Rio Fergia e il Comune di Nocera Umbra) entrati in contenzioso con l’Idrea S.R.L. e con la Regione Umbria e il Comune di Gualdo Tadino. Nel suo intervento all’assemblea di Boschetto, è entrata nel merito delle sentenze del TAR, spiegando le motivazioni per cui il Tribunale Amministrativo Regionale ha accolto molte delle istanze presentate dagli enti ricorrenti.

L’avvocato ha premesso subito che un esito positivo di queste sentenze non poteva considerarsi scontato. La vittoria si profilava quanto meno incerta anche perché si andava ad adire presso un giudice amministrativo il quale, essendo un giudice di legittimità, non può stabilire se una certa causa sia giusta o meno; il suo compito si limita a chiarire solamente la correttezza formale degli atti legali. Un’ulteriore difficoltà consisteva nel fatto che uno dei soggetti ricorrenti fosse proprio il Comitato per la difesa del Rio Fergia: ciò poteva creare delle problematiche, in quanto ad oggi ─ nel panorama della giurisprudenza italiana ─ i comitati non trovano un pieno e corale riconoscimento. In realtà poi, è stato proprio il TAR a dare legittimità all’azione del Comitato. Tale riconoscimento discende da un atto formale, il Protocollo d’Intesa del 1993, che il Comitato ha firmato con la Giunta Regionale dell’Umbria e i Comuni di Gualdo e Nocera per la tutela del fiume Rio Fergia. Poiché il Protocollo ha reso il Comitato un interlocutore istituzionalmente riconosciuto nelle questioni che riguardano il fiume, questi risulta allora pienamente legittimato a presentare ricorso.

Venendo a parlare delle sentenze del Tribunale Amministrativo, queste si possono sostanzialmente suddividere in tre parti (reperibili a questo link):
  1. la prima si è pronunciata sui ricorsi presentati dal Comitato Rio Fergia (per vece di alcuni suoi esponenti che risultavano proprietari dei terreni direttamente coinvolti dalla vicenda) e relativi al permesso che il Comune di Gualdo aveva rilasciato ad Idrea S.R.L. per costruire una condotta di 4 km che collegasse le sorgenti del fiume fino allo stabilimento dell’azienda;
  2. la seconda ha riguardato la deliberazione n.1654 del 26/09/2006 della Giunta Regionale e la successiva determinazione dirigenziale n. 4860 del 25/5/2007 che di fatto hanno assicurato ad Idrea S.R.L. la concessione delle sorgenti del fiume e contro le quali ha ricorso il Comune di Nocera Umbra;
  3. la terza sentenza infine ha avuto a riguardo quelli che vengono definiti gli “usi civici” presenti nella zona. Di questo pronunciamento tuttavia l’avvocato Tocchio non ha parlato, in quanto non direttamente coinvolta nel dibattimento.
I due ricorsi che hanno visto la partecipazione dell’avvocato Tocchio sono stati entrambi accolti parzialmente, nel senso che non tutte le censure presentate dai ricorrenti hanno trovato accoglimento.


Successivamente, l’avvocato si è addentrata in un’analisi più dettagliata delle censure che sono ritenute valide dal TAR nella prima sentenza:
  • né la Rocchetta in un primo momento né l’Idrea successivamente avevano il permesso di costruire sui terreni appartenenti ai proprietari frontisti. La Rocchetta (e non l’Idrea, destinataria dell’autorizzazione del comune di Gualdo) può vantare solamente un permesso di ricerca ideologico, il quale chiaramente non costituisce un titolo sufficiente per la costruzione dell’ opera contestata. Alcuni dei terreni su cui sarebbe dovuta passare la condotta, pur contenendo in certi casi delle strade vicinali destinate ad uso pubblico, risultano comunque di proprietà privata; e poiché dai proprietari non è stata concessa nessuna autorizzazione né tanto meno è stato attuato alcun esproprio, la costruzione della condotta su quei terreni risulta illegittima;
  • la commissione edilizia del Comune di Gualdo che ha rilasciato il permesso all’Idrea era costituita anche da componenti di estrazione prettamente politica. Una legge regionale dell’Umbria impone invece che le commissioni edilizie siano formate solamente da personale tecnico altamente specializzato;
  • non è stata presentata, da parte dell’Idrea, un’idonea documentazione che accertasse la compatibilità ambientale del progetto. Come lo stesso TAR riconosce, è evidente che l’istruttoria [che ha rilasciato il permesso all’Idrea] è stata essenzialmente condotta sulla base dei parametri urbanistici ed edilizi e che l’autorizzazione paesaggistica [da parte del Comune di Gualdo] è stata rilasciata senza una specifica valutazione di compatibilità paesaggistica.
Sulla base delle seguenti considerazioni, il TAR ha allora annullato il permesso di costruire (n.169/2007) e l’autorizzazione paesaggistica (n.10/2007) con la quale il Comune di Gualdo autorizzava la costruzione della condotta idrica in questione.

Per ciò che riguarda invece la seconda sentenza, il TAR ha evidenziato le seguenti osservazioni:
  • la Giunta Regionale dell’Umbria, nell’affidare la concessione ad Idrea tramite la deliberazione n.1654, ha travalicato alcuni aspetti che non erano di sua competenza. Relativamente a quest’ultimi (di carattere tecnico-attuativi sulla concessione), il TAR ha riconosciuto un’incompetenza relativa della Giunta Regionale. In pratica, le decisioni su quegli aspetti spettavano non alla Giunta ma ad un altro organo facente comunque parte dello stesso plesso. C’è anche da dire che questa incompetenza non ha poi inficiato, come invece richiesto dal Comune di Nocera, la determinazione dirigenziale n. 4860, che è stato assunta in autonoma responsabilità dal dirigente competente;
  • nei fatti, non è stata dimostrata l’indipendenza tra le esigenze commerciali derivanti dallo sfruttamento dell’acqua minerale e quelle di tutela ambientale. La normativa impone che l’utilizzatore della risorsa idrica [deve accertare] l’incidenza del prelievo sulla “conservazione degli ecosistemi” sugli eventuali corsi d’acqua a valle nonché l’individuazione del deflusso minimo vitale, vale a dire la portata minima dell’acqua necessaria per garantire la salvaguardia delle caratteristiche del corpo idrico e delle acque. Ebbene, dagli atti acquisiti non risulta che siano stati effettuati tali accertamenti e verifiche. Nè può valere l’obiezione, sostenuta dalle parti resistenti, che la disciplina giuridica delle acque minerali sia diversa da quella che regola le acque pubbliche. Anche le acque minerali devono rientrare in una gestione complessiva del bene idrico che individui, per ogni bacino, gli obiettivi di qualità ambientale e le relative misure di tutela;
  • non è stata dimostrato che Idrea S.R.L. abbia la capacità tecnico-economica per realizzare il programma dei lavori presentato. Secondo il TAR, l’ Idrea ─ società costituitasi esclusivamente per la gestione della concessione idrica a Boschetto e il cui capitale sociale risultante agli atti supera di poco i 50000 euro ─ non assicura un’adeguata solidità economica né tanto meno l’esperienza necessaria per portare a termine la realizzazione dei lavori. Anche l’obiezione delle parti ricorrenti per cui l’Idrea appartiene allo stesso gruppo imprenditoriale proprietario di Rocchetta S.p.a. (società che ha scavato il pozzo idrico presso le sorgenti del Rio Fergia), non può trovare accoglimento e questo sostanzialmente per due motivi: il primo è che le due società non hanno documentato un piano industriale omogeneo per l’imbottigliamento dell’acqua minerale; il secondo è che Rocchetta e Idrea rappresentano, dal punto di vista commerciale, due marchi differenti, in concorrenza tra di loro;
  • è mancata, da parte dell’amministrazione, una reale valutazione sulla rilevanza degli interessi. Prima di concedere un provvedimento amministrativo quale può essere appunto la concessione, l’organo competente deve ponderare tutti gli interessi in gioco in quel provvedimento, individuando quelli che hanno una maggiore rilevanza. Nel caso del Rio Fergia ad esempio, doveva essere assicurata la compatibilità dell’interesse commerciale dell’Idrea Rocchetta con gli interessi economici e quelli ambientali della zona interessata. Il TAR osserva però che tale valutazione non è stata effettuata. Lo stesso TAR riconosce peraltro che le censure sollevate dal Comune di Nocera Umbra [che] evidenziano come gran parte degli investimenti prodotti non abbiano una ricaduta diretta ed apprezzabile sull’economia locale non hanno poi trovato confutazione in giudizio.
Tali considerazioni hanno addotto il Tribunale Amministrativo ad annullare i due atti legali (deliberazione della Giunta Regionale n.1654/2006 e la determinazione dirigenziale n.4860/2007) contestati dal comune di Nocera.

L’assemblea è continuata successivamente con gli interventi del sindaco nocerino Donatello Tinti e di Sauro Vitali. Entrambi, oltre a ribadire molte delle considerazioni già espresse precedentemente da Bersani, hanno attaccato piuttosto duramente sia la Giunta Regionale che il Comune di Gualdo, nonché tutti gli schieramenti politici locali i quali, indipendentemente dal colore d'appartenenza, hanno votato compatti per la concessione ad Idrea delle sorgenti del Rio Fergia. Tinti ha rivendicato la scelta del comune di Nocera di stare dalla parte della comunità di Boschetto, nonostante le pressioni che personalmente ha dovuto subire sulla vicenda da parte di esponenti del suo stesso partito. Vitali invece, in un intervento molto appassionato che ha scaldato in più occasioni il pubblico partecipante, ha ricordato che la vittoria ottenuta ─ sebbene importante ─ non può essere considerata ancora completa. “Vinceremo solo quando verrà ripristinato lo stato originario dei luoghi e dei pozzi. Questo sarà il successo conclusivo che accoglieremo festeggiando con i fuochi d'artificio. Il deturpamento che si sta perpetrando nella nostra zona è ben visibile, ma nessuno ne parla. Questo fiume prima mandava dieci mulini, mentre ora non ne manda più neanche mezzo, perchè l'acqua è sparita in seguito alle perforazioni […] Con quale diritto si sono permessi di perforare le falde acquifere, disattendendo il decreto legislativo 152/2006 e lo stesso protocollo d'intesa? Dimostreremo con i nostri tecnici, in modo scientifico, che le perforazioni e gli attingimenti effettuati sono dannosi per l'ambiente. Ma basta una persona capace di intendere e di volere per capire che l'attingimento artificiale può provocare l'assorbimento di falde acquifere!"

Come accennavamo in precedenza, al termine dell’assemblea è stata organizzata dal Comitato Rio Fergia una piccola festa finale. Nel mangiare e bere in allegria con gli abitanti del paese, ci siamo resi conto di quanto siano importanti queste situazioni informali per superare gli egoismi personali e cementare il senso della comunità. La determinazione nella lotta, oltre che dalla ferma decisione nel difendere il bene comune, discende anche dal trovare piacere nello stare insieme, nello scherzare, nel mangiare un bel piatto di penne o bere un buon bicchiere di vino in compagnia. Un insegnamento semplice, addirittura banale, ma su cui forse tutti dovremmo adoperarci per recuperare maggiormente.


Sull'argomento, guarda nel blog anche:


Continua...