lunedì 30 giugno 2008

Inflazione al 3,8%, record dal '96. Volano i prezzi alla produzione

da Repubblica.it

ROMA - Inflazione record; prezzi alla produzione alle stelle. I dati Istat e le stime di eurostat, l'ufficio statistico delle comunità europee, delineano una crisi economica grave. A giugno l'inflazione è salita al 3,8%. Pasta e benzina schizzano verso l'alto: gli spaghetti costano il 22% in più rispetto ad un anno fa; la benzina in un mese è aumentata quasi del 5%. Nel 2007 costava il 12,6% in meno. Un grido d'allarme che si ripete in tutta l'eurozona. Seguono lo stesso trend anche i prezzi alla produzione dell'industria italiana: a maggio sono aumentati del 7,5%, la variazione tendenziale massima da gennaio 2003. Come pure il dato su base mensile, che è aumentato dell'1,5%.

L'inflazione segue l'infiammata. A giugno l'inflazione è salita al 3,8%, dal 3,6% di maggio portandosi ai massimi dal luglio 1996. Su base mensile i prezzi sono aumentati dello 0,4%. Un grido d'allarme che si ripete in tutta l'eurozona. A giugno, l'inflazione nella zona euro ha raggiunto quota 4%: è la prima volta dalla nascita di eurolandia, nel 1999. A maggio nell'eurozona l'inflazione era 3,7%; ad aprile 3,3% e a marzo 3,6%.

Benzina e alimentari accelerano l'inflazione. Sono ancora alimentari e carburanti le voci che fanno accelerare l'inflazione a giugno in Italia. In base ai dati forniti dall'Istat nella stima preliminare, i prodotti alimentari sono cresciuti del 6,1%, con un forte incremento soprattutto per la pasta i cui prezzi salgono in un anno del 22,4% (dal 20,7% di maggio). In forte tensione anche il comparto energetico (oggi nuovo massimo storico del petrolio, per la prima volta venduto a 143 dollari al barile), dove si registra un aumento dei prezzi del 14,8% annuale e del 2,8% su base mensile. L'aumento congiunturale è dovuto soprattutto ai carburanti, in particolare al gasolio, i cui prezzi in un mese sono cresciuti del 5,5%, portando l'aumento tendenziale a sfondare il 31,2% (dal 26,3%); la benzina in un mese è aumentata del 4,7% e in un anno del 12,6%.

Record prezzi alla produzione. Come per l'inflazione, è ancora l'energia che pesa maggiormente sulla variazione record dei prezzi alla produzione. Su base annua, il raggruppamento energia ha registrato un aumento del 21,5%. Rispetto al maggio di un anno fa, schizzano verso l'alto i prezzi della produzione dei prodotti petroliferi raffinati che aumentano del 32,1%. Elettricità, gas e acqua salgono del 12,9%, mentre alimentari, bevande e tabacco costano alla produzione il 10,1% in più rispetto al 2007. Simile la curva degli aumenti dei prezzi della produzione su base congiunturale, la benzina segna un più 10,3%, mentre l'energia elettrica, il gas e l'acqua salgono in un mese del 2%.

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Morirono bruciati in fabbrica. L'azienda chiede i danni ai familiari

da http://www.repubblica.it

di GIUSEPPE CAPORALE



SPOLETO - Quattro operai morti sul lavoro ed un'azienda che, a distanza di oltre due anni dal drammatico incidente, chiede ai parenti delle vittime, e all'unico superstite, trentacinque milioni di euro, come risarcimento danni. Tanto pretende la Umbria Olii dai familiari di Tullio Mocchini, Giuseppe Coletti, Wladimir Toder e Maurizio Manili. Trentacinque milioni richiesti a fratelli, figli e genitori.
L'atto legale porta la firma dell'amministratore delegato della società, Giorgio Del Papa, indagato dal giorno seguente la tragedia. Le accuse per il manager sono di disastro colposo con l'aggravante "della colpa con previsione dell'evento", violazione delle norme sulla sicurezza (tra cui l'omissione dolosa dei mezzi di prevenzione) e omicidio colposo plurimo. Secondo la procura di Spoleto, Del Papa sapeva che c'era gas esplosivo (del tipo esano, molto pericoloso) nei silos saltati in aria. E proprio quel gas, per la procura, è la causa di tutto. Per Del Papa, invece, la colpa dell'incidente è da attribuire agli operai.

I quattro, lavoravano per conto di una piccola ditta, che aveva l'appalto per lavori di manutenzione di questo colosso europeo della raffinazione dei prodotti vegetali. Secondo l'azienda, gli operai che quel giorno stavano lavorando all'installazione di una passerella per collegare due silos, avrebbero dovuto sapere che le fiamme ossidriche non potevano essere utilizzate in quell'intervento. E proprio l'uso di un saldatore sarebbe stata la causa, per la difesa, dello scoppio del silos. I quattro saltarono in aria. Dilaniati e carbonizzati. Una tragedia che nel novembre del 2006 scosse l'opinione pubblica, è poi divenuta un vicenda giudiziaria a colpi di perizie.

Da un lato le 250 pagine dei periti della procura (alcuni dei quali gli stessi intervenuti per la vicenda della Thyssen), dove si sostiene la responsabilità della Umbria Olii e la causa scatenante del gas esano. Dall'altra una perizia richiesta dall'azienda al tribunale civile, e affidata ad un consulente locale che riscontra come causa dell'incidente l'uso del saldatore. In quest'ultima perizia si sostiene che pur in presenza del gas esplosivo, se non ci fosse stato l'innesco della fiamma, lo scoppio non si sarebbe mai prodotto. Un errore, scrive il perito, commesso dagli operai "per fretta e stanchezza".

"Se la giustizia consente questo, cos'altro può succedere?" commenta sconsolato, Klaudio Demiri, unico superstite, che al momento dello scoppio era fortunatamente a bordo di una gru. Lui, ancora oggi, vive nell'incubo di quelle tremende sequenze di inferno e fuoco.

Intanto, l'11 luglio il giudice penale deciderà se disporre o meno il processo per Del Papa. A gennaio è fissata l'udienza civile per discutere del risarcimento. Il professor Giovanni Cerquetti, docente di diritto penale generale alla facoltà di giurisprudenza di Perugia, e legale di uno dei familiari delle vittime, parla di "azione irrituale e comunque infondata. Un caso singolarissimo, con azioni civili che espongono chi le ha promosse a quella che il codice di procedura civile definisce come "responsabilità aggravata per lite temeraria"".

Il legale non si riferisce solo alla maxi richiesta di risarcimento, ma anche alla precedente azione civile intentata contro i periti della procura. "Ci troviamo di fronte ad azioni di estrema gravità e sono assolutamente convinto che l'ordinamento possa garantire alle vittime di queste iniziative improvvide, tutte le tutele giuridiche idonee a ripararsi da questo attacco inaudito".


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domenica 29 giugno 2008

"Idrea-Rocchetta, giù le mani dalla nostra acqua!" Boschetto festeggia l'annullamento delle concessioni delle sorgenti del Rio Fergia (prima parte)


Giornata di festa sabato 21 giugno 2008 per il piccolo paese di Boschetto, a cavallo tra i due comuni di Gualdo Tadino e di Nocera Umbra. Motivo di celebrazione sono state le recenti sentenze del TAR dell’Umbria, le quali hanno bloccato la Delibera della Regione Umbria e l' autorizzazione ai lavori del Comune di Gualdo che permettevano alla Idrea Rocchetta di sfruttare le sorgenti del fiume Rio Fergia per l'imbottigliamento di acqua minerale. I festeggiamenti sono stati preceduti da un’assemblea pubblica cui hanno partecipato, tra gli altri, l’esponente di ATTAC Italia Marco Bersani, l’avvocato Valeria Tocchio, il sindaco di Nocera Umbra Donatello Tinti e il presidente del Comitato Rio Fergia Sauro Vitali.

Boschetto rappresenta sicuramente il caso più celebre delle vertenze territoriali attualmente in corso nella nostra regione e il Comitato per la difesa del Rio Fergia è riconosciuto come uno dei movimenti simbolo nell’opposizione alle decisioni assunte dal palazzo senza la consultazione popolare. Una vicenda su cui SocialMente Giovani si ripropone di tornare quanto prima, proprio per l’importanza che riveste nella lotta per la difesa dei beni comuni. In questo post, riassumeremo in particolare gli interventi di Marco Bersani e di Valeria Tocchio.

Marco Bersani, figura di spicco dell’associazione ATTAC Italia, è anche autore dell’interessante libro Acqua in movimento. Ripubblicizzare un bene comune in cui affronta le complesse problematiche concernenti le politiche di privatizzazione dell’acqua. Nel suo intervento a Boschetto, ha insistito molto sulla stretta correlazione che ci deve essere tra le necessità “particolari” dei singoli territori e il ripensamento di una politica globale che punti alla salvaguardia del bene collettivo.

Bersani ha evidenziato come la vicenda di Boschetto non sia rimasta confinata al solo ambito locale, ma abbia superato i confini regionali dando un contributo “psicologico” importante anche ad altre vertenze. L’esperienza del comitato Rio Fergia è stata presa come modello di riferimento anche da comunità di dimensioni ben maggiori a quella “boschettiana” e i successi ottenuti hanno dato coraggio a tutti coloro che si oppongono alle logiche di privatizzazione dei beni comuni.

Boschetto è la palese dimostrazione, secondo Bersani, dell’alto grado di avanzamento delle lotte territoriali. In un momento di grave crisi della democrazia, in cui spesso e volentieri è necessario ricorrere ai giudici per riaffermare “principi” che dovrebbero essere nel senso comune di tutti (come dimostra la recente sentenza sulla base militare di Vicenza, che di fatto ha riconosciuto che le decisioni collettive devono essere assunte consultando le popolazioni interessate), la vertenza gualdese indica che i cittadini sono spesso molto più consapevoli delle esigenze dei territori in cui vivono di quanto lo siano invece gli amministratori che li governano.

La vicenda del Rio Fergia è emblematica inoltre di come le idee liberiste ─ per cui tutti i beni materiali devono esseri immessi nel mercato e regolati secondo le relative leggi ─ siano oramai diventate trasversali alle culture politiche. Un segnale positivo è che l’opposizione a questo modo di pensare avviene da parte di persone che hanno storie, valori e cultura diverse: la lotta per l’acqua non è più una cosa di destra o di sinistra, ma, seguendo una definizione dello stesso Bersani, rappresenta “la battaglia del mondo di sotto contro il mondo di sopra”. Nella trasversalità delle esperienze, il rappresentante di ATTAC Italia individua un ulteriore elemento di grande spessore, vale a dire la constatazione che i cittadini hanno finalmente smesso di delegare e hanno deciso di riprendersi in mano il proprio destino. “Non basta un voto ogni 5 anni per permettere agli amministratori di fare tutto quello che gli passa per la testa. Quando si elegge un sindaco, [questi] deve amministrare i beni comuni e non può disporne in maniera esclusiva. Se per caso avesse in mente di venderli, prima deve consultare i cittadini. Quando si incarica una persona di fare il sindaco, non gli si consegna la proprietà della comunità, non c’è nessuna cessione di proprietà simbolica”.

E quando i cittadini si riprendono in mano il proprio destino e si uniscono insieme, si evidenzia il senso più profondo della comunità stessa. Nella lotta per la difesa del Rio Fergia, gli abitanti di Boschetto hanno riscoperto i legami sociali, la storia, la cultura del loro territorio (contemporaneamente alle sentenze favorevoli del TAR, la piccolo frazione gualdese ha potuto festeggiare anche il ritorno, nella chiesa locale di San Nicola, di quattro dipinti soggetti a lavoro di restauro). Questo instaurare un legame con il territorio e con le persone è il segnale, secondo Bersani, che la comunità è in grado di salvaguardare sé stessa e di assicurarsi un futuro migliore.

Bersani ha ricordato inoltre gli avversari che il comitato Rio Fergia ha dovuto (e dovrà ancora) affrontare. Di fronte si ha innanzitutto una Regione che ha un potere assoluto da 60 anni; indipendentemente dal colore politico, ciò comporta quasi sempre un cancro della democrazia, perché chi non ha mai dovuto confrontarsi con la messa in discussione del proprio potere, non ha più il senso di quello che significa ascoltare le persone. E poi di fronte si ha una multinazionale come la Rocchetta, “la quale non può permettersi che una piccola e sconosciuta località nel centro dell’Umbria riesca a metterle dei granelli di sabbia negli ingranaggi”. La lotta per la difesa del Rio Fergia, sebbene le sentenze del TAR abbiano segnato un punto molto importante a proprio favore, non è dunque finita e sia la Regione che la Rocchetta proveranno sicuramente a sovvertire le decisioni prese dal tribunale.

Nel continuare questa opposizione, è importante allora saper lavorare in rete, insieme a tutti gli altri comitati e associazioni che rivendicano la ripubblicizzazione dei beni comuni. In questo senso, l’Umbria ha saputo dare un segnale positivo con il forum di Ferentillo, tenutosi in maggio: in questa sede, più di 400 persone si sono riunite per far conoscere ad un livello più ampio le varie vertenze aperte nella regione e per cercare di trovare un coordinamento comune a tutti i movimenti. Come detto poi, quella del Rio Fergia rappresenta la stessa battaglia per l’acqua che si fa in Bolivia, in Ecuador, nelle Filippine, in Africa e in tante regioni italiane. L’ incontro di Boschetto è avvenuto nell’ambito della giornata nazionale di iniziativa del forum italiano dell’acqua: in quello stesso giorno (21 giugno), si svolgevano in contemporanea in tutta Italia delle iniziative più o meno importanti a favore della legge di ripubblicizzazione dell’acqua, con la quale stabilire definitivamente che l’acqua deve tornare ad essere un bene pubblico. Iniziative queste che si rendono oggi ancora più necessarie, visto che il disegno di legge presentato dal ministro Tremonti ─ progetto peraltro analogo a quello del ministro ombra Lanzillotta ─ spinge per una decisa privatizzazione di tutti i beni pubblici.

L’intervento di Bersani si è infine concluso con un ultimo incitamento alla popolazione di Boschetto a continuare la propria lotta. Questa, oltre alla difesa di un bene territoriale, acquisisce un significato più generale di fondamentale importanza: la rinascita della democrazia. “Badate bene che non c’è altra speranza di far rinascere la democrazia, perché quando la democrazia è in crisi ed è solo il mercato a decidere, l’unica possibilità è che si ricominci dal basso e che si riprendano in mano i luoghi della decisionalità politica […] Di energie ce ne sono tante, voi lo avete dimostrato. Continuiamo allora a lavorare in rete con tutte le altre esperienze, perché siamo sicuri che è esattamente da questa capacità di rete comune che si può ottenere di cambiare il quadro e la cultura di questo paese e che si può modificare quella che ci sembra una società sola e depressa, formata da persone senza più un orizzonte futuro. Voi state cominciando a costruire un pezzo di futuro, per voi stessi ma non solo per voi. Questo credo è il grande messaggio che avete saputo dare ”.
(Continua sul post del 3 luglio 2008...)



Sull'argomento, guarda nel blog anche:


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sabato 28 giugno 2008

Italien: das schöne Land


Manifesto della Razza - 1938


LE RAZZE UMANE ESISTONO. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
LA POPOLAZIONE DELL'ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
È UNA LEGGENDA L'APPORTO DI MASSE INGENTI DI UOMINI IN TEMPI STORICI. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
ESISTE ORMAI UNA PURA "RAZZA ITALIANA". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
È NECESSARIO FARE UNA NETTA DISTINZIONE FRA I MEDITERRANEI D'EUROPA (OCCIDENTALI) DA UNA PARTE E GLI ORIENTALI E GLI AFRICANI DALL'ALTRA. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani”.

Costituzione della Repubblica Italiana - 1948
art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Schedateci tutti – 2008



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Mad World - Gary Jules

All around me are familiar faces
Worn out places, worn out faces
Bright and early for their daily races
Going nowhere, going nowhere
Their tears are filling up their glasses
No expression, no expression
Hide my head I want to drown my sorrow
No tomorrow, no tomorrow

And I find it kinda funny
I find it kinda sad
The dreams in which I'm dying
Are the best I've ever had
I find it hard to tell you
I find it hard to take
When people run in circles
It's a very, very mad world mad world

Children waiting for the day they feel good
Happy Birthday, Happy Birthday
Made to feel the way that every child should
Sit and listen, sit and listen
Went to school and I was very nervous
No one knew me, no one knew me
Hello teacher tell me what's my lesson
Look right through me, look right through me

And I find it kinda funny
I find it kinda sad
The dreams in which I'm dying
Are the best I've ever had
I find it hard to tell you
I find it hard to take
When people run in circles
It's a very, very mad world ... world
Enlarge your world
Mad world

Traduzione
Tutto attorno a me ci sono facce familiari
Posti sfiniti, sfinite facce
Radiosi e troppo presto per le loro giornaliere corse
Andando da nessuna parte, andando da nessuna parte
E le loro lacrime stanno colmando i loro bicchieri
No espressione, no espressione
Nascondo la mia testa, io voglio annegare il mio dispiacere
No domani, no domani

E io lo sento un tipo di divertimento
Io trovo un tipo di tristezza
I sogni nei quali sto morendo
Sono i migliori che abbia mai avuto
Io lo trovo difficile da dirlo a te
Perché lo trovo difficile da prendere
Quando le persone corrono in cerchio
È un veramente, veramente

Pazzo mondo

I bambini stanno aspettando il giorno che si sentono bene
Buon compleanno, buon compleanno
Fatto per sentire il modo che ogni bambino dovrebbe
Siedi e ascolta, siedi e ascolta
Andavo a scuola ed ero molto nervoso
Nessuno mi conosceva, nessuno mi conosceva
Salve maestro dimmi qual è la mia lezione
Guarda nel modo giusto attraverso me, guarda attraverso me


(Grazie a Lorenzo per questa traduzione)



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Che fare di fronte al trionfo della mercificazione dell'acqua?

di Riccardo Petrella dal giornale Liberazione del 28/06

Certamente la Signora Lanzillotta, il Signor Bersani e tutti coloro che in seno all'ex-governo di centro sinistra si sono battuti (e sono stati in tanti) per la liberalizzazione/privatizzazione dei servizi idrici, sono felici. Finalmente sono riusciti, grazie ai Signor Tremonti, Alemanno e Berlusconi, a realizzare il loro sogno di vedere la concorrenza, la competitività, la performance commerciale, la dimensione industriale, la creazione di ricchezza per il capitale privato (ma anche pubblico: si pensi ai dividendi per i Comuni azionisti!) orientare il governo dei servizi pubblici locali.
Che bello, si diranno crogiolandosi al calore dell'articolo sulle liberalizzazioni del nuovo decreto legge 112 del 25 giugno 2008, ora tutto è più chiaro e conforme agli imperativi della modernizzazione dell'economia italiana per adeguarla ai canoni della globalizzazione dei mercati finanziari mondiali! A partire dall'entrata in vigore del decreto, la gestione dell'acqua deve essere affidata, via gara pubblica, principalmente a due tipi di impresa, quella a capitale privato e quella a capitale misto (dove il capitale privato non puo' essere inferiore al 30%). Anche se l'affidamento ad un'impresa «pubblica» in house non sparisce formalmente, esso sarà possibile solo nelle situazioni che non consentono un efficace ed utile ricorso al mercato, adeguatamente motivate all'Antitrust con un'analisi di mercato e una valutazione comparativa con l'offerta privata. Ad ogni modo,tutti gli appalti acquisiti con affidamenti in house senza gara cesseranno la loro efficacia al più tardi il 31 dicembre 2010.
Con queste nuove disposizioni, il governo dell'acqua in Italia non sfugge più alla sottomissione esplicita agli interessi di lucro e di potere di controllo del capitale privato sulle risorse idriche del Paese. Il terzo governo Berlusconi ha applicato all'acqua la visione mercantile capitalista più pura oggi in voga fondata sui seguenti principi:
- principio della merce universale: tutto - qualunque sia il bene ed il servizio, materiale ed immateriale, naturale ed artificiale - è risorsa/bene economico/merce (anche l'acqua, anche le persone…);
- principio del costo: la fruizione di qualunque risorsa/bene economico/merce comporta dei costi, il cui parametro di definizione e di valutazione è soprattutto monetario/finanziario. Certo, dicono i vari Lanzillotta, Bersani, Alemanno, Tremonti, Berlusconi, l'acqua è un bene della natura, un dono di Dio, ma la natura (e Dio) hanno dimenticato di dare i tubi, i serbatoi, i potabilizzatori, e questi costano, si devono pagare;
- principio del finanziamento dal consumo: la copertura dei costi deve essere assicurata da coloro che fruiscono, tirandone un beneficio, dell'uso delle risorse/beni/merci, cioè i consumatori/utenti. «Chi consuma paga». Da qui anche il principio «chi inquina paga», allorché si dovrebbe affermare «chi inquina non può». In altri termini, «l'acqua finanza l'acqua», come le autostrade devono finanziare le autostrade, l'università finanzia l'università (vedasi la trasformazione delle università in fondazioni), il malato finanzia l'ospedale, ed il pensionato finanzia la sua pensione (via la pensione per capitalizzazione). L'applicazione di questo principio rappresenta la fine del «fare società», la negazione della comunità sociale.
- il principio del prezzo «giusto» di mercato: il «prezzo» dell'acqua (oramai si parla di prezzo dell'acqua all'ingrosso, di prezzo dell'acqua prodotta/distribuita ed al consumo, di prezzo dell'acqua riciclata e riutilizzabile...) deve fondarsi sul criterio del recupero dei costi totali (compreso il profitto). Per questo, ad esempio, la tariffa dell'acqua potabile è determinata, già nella Legge Galli del 1994 sul servizio idrico integrato, in funzione di tre elementi chiave dell'economia capitalista che sono il revenue cap regulation , il price cap ,ed il rate of return …;
- ed, infine, il principio del valore attraverso lo scambio sui mercati concorrenziali: ogni risorsa/bene/merce ha valore se è scambiata/o e se contribuisce alla creazione di ricchezza per il capitale finanziario. Non v'è produzione di ricchezza - afferma il capitalismo di mercato - senza scambio, al di fuori del mercato e della concorrenza.
In breve, l'acqua non vale perchè è vita. Un fiume non ha valore perchè è «arteria» della Terra. L'accesso all'acqua non è un diritto. Queste visioni sono considerate puro romanticismo naturalista retrogrado I diritti, dicono, devono essere pagati da chi ne trae vantaggio... I ghiacciai non sono e non possono essere eterni. Se spariscono, dicono i potenti del capitalismo mondiale, produrremo acqua dolce dagli oceani grazie a centinaia e migliaia di stazioni di dissalamento! Secondo il nuovo decreto legge, una gestione democratica e partecipata dell'acqua non è assicurata dalla gestione pubblica ma dalla concorrenza sul mercato e dalle scelte del consumatore in sintonia con gli interessi degli azionisti. Quando un'impresa privata dell'acqua produce alti profitti, significa che essa è stata capace di creare grande sintonia essendo stata scelta dagli utenti/consumatori e dagli investitori perché avrebbe risposto ai loro interessi e bisogni. E questo è la democrazia! Prima di Tremonti e della Lanzillotta, questa tesi è stata difesa negli ultimi venti anni dai grandi capi della Générale des Eaux, di Nestlé, di Coca-Cola… e della City.
Ciò detto, che fare di fronte alla situazione creatasi? Cosa possono fare i 406mila cittadini firmatari della proposta di legge nazionale sull'acqua bene comune di iniziativa popolare trasmessa al Parlamento italiano nel 2007 e che la maggioranza parlamentare del centro-sinistra lasciò nei tiretti delle cose da esaminare?
Certo, battersi affinché il nuovo Parlamento esamini la proposta di legge in questione è prioritario, necessario e doveroso, essendo coscienti, tuttavia, del fatto che se il Parlamento del centro-sinistra non l'ha fatto, l'attuale, se lo farà, non deciderà evidentemente di dar seguito alla proposta. Ma la battaglia deve essere condotta.
E' sul terreno dei comuni e delle regioni, innanzitutto, che si devono concentrare le azioni da intraprendere nei prossimi mesi. La gestione pubblica resta possibile non solo costituzionalmente, ma anche con le nuove disposizioni. Il tutto è sapere se localmente, specie laddove la classe politica dirigente attuale è rimasta quella di «sinistra», vorrà e sarà capace di impedire - cosa che è in principio possibile - la privatizzazione del capitale delle imprese ancora a totale capitale pubblico. E' il caso, fra gli altri, della Puglia e dell'Aqp dove l'urgenza è di andare al di là della grande retorica - affascinante e trainante - che costituisce la forza del governatore della Puglia, principale «tutore» dell'Acquedotto Pugliese, e di tradurla in processi reali di fecondazione del tessuto sociale e di trasformazione del vissuto quotidiano.
In questa direzione, mi sembra che un campo di iniziative importanti dovrebbe (ri)diventare la battaglia della ripubblicizzazione e della rilocalizzazione di tutto il settore delle acque minerali in bottiglia e della promozione della «pubblicità» dell'acqua di rubinetto (case dell'acqua, nuove reti di «fontanine» pubbliche, sostituzione dei distributori di bevande dolci gassate nelle scuole, negli edifici e spazi pubblici…). Si tratta di una grande sfida con risvolti notevoli sul piano energetico, della gestione del territorio, dei modi di vita, del potere di acquisto, della finanza locale.
Senza dimenticare, le azioni forti da prendere o da rinforzare a livello europeo (specie per quanto riguarda le direttive in materia di servizi pubblici ed il rinnovo della direttiva europea acqua, la gestione del suolo, la lotta contro l'inquinamento...), ed a livello internazionale e mondiale (riconoscimento del diritto umano all'acqua, acqua e strategie di lotta contro gli effetti del cambiamento climatico, con l'obiettivo di inserire le problematiche dell'acqua nell'agenda politica mondiale dei negoziati per l'accordo 2013 post-Kyoto).
Le misure prese dal governo Berlusconi non mettono la parola fine alla battaglia per l'acqua come diritto umano universale, come bene comune pubblico mondiale, come espressione della sacralità della vita e strumento di saggezza umana, di pace e di solidarietà fra i popoli. Il futuro non è finito.

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venerdì 27 giugno 2008

"La Guerra Fredda culturale" di Frances Stonor Saunders



Il volume della scrittrice inglese Frances Stonor Saunders costituisce un resoconto ampio e dettagliato della massiccia rete di finanziamenti ad intellettuali ed organi della cultura europea posta in essere dalla CIA dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale attraverso il Congresso per la Libertà della Cultura (Congress for Cultural Freedom). Fondato alla fine di giugno del 1950 a Berlino, questo Congresso costituisce una delle espressioni più velate, ma più rilevanti, della Guerra Fredda. La creazione di questa associazione di intellettuali, che hanno come finalità comune la difesa delle libertà di espressione, nelle sue varie forme, rappresenta lo strumento adottato dal mondo occidentale per contrastare la politica culturale sovietica. La “battaglia per la conquista delle menti degli uomini” (o Kulturkapf) diventa il principale terreno di scontro della guerra psicologica condotta con metodi pacifici tra Occidente e Unione Sovietica. Nel volume la Saunders mostra come il funzionamento del Congresso dipendeva da finanziamenti segreti governativi, elargiti dalla CIA attraverso la copertura di un Consorzio di fondazioni filantropiche. Attraverso quella che Edward Wadie Said, teorico letterario, critico e attivista politico palestino-americano, docente di Inglese e Letteratura comparata alla Columbia University ha definito “una grande opera di indagine storica”, l’autrice ripercorre le dinamiche di finanziamento di espressioni culturali occidentali rilevanti del secondo dopoguerra (soprattutto riviste, tra cui l’italiana Tempo Presente diretta da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte), dimostrando in maniera documentata una loro vitale dipendenza economica.
Occorre dunque chiedersi se un certo tipo di dipendenza economico-finanziaria possa aver avuto o meno un’influenza su quella libertà di espressione rivendicata dagli intellettuali occidentali, in contrapposizione ad una “cultura di Stato” tipica del sistema oppressivo sovietico. Ovviamente è indubbia la necessità materiale di finanziamenti per far funzionare riviste, per organizzare congressi e convegni; ma la questione in questo caso è molto più delicata: il finanziamento da parte di un’agenzia governativa, nella programmazione di una guerra propagandistica psicologica finalizzata a contrastare il Kulturkampf sovietico, ha limitato la libertà di espressione degli intellettuali che facevano capo al Congresso? Lo sviluppo di una forma di “mecenatismo culturale” (come dice l’autrice, “chi paga il pifferaio decide la musica”) non può certo essere posto su un piano paritetico con i metodi utilizzati dalle politiche culturali sovietiche, in quanto fanno riferimento a due visioni ideologiche completamente contrapposte: una democratica e liberale, l’altra repressiva propria di uno Stato totalitario. Tuttavia, in entrambi i casi, la finalità è la stessa: lo sviluppo di una campagna di persuasione ampia. Personalmente ritengo che il ruolo degli intellettuali del Congresso in questa guerra culturale sia stato ambiguo. Da un lato infatti, nel “Manifesto della libertà”, pietra del Congresso, si definisce la libertà come il “diritto di avere e di esprimere le proprie opinioni, in particolare opinioni diverse da quelle dei propri governi”, e si afferma che questa deve trovare un’espressione indipendente dalla politica e dalla propaganda; d’altro lato però, proprio questi stessi principi basilari vengono disattesi: l’assenza di posizioni critiche nei confronti degli USA, o la particolare disciplina dei casi in cui queste si manifestano (vedi caso Rosenberg o la questione razziale), la presenza all’interno del Congresso di agenti o individui vicini alla CIA, ed il fatto che molti sapevano o immaginavano la provenienza dell’ingente ed ininterrotto flusso di finanziamenti, fanno sorgere dubbi legittimi sia sulla piena libertà di espressione di questi intellettuali, sia sul ruolo strumentale del Congresso.Chiaramente i membri che ne facevano parte hanno fatto una scelta ideologica consapevole e moralmente sincera dei suoi intenti; tuttavia la selezione del personale del Congresso (ex marxisti trockisti, intellettuali della sinistra non comunista, convertiti politici) può rappresentare l’espressione riuscita di una guerra psicologica, condotta in modo tale da utilizzare il tipo di propaganda più efficace, quella cioè in cui “il soggetto opera nella direzione richiesta per motivi che ritiene essere propri”. Tuttavia, nel momento in cui la coscienza morale di un intellettuale non può rimanere cieca e muta di fronte agli atteggiamenti imperialisti della politica estera americana (guerra del Vietnam, Baia dei Porci su tutti), ed il soggetto cambia la propria direzione, iniziando a criticare anche gli Stati Uniti, il Congresso diventa uno strumento obsoleto e controproducente nella guerra culturale e psicologica della CIA, perdendo quindi la sua principale fonte di sostentamento; e la seguente pubblicazione dell’origine dei finanziamenti, confermata dal “tradimento” di Braden, dirigente della CIA, probabilmente con l’accondiscendenza dell’Agenzia stessa, ne determina la crisi ed il collasso. Se dunque, secondo la filosofia dello stesso Braden, il mecenatismo porta con sé il dovere di istruire, di insegnare alla gente ad accettare non quello che voleva, o pensava di volere, ma quello che avrebbe dovuto avere, non si può non riconoscere, a mio giudizio, il fatto che il parametro di libertà offerto dagli intellettuali del Congresso non fosse pienamente libero, in quanto basato sull’imperativo contraddittorio della “menzogna necessaria”, utilizzata per contrastare la politica culturale sovietica con la medesima tecnica. Per quanto dunque il Congresso può rappresentare un’associazione derivante dalla manifestazione di una volontà autentica, spontanea, profonda e sincera di esportare il concetto di libertà in opposizione al fascino esercitato dal marxismo e dal comunismo, il legame vitale che si è venuto a creare tra questo e la CIA ne limita fortemente la moralità e la credibilità degli intenti. Come giustamente affermava l’intellettuale ed editore americano William Phillips infatti, “il finanziamento viola la natura stessa di una libera impresa intellettuale, in particolare quando le sovvenzioni arrivano da un organo governativo ben organizzato, con un proprio programma di priorità politiche”. Libro sicuramente da leggere. Analizza in modo non ideologicizzato né politicizzato, ma documentato e critico, un aspetto insolito di un periodo fondamentale della storia contemporanea. I temi di fondo che percorrono il testo, il finanziamento della cultura e l’effettività della libertà di pensiero, risultano essere estremamente attuali in un contesto come quello italiano in cui è ancora aperto il dibattito sui finanziamenti pubblici all’editoria, e che l’istituto di ricerca Freedom House considerava, da un punto di vista di libertà di stampa, parzialmente libero ancora nel 2006, a parimerito con Botswana e dietro a Mongolia e Bulgaria.


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giovedì 26 giugno 2008

Usa, diritto a possedere armi confermato dalla Corte Suprema

WASHINGTON - Con una sentenza storica e destinata a far discutere, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato, rafforzandolo, il diritto individuale dei cittadini a possedere armi da fuoco. Viene così ribadita la validità del secondo emendamento della costituzione americana e viene dichiarata incostituzionale la legge del distretto di Columbia, dove sorge la capitale Washington, che invece vieta ai propri residenti di avere pistole e fucili. La questione ha diviso i nove giudici della Corte Suprema, che si sono pronunciati per 5-4. Decisivo è stato il voto del moderato Anthony Kennedy che si è unito ai quattro conservatori assicurando loro la maggioranza nello stabilire che quello a portare le armi è un diritto individuale e non collettivo. Questo significa che è inviolabile al pari del diritto al voto o della libertà di espressione. Il caso si era trasformato in un test nazionale sul diritto al porto d'armi, perché ha spinto la Corte Suprema a far chiarezza sull'interpretazione del secondo emendamento alla Costituzione, che sancisce dal 1791 il diritto a essere armati ma la cui interpretazione è da sempre oggetto di acceso dibattito. Il paragrafo infatti garantisce il diritto di possedere armi per difesa personale a "milizie organizzate", ma non è chiaro se si riferisca anche ai singoli cittadini. In particolare la municipalità di Washington proibisce dal 1976 il possesso di qualsiasi arma non registrata. Senza una licenza, non si può neanche trasportare un'arma da una camera all'altra della stessa casa. E le pistole in regola non devono avere il proiettile in canna. Un provvedimento severo, introdotto per fermare la cronica violenza nelle strade della capitale.
A fare ricorso è stata una guardia giurata, Dick Heller, affermando che se poteva avere un'arma al lavoro allora aveva il diritto di tenerne una anche in casa per autodifesa. L'uomo, insieme ad altre sei persone, si appellava al fatto che difendere la propria famiglia e nella propria casa (in un quartiere pericoloso) fosse un diritto insindacabile e al fatto che non essere armato fosse da irresponsabili. Nel marzo del 2007 una corte federale ha dato ragione a Heller, decidendo per la non costituzionalità del divieto. Tuttavia la città, dicendosi contraria al "grilletto facile", si è appellata contro la sentenza spedendo il caso alla Corte Suprema, il maggiore organismo giudiziario degli Stati Uniti. La sentenza, l'ultima dell'anno giudiziario della Corte, è ora destinata a entrare nella campagna elettorale, per le inevitabili conseguenze che avrà nel dibattito tra i candidati alla Casa Bianca. La decisione dei giudici potrebbe avere ripercussioni anche a livello nazionale, sulle leggi che regolano il porto d'armi anche in altri Stati. Quando fu scritto il secondo emendamento, più di 200 anni fa, gli Usa si trovavano in un periodo storico in cui i nascenti Stati d'America avevano ognuno delle milizie proprie. Niente a che vedere con la situazione attuale, con il fantasma di stragi come quella di Columbine. L'ultima in ordine di tempo risale allo scorso febbraio quando una giovane ha sparato in una università della Louisiana uccidendo due studentesse prima di suicidarsi. Poche ore prima nel municipio di Kirkwood, un sobborgo di St. Louis, nel Missouri, un uomo aveva ucciso cinque persone, prima di venire ucciso dai proiettili di un poliziotto. In quella giornata furono resi noti alcuni dati forniti dall'Fbi secondo cui in mano ai privati americani ci sono 200 milioni di armi, senza contare quelle di militari, poliziotti e professionisti della sicurezza, un numero che cresce al ritmo di quasi cinque milioni ogni anno. C'è un'arma in quasi metà delle case americane, esattamente in 48 milioni di famiglie. L'acquisto di un'arma negli Usa è cosa quanto mai facile e in 48 Stati è libera la vendita anche dei fucili d'assalto.


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Berlusconi attacca i PM - Metastasi della democrazia

di Rina Gagliardi - Liberazione.it

Sembra impazzito, ma forse non è mai stato così compos sui . Padrone dei suoi comportamenti (oltre che, ahimé, dei nostri) e quasi scientificamente proteso alla costruzione di un clima sempre più teso, isterico, inquietante. Parliamo, naturalmente, di Silvio Berlusconi. Ieri, il Cavaliere primo ministro è andato a testa bassa, per l'ennesima volta, contro la magistratura. All'assemblea della Confesercenti (che forse l'aveva invitato per sentir qualche proposta su prezzi e inflazione) ha parlato, per l'ennesima volta, di «pm e magistrati ideologizzati» che, più o meno, vogliono sovvertire la democrazia e perciò lo perseguitano occupandosi ossessivamente di lui. Ma, stavolta, è andato perfino oltre definendo i suddetti magistrati, testualmente, «una metastasi della democrazia». Un livello di polemica sobrio e misurato, non c'è che dire, come aveva chiesto, poco prima, un sempre più imbarazzato e preoccupato Giorgio Napolitano. Un comiziaccio che ha stupito e inquietato perfino i commercianti presenti, tanto che nella sala si è sentito più d'un fischio. Ma Berlusconi non se n'è dato per inteso, e ha aggiunto, per quel che poteva, benzina sul fuoco - strapazzando Veltroni, il Pd, il dialogo bipartisan, il "giustizialismo" della sinistra, e via giù il repertorio consueto. Al quale, per la verità, il premier ha aggiunto un concetto non del tutto rassicurante: in sostanza, ha annunciato che, in nome della tutela dell'ordine pubblico e in ragione del fatto che non si possono aumentare le forze di polizia, d'ora in poi l'esercito sarà sempre più adibito a compiti repressive diretti. Insomma, la militarizzazione delle discariche imposte ai cittadini della Campania è solo il primo passo di una pratica che potrebbe generalizzarsi ad ogni grande opera. Qualche brividino corre per la schiena. A forza di ripetere che i magistrati vogliono «sovvertire» il risultato elettorale, e che comunque l'«architettura» dello Stato è «antica e inadeguata»; a forza di ribadire che il governo - e Lui personalmente - hanno le «mani legate»; a forza di evocare l'uso dell'esercito per mettere in riga chiunque protesti o occupi una strada, non è che al Berlusca sono venute in testa idee esplicitamente autoritarie, presidenzialiste, antidemocratiche oltre che a-democratiche?



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Grande festa per l’inaugurazione del Comune

Articolo tratto dal Giornale dell'Umbria 25/06

BASTIA - L'amministrazione comunale di Bastia Umbra invita tutti i cittadini domenica pomeriggio alle ore 17.30 alla festa organizzata per inaugurare la nuova sede comunale. L'edificio, completamente ristrutturato, è stato corredato di strumenti tecnologici e mobilio adatti a rispondere alle esigenze della cittadinanza. Mentre gli uffici stanno lavorando per garantire sin da subito alti livelli di efficienza e disponibilità, quella di domenica vuol essere una vera e propria festa. Spazi musicali, esibizioni teatrali e angoli gastronomici insieme alle performance della banda musicale, dei burattini e dei saltimbanchi. "Un bene comune" commenta il primo cittadino "che diviene concretamente a disposizione della collettività. Un lavoro minuzioso e costante che abbiamo portato avanti con decisione e velocità, come ci eravamo impegnati a fare. Un'opera importante che mette a disposizione di tutti uffici moderni, attrezzati e qualificati. E la festa che vogliamo vivere insieme domenica non vuol essere il traguardo del nostro impegno ma l'inizio di un nuovo modo di intendere gli interventi pubblici a vantaggio di tutti". L’inaugurazione della sede comunale arriva al termine di una serie di lavori che sono stati effettuati per migliorare anche l’intera zona di via Colomba Antonietti che è diventata un vero e fiore all’occhiello della città di Bastia.

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mercoledì 25 giugno 2008

Intervista a Jeremy Rifkin




"Ora, al tramonto della seconda rivoluzione industriale ci sono alcune situazioni davvero molto critiche. Il prezzo dell’energia sta drammaticamente salendo e il mercato mondiale del petrolio si è appena avviato al suo picco di produzione. I prezzi del cibo sono raddoppiati negli ultimi anni poiché la produzione di cibo è prevalentemente basata sui combustibili fossili. Appena raggiungeremo il picco della produzione di petrolio, i prezzi saliranno, l’economia globale ristagnerà, avremo recessione e ci saranno persone che non riusciranno a mettere in tavola qualcosa da mangiare. Il “picco del petrolio” avviene si è usato metà del petrolio disponibile. Quando questo avverrà, quando saremo all’apice di questa curva, saremo alla fine dell’era del petrolio perché il costo di estrazione non sarà più sostenibile. Quando arriveremo al picco? L’ottimista agenzia internazionale per l’energia dice che ci arriveremo probabilmente attorno al 2025-2035. D’altra parte negli ultimi anni alcuni dei più grandi geologi del mondo, utilizzando dei modelli matematici molto avanzati, rilevano che arriveremo al picco tra il 2010 e il 2020. Uno dei maggiori esperti sostiene che il picco è già stato raggiunto nel 2005. Ora, il giacimento del Mare del Nord ha raggiunto il picco 3 anni fa. Il Messico, il quarto produttore mondiale, raggiungerà il picco nel 2010, come probabilmente la Russia. Nel mio libro, Economia all’idrogeno, ho speso molte parole su questa questione. Io non so chi ha ragione, gli ottimisti o i pessimisti. Ma questo non fa alcuna differenza, è una piccolissima finestra. La seconda crisi legata al tramonto di questo regime energetico è l’aumento di instabilità politica nei Paesi produttori di petrolio. Dobbiamo capire che oggi un terzo delle guerre civili nel mondo è nei Paesi produttori di petrolio. Immaginate cosa accadrà nel 2009, 2010, 2011, 2012 e così via. Tutti vogliono il petrolio, il petrolio sta diventando sempre più costoso. Ci saranno più conflitti politici e militari nei Paesi produttori. Infine, c’è la questione dei cambiamenti climatici. Se prendiamo gli obiettivi dell’Unione Europea sulla riduzione della Co2, e la UE è la più aggressiva del mondo in questo senso, anche se riuscissimo a raggiungere quegli obiettivi ma non facessero lo stesso India, Cina e altri Paesi, la temperatura aumenterà di 6°C in questo secolo e sarà la fine della civilizzazione come la conosciamo. Lasciatemi dire che quello di cui abbiamo bisogno adesso è un piano economico che sia sufficientemente ambizioso ed efficace per gestire l’enormità del picco del petrolio e dei cambiamenti climatici. Lasciatemi dire che le grandi rivoluzioni economiche accadono quando l’umanità cambia il modo di produrre l’energia, primo, e quando cambia il modo di comunicare, per organizzare questa rivoluzione energetica. All’inizio del XX secolo la rivoluzione del telegrafo e del telefono convergeva con quella del petrolio e della combustione interna, dando vita alla seconda rivoluzione industriale. Ora siamo al tramonto di quella rivoluzione industriale. La domanda è: come aprire la porta alla terza rivoluzione industriale. Oggi siamo in grado di comunicare peer to peer, uno a uno, uno a molti, molti a molti. Io sto comunicando con voi via Internet. Questa rivoluzione “distribuita” della comunicazione, questa è la parola chiave: “distribuita”, questa rivoluzione “piatta”, “equa” della comunicazione proprio ora sta cominciando a convergere con la rivoluzione della nuova energia distribuita. La convergenza di queste due tecnologie può aprire la strada alla terza rivoluzione industriale. L’energia distribuita la troviamo dietro l’angolo. Ce n’è ovunque in Italia, ovunque nel mondo. Il Sole sorge ovunque sul pianeta. Il vento soffia su tutta la Terra, se viviamo sulla costa abbiamo la forza delle onde. Sotto il terreno tutti abbiamo calore. C’è il mini idroelettrico. Queste sono energie distribuite che si trovano ovunque. L’Unione Europea ha posto il primo pilastro della terza rivoluzione industriale, che sono le energie rinnovabili e distribuite. Primo, dobbiamo passare alle energie rinnovabili e distribuite. La UE ha fissato l’obiettivo al 20%. Secondo, dobbiamo rendere tutti gli edifici impianti di generazione di energia. Milioni di edifici che producono e raccolgono energia in un grande impianto di generazione. Questo già esiste. Terzo pilastro: come accumuliamo questa energia? Perché il Sole non splende sempre, nemmeno nella bellissima Italia. Il vento non soffia sempre e le centrali idroelettriche possono non funzionare nei periodi di siccità. Il terzo pilastro riguarda come raccogliamo questa energia e la principale forma di accumulo sarà l’idrogeno. L’idrogeno può accumulare l’energia così come i supporti digitali contengono le informazioni multimediali. Infine, il quarto pilastro, quando la comunicazione distribuita converge verso la rivoluzione energetica generando la terza rivoluzione industriale. Prendiamo la stessa tecnologia che usiamo per Internet, la stessa, e prendiamo la rete energetica italiana, europea e la rendiamo una grande rete mondiale, come Internet. Quando io, voi e ognuno produrrà la sua propria energia come produciamo informazione grazie ai computer, la accumuliamo grazie all’idrogeno come i media con i supporti digitali, potremo condividere il surplus di produzione nella rete italiana, europea e globale nella “InterGrid”, come condividiamo le informazioni in Internet. Questa è la terza rivoluzione industriale. Io lavoro con molte tra le più grandi aziende energetiche del mondo, come consulente. Lasciatemi fare una considerazione in termini di business, non in termini ideologici. Non credo che l’energia nucleare sarà significativa in futuro e credo che sia alla fine del suo corso e qualsiasi governo sbaglierebbe a investire nell’atomo. Vi spiego le ragioni. Non produciamo Co2 con gli impianti nucleari, quindi dovrebbe essere parte della soluzione ai problemi climatici. Ma guardiamo ai numeri. Ci sono 439 impianti nucleari al mondo, oggi, che producono solo il 5% dell’energia che consumiamo. Questi impianti sono molto vecchi. C’è qualcuno in Italia o nel mondo che davvero crede che si possano rimpiazzare i 439 impianti che abbiamo oggi nei prossimi vent’anni. Anche se lo facessimo continueremmo a produrre solo il 5% dell’energia consumata, senza alcun beneficio per i cambiamenti climatici. E’ chiaro che perché ne avesse, dovrebbero coprire almeno il 20% della produzione. Ma perché la produzione di energia sia per il 20% nucleare, dovremmo costruire 3 centrali atomiche ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni. Capito? Duemila centrali atomiche. Tre nuove centrali ogni mese per sessant’anni. Non sappiamo ancora cosa fare con le scorie. Siamo nell'energia atomica da 60 anni e l'industria ci aveva detto: "Costruite gli impianti e dateci tempo sufficiente per capire come trasportare e stoccare le scorie". Sessant'anni dopo questa industria ci dice "Fidatevi ancora di noi, possiamo farcela", ma ancora non sanno come fare. L'agenzia internazionale per l'energia atomica dice che potremmo avere carenza di uranio tra il 2025 e il 2035, facendo cosi' morire i 439 impianti nucleare che producono il 5% dell'energia del mondo. Potremmo prendere l'uranio che abbiamo e convertirlo in plutonio. Ma avremmo il pericolo del terrorismo nucleare. Vogliamo davvero avere plutonio in tutto il mondo in un'epoca di potenziali attacchi terroristici? Credo sia folle. E infine, una cosa che tutti dovrebbero discutere col vicino di casa: non abbiamo acqua! Questo le aziende energetiche lo sanno ma la gente no. Prendete la Francia, la quintessenza dell'energia atomica, prodotta per il 70%. Questo e' quello che la gente non sa: il 40% di tutta l'acqua consumata in Francia lo scorso anno, e' servita a raffreddare i reattori nucleari. Il 40%. Vi ricordate tre anni fa, quando molti anziani in Francia morirono durante l'estate perche' l'aria condizionata era scarsa? Quello che non sapete e' che non ci fu abbastanza acqua per raffreddare i reattori nucleari, che dovettero diminuire la loro produzione di elettricita'. Dove pensano di trovare, l'Italia e gli altri Paesi, l'acqua per raffreddare gli impianti se non l'ha trovata la Francia? Quello che dobbiamo fare è democratizzare l’energia. La terza rivoluzione industriale significa dare potere alle persone e per la generazione cresciuta con la Rete questo è la conclusione e il completamento di questa rivoluzione, proprio come ora parliamo in Internet, centinaia di persone sono in Internet, ed è tutto gratuito, e questi possono creare il più grande, decentralizzato, network televisivo, open source, condiviso…perché non possiamo farlo con l’energia? L’Italia è l’Arabia Saudita delle energie rinnovabili! Ci sono così tante e distribuite energie rinnovabili nel vostro Paese! Mi meraviglio quando vengo nel vostro Paese e vedo che non vi state muovendo nella direzione in cui si muove la Spagna, aggressivamente verso le energie rinnovabili. Per esempio, voi avete il Sole! Avete così tanto sole da Roma a Bari. Avete il Sole! Siete una penisola, avete il vento tutto il tempo, avete il mare che vi circonda, avete ricche zone geotermiche in Toscana, biomasse da Bolzano in su nel nord Italia, avete la neve, per l’idroelettrico, dalle Alpi. Voi avete molta più energia di quella che vi serve, in energie rinnovabili! Non la state usando…io non capisco. L’Italia potrebbe. Credo che, umilmente, quel che posso dire al governo italiano è: a che gioco volete giocare? Se il vostro piano è restare nelle vecchie energie, l’Italia non sarà competitiva e non potrà godere dell’effetto moltiplicatore sull’economia della terza rivoluzione industriale per muoversi nella nuova rivoluzione economica e si troverà a correre dietro a molti altri Paesi col passare del XXI secolo. Se invece l’Italia deciderà che è il momento di iniziare a muoversi verso la terza rivoluzione industriale, le opportunità per l’Italia e i suoi abitanti saranno enormi. Da anni seguo il tuo sito, vorrei che ci fossero voci come la tua in altri Paesi. Ha permesso a cosi' tante persone di impegnarsi insieme...credo sia istruttivo rispetto alla strada che dobbiamo intraprendere."Jeremy Rifkin


Su Jeremy Rifkin, guarda nel blog anche la recensione di Economia all'idrogeno .


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martedì 24 giugno 2008

La Fiat apre in Serbia

dal Sole24ore

L’Est europeo sta diventando sempre più l’Eldorado per i costruttori automobilistici: a distanza di pochissimi giorni dall’annuncio del nuovo stabilimento ungherese di Mercedes arriva la notizia che vuole Fiat “in trasloco” da Termini Imerese.

Meta, la Serbia, precisamente Kragujevac e le sue strutture produttive della Zastava. Motivo, la saturazione delle linee di Tychy in seguito al successo della 500 e la necessità impellente di dislocare altrove la produzione della futura piccola di casa.

Troppo lunghi i tempi della burocrazia italiana per un ampliamento di Termini Imerese, secondo Sergio Marchionne. Il quale ha dunque scommesso sulla Serbia. Ecco tutti i dettagli del memorandum d’intesa.

Fiat dovrebbe assumere circa 2000 persone nella joint venture con Zastava, di cui Torino avrà il 70% del capitale. L’investimento sarà di 700 milioni di euro ripartiti fra i due partner, per una capacità produttiva prevista di 300.000 unità l’anno.

Gli uomini del Lingotto sono già a Kragujevac a studiare l’azienda in dettaglio, e il contratto definitivo dovrebbe essere firmato già nei prossimi mesi: Fiat vuole accorciare i tempi ed avviare la produzione della piccola al massimo all’inizio del 2010. La comunanza di interessi è stata naturalmente “cementata” da una serie di aiuti e da un vantaggio che resta incolmabile per quanto riguarda il costo della manodopera.

Le autorità serbe forniranno incentivi per un centinaio di milioni di euro tra contributi diretti (si parla di 3000-5000 euro per ogni assunto), esenzioni fiscali -verrà creata una zona franca valida anche per i subfornitori, dove potranno essere importati materie prime e semilavorati senza dazi- e altre agevolazioni. La città, per esempio, concederà gratuitamente i terreni per gli eventuali ampliamenti.

Tutti questi incentivi non basterebbero senza il consistente differenziale nel costo del lavoro. La paga media netta dell’operaio serbo arriva a 300 euro al mese, e il lordo per l’azienda a 450 (circa 3 euro l’ora). Kragujevac inoltre è logisticamente in una posizione non più sfavorevole di Termini Imerese: per via stradale, per esempio, è più vicina a Milano (1162 chilometri contro i 1435 dall’impianto siciliano) e vanta inoltre una lunga tradizione industriale, dato che la prima fabbrica risale al 1853.

Il tasso di disoccupazione del 30%, l’anzianità degli attuali dipendenti, la presenza di una popolazione universitaria di 16.000 giovani, con tanto di facoltà di meccanica, sono le restanti condizioni che rendono tanto appetibile questa cittadina slava.

Per Fiat, oltre alla terza base produttiva a basso costo (dopo Polonia e Turchia), c’è anche la grande opportunità del mercato russo in pieno boom. E la Serbia è l’unico Paese fuori dall’ex-Urss ad avere un accordo di libero scambio con la Russia, in base al quale -per esempio- Zastava rifornisce già di componenti esenti da dazi, la AvtoVaz.

L’accordo non copre per ora le auto intere ma il governo serbo sta negoziando per la sua estensione. Potrebbe diventare Zastava il marchio low-cost del gruppo Fiat? Le premesse ci sono già tutte, come sembra testimoniare lo striscione dedicato alla casa torinese.



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lunedì 23 giugno 2008

OGGI L’ACQUA TORNA AD ESSERE UN BENE PUBBLICO NON SI POTRÀ PIÙ GESTIRLA COME UNA BIBITA GASSATA

il manifesto Collettivo di Orvieto “Luigi Pintor”


All'udienza del 20 giugno il Giudice Monocratico del Tribunale di Orvieto ha condannato il direttore generale del servizio idrico integrato Sig. Latini Mario per esercizio arbitrario delle proprie ragioni per aver operato il distacco ad un utente moroso facendo indebito ingresso nell'altrui proprietà contro la volontà dell'utente.

La vicenda risale al 2006 quando, a seguito del subentro del SII nel servizio di erogazione di acqua potabile per uso domestico, alcuni disubbidienti, tra i quali Giulio Montanucci, parte civile nel procedimento in oggetto, decisero di non pagare il corrispettivo delle bollette al SII, ma di continuare e mettere a disposizione il denaro richiesto al Comune.

Una manifestazione di volontà chiara di non riconoscere il soggetto privato quale gestore di un servizio avente ad oggetto un bene di primaria importanza, essenziale per la vita umana, che come tale deve continuare ad essere gestito secondo una logica di interesse pubblico, da enti pubblici, e non secondo le regole di mercato e le logiche di profitto che governano le società commerciali per azioni.

A fronte della minaccia di distacco l'utente, con atti formali e con forme legittime di resistenza passiva, aveva ripetutamente reso nota la propria volontà di non consentire l'ingresso nelle pertinenze della propria abitazione al SII ove era sito il contatore, ma senza preavviso il SII inviava due operai ad asportare il contatore lasciando la famiglia del disobbediente (composta di due persone anziane e di un invalido del lavoro all'85%) senza acqua per mesi.

Il lungo procedimento si è concluso nella giornata di ieri, quando il Giudice ha dato lettura del dispositivo della sentenza, condannando penalmente il Direttore Generale del Servizio Idrico Integrato, responsabile di avere esercitato abusivamente le proprie ragioni senza ricorrere all'Autorità Giudiziaria, operando il distacco ed entrando nella privata proprietà senza un ordine del giudice, dinanzi al quale i disobbedienti avevano intenzione di difendersi contestando la legittimazione della società privata, la costituzionalità delle norme che avevano condotto alla privatizzazione dell'acqua, e l'inesistenza di alcun contratto con gli utenti per la erogazione del servizio.

La violenta azione del SII aveva di fatto sottratto al sindacato del Giudice tali legittime contestazioni e pertanto il Giudice Monocratico del Tribunale di Orvieto, Dr.ssa Fornaro Elisa, ha emesso la sentenza citata condannando altresì il SII al risarcimento dei danni causati ai tre abitanti l'unità immobiliare privata della fornitura di acqua potabile per circa 10 mesi ed alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile.

Visibile soddisfazione nelle parti civili del processo, presenti in aula, che hanno visto riconosciuto un principio per il quale hanno dovuto combattere e ingiustamente subire gli effetti negativi e le difficoltà di vivere per lunghi mesi senza acqua potabile con le comprensibili difficoltà, approvvigionandosi con contenitori e portando l'acqua a spalla fino alla propria abitazione.

La difesa delle parti civili, affidata all'Avv. Angelo Ranchino di Orvieto, ha anche rappresentato che le operazioni di distacco erano state avanzate con particolare accanimento nei confronti del Montanucci Giulio, debitore di poche decine di euro, quando invece società o enti debitori di migliaia di euro non erano stati oggetto di distacco, supponendo che a monte di tale decisione fosse proprio la particolare attività civica e politica del Montanucci che, attraverso il proprio giornale murale “il manifesto” e attraverso i propri interventi in numerose sedi, aveva sempre ideologicamente osteggiato la privatizzazione del servizio idrico.

Orvieto 21 giugno 2008

Orvieto Via Lorenzo Maitani 15 tel 0763 342095 3314620154 coll-il-manifesto@libero.it



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Caparezza - Eroe ( Luigi Delle Bicocche)

“Questa che vado a raccontarvi è la vera storia di Luigi delle Bicocche,
eroe contemporaneo a cui noi tutti dobbiamo la nostra libertà”

Piacere, Luigi delle Bicocche
Sotto il sole faccio il muratore e mi spacco le nocche.
Da giovane il mio mito era l’attore Dennis Hopper
Che in Easy Rider girava il mondo a bordo di un chopper
Invece io passo la notte in un bar karaoke,
se vuoi mi trovi lì, tentato dal videopoker
ma il conto langue e quella macchina vuole il mio sangue
..un soggetto perfetto per Bram Stroker
Tu che ne sai della vita degli operai
Io stringo sulle spese e goodbye macellai
Non ho salvadanai, da sceicco del Dubai
E mi verrebbe da devolvere l’otto per mille a SNAI
Io sono pane per gli usurai ma li respingo
Non faccio l’ Al Pacino, non mi faccio di pacinko
Non gratto, non vinco, non trinco/ nelle sale bingo/
Man mano mi convinco/ che io

sono un eroe, perché lotto tutte le ore. Sono un eroe perché combatto per la pensione
Sono un eroe perché proteggo i miei cari dalle mani dei sicari dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere. Sono un eroe straordinario tutte le sere
Sono un eroe e te lo faccio vedere. Ti mostrerò cosa so fare col mio super potere

Stipendio dimezzato o vengo licenziato
A qualunque età io sono già fuori mercato
…fossi un ex SS novantatreenne lavorerei nello studio del mio avvocato
invece torno a casa distrutto la sera, bocca impastata
come calcestruzzo in una betoniera
io sono al verde vado in bianco ed il mio conto è in rosso
quindi posso rimanere fedele alla mia bandiera
su, vai, a vedere nella galera, quanti precari, sono passati a malaffari
quando t’affami, ti fai, nemici vari, se non ti chiami Savoia, scorda i domiciliari
finisci nelle mani di strozzini, ti cibi, di ciò che trovi se ti ostini a frugare cestini
..ne’ l’Uomo ragno ne’ Rocky, ne’ Rambo ne affini
farebbero ciò che faccio per i miei bambini, io sono un eroe.

Per far denaro ci sono più modi, potrei darmi alle frodi
E fottermi i soldi dei morti come un banchiere a Lodi
C’è chi ha mollato il conservatorio per Montecitorio
Lì i pianisti sono più pagati di Adrien Brody
Io vado avanti e mi si offusca la mente
Sto per impazzire come dentro un call center
Vivo nella camera 237 ma non farò la mia famiglia a fette perché sono un eroe.

(Grazie a manubilla per questo testo)



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venerdì 20 giugno 2008

Il Tar Veneto boccia l'ampliamento della base Usa Dal Molin a Vicenza

Da http://www.repubblica.it/ del 20 giugno 2008

Accolto il ricorso del Codacons: "Mancata la consultazione della popolazione". "Assenso del governo formulato impropriamente. Bando non in linea con norme Ue". Soddisfatta l'associazione consumatori. Legambiente: ottimo punto di partenza.

Manifestazione a Vicenza contro l'ampliamento della base Usa Dal MolinVICENZA - No all'ampliamento della base Dal Molin a Vicenza: il Tar del Veneto ha bocciato il raddoppio dell'aeroporto americano, accogliendo così il ricorso del Codacons. Una nota dell'associazione per la tutela dei consumatori spiega che per il Tribunale amministrativo è mancata, fra l'altro, la consultazione della popolazione interessata nonostante fosse prevista dal memorandum Usa-Italia.

"LEGGI ORDINANZA DEL TAR"

Nessuna traccia documentale di supporto "è stata riscontrata" sull'atto di consenso "presentato dal Governo Italiano a quello degli Stati Uniti d'America, espresso verbalmente nelle forme e nelle sedi istituzionali", rileva il Tar nelle considerazioni che accompagnano la sentenza che riguarda l'ampliamento della base Usa di Vicenza.

"Tale atto di consenso, che pertanto risulta espresso soltanto oralmente - sottolineano i giudici - appare estraneo ad ogni regola inerente all'attività amministrativa e assolutamente extra ordinem". Tale dunque "da non essere assolutamente compatibile con l'importanza della materia trattata con i principi tradizionali del diritto amministrativo e delle norme sul procedimento, in base ai quali ogni determinazione deve essere emanata con atto formale e comunque per iscritto".

Il Tar rileva anche che l'assenso del Governo Italiano "risulta essere stato formulato, del tutto impropriamente, da un dirigente del Ministero della Difesa, al di fuori di qualsiasi possibile imputazione e competenze e di responsabilità ad esso ascrivibili in relazione all'altissimo rilievo della materia".

Nel procedimento per l'ampliamento della base Usa di Vicenza sussistono anche "altri profili di illegittimità, alla luce della normativa nazionale ed europea". Tra l'autorizzazione è stata rilasciata "non solo per quanto riguarda l'insediamento delle nuove strutture della base militare, ma anche per la realizzazione delle relative opere, senza procedere alla verifica ex ante, del rispetto delle condizioni esplicitamente apposte".

Nell'accogliere la sospensiva chiesta dal Codacons sull'ampliamento della base Usa, i giudici esprimono "gravi dubbi" anche sulla Vinca (Valutazione di incidenza ambientale) rilasciata dalla Regione Veneto. Nella propria istanza, l'associazione dei consumatori sottolineava che la Vinca, pur intitolata "Progetto ovest", sembra riferirsi al vecchio progetto e non tenere in alcun conto il progetto alternativo che prevedeva l'accesso alla base da nord.

I giudici sottolineano l'impatto "del consistente insediamento (e della connessa antropizzazione) sulla situazione ambientale, del traffico, dell'incremento dell'inquinamento e in ordine al rischio di danneggiamento e alterazione delle falde acquifere".

Il Tar rileva ancora che manca ogni riscontro "di avvenuta consultazione della popolazione interessata". Alla luce delle considerazioni esposte, i giudici ritengono di sospendere l'efficacia dei provvedimenti impugnati dal Codacons, "inibendo nei confronti di chicchessia l'inizio di ogni attività diretta a realizzare l'intervento e ciò sotto l'intervento e il controllo degli organi del Comune di Vicenza competenti in materia di edilizia e urbanistica".

Secondo l'associazione dei consumatori "la motivazione espressa dal Tar è ancora più soddisfacente di quanto ci si poteva aspettare, poiché i giudici sono entrati nel merito dell'intero procedimento, contestandolo pezzo per pezzo come il Codacons chiedeva".

Per il comitato "No alla Dal Molin" che da tempo si oppone all'ampliamento della base Usa si tratta di un "fatto storico" sia per la città di Vicenza che soprattutto per l'Europa stessa: "Sono stati riconosciuti tutti i diritti e i riferimenti fatti dal Codacons alle leggi italiane". Soddisfatta anche Legambiente che definisce la sospensiva un ottimo punto di partenza, su cui ora occorre vigilare "affinché diventi un fermo definitivo". E l'esponente dei Verdi Michele Boato, presidente Ecoistituto del Veneto, chiede ora con urgenza un referendum comunale e che "si annulli il via libera ai lavori dato inopinatamento dal precedente sindaco e dal suo consiglio comunale". Il sindaco Achille Variati assicura: "si tratta di una sentenza di un Tribunale italiano in territorio italiano e quindi ritengo che verrà assolutamente rispettata. Vigileremo senza eccessi", ha detto.

Intanto il tempo stringe: giovedì 26 il Consiglio comunale di Vicenza deciderà se e come fare un qualche referendum. Il primo luglio le chiavi del settore ovest del Dal Molin saranno consegnate agli americani. A ottobre dovrebbero cominciare i lavori di ampliamento.


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ASSEMBLEA PUBBLICA - Comitato Popolare Bettona

“AMBIENTE, SALUTE, INQUINAMENTO”

UN ANNO DI COMITATO

POPOLARE PER L’AMBIENTE

ICITTADINI SONO DIVENTATI PROTAGONISTI

VENERDÌ20 GIUGNO ORE 21.00

a BETTONA CENTRO presso PALAZZO BAGLIONI

ASSEMBLEA PUBBLICA

DOPO UNANNO DI LOTTA

FACCIAMO IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

INCONTRO CON ALTRI COMITATI

Intervengono

PROF. BRUNO FEDI già Primario Anatomopatologo
VINCENZO VIZIOLI Presidente AiabUmbria

Comitato Popolare per l’Ambiente di Bettona


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In allegato la locandina della prossima iniziativa del circolo culturale "primomaggio" che è fatta in collaborazione con i COBAS Umbria.
Lunedì 23 giugno, alle ore 21, presso la Sala Consiliare del Comune di Bastia Umbra presenteremo l'ultimo libro di Piero Bernocchi "Vogliamo un'altro mondo. Dal '68 al movimento no-Global" (Datanews editore) con la presenza dell'autore, Roberto De Romanis - docente alla facoltà di lettere dell'università di Perugia ed un esponente dei COBAS Umbria.
A 40 anni dal '68 abbiamo pensato di parlarne con Piero Bernocchi, insegnante e leader dei COBAS, ma che è stato leader del movimento studentesco romano nel'68 e del '77.
Un'occasione non per beatificare un periodo storico, ma per vedere gli intrecci ed i legami con il presente. Non storia, ma attualità con pregi e difetti.

Luigino Ciotti - presidente circolo culturale "primomaggio"

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giovedì 19 giugno 2008

L'UE SEGUE L'ITALIA... TOLLERANZA ZERO E PUGNO DI FERRO PER L'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA


Ieri, a Strasburgo, il Parlamento europeo ha approvato (con 369 voti a favore, 197 contrari e 106 astensioni) la direttiva UE che fissa nuove norme comuni per la gestione dell’immigrazione illegale nei paesi membri. Fra i punti più discussi vi sono:
1) la possibilità di detenzione amministrativa degli immigrati illegali fino a 18 mesi.
2) la possibilità di espellere gli immigrati illegali non solo verso i paesi di provenienza accertati, ma anche verso i paesi di transito, se questi ultimi danno il loro accordo.
3) la possibilità di detenzione e di espulsione dei minori, anche nel caso in cui essi non siano accompagnati o non abbiano una famiglia pronta ad accoglierli nei paesi di provenienza.
4) la negazione agli immigrati illegali del patrocinio legale gratuito.
5) il divieto per gli immigrati illegali rimpatriati di far ritorno ai paesi che li hanno espulsi a meno di cinque anni dall’espulsione.
Queste norme ricordano molto quelle del cosiddetto “pacchetto sicurezza” proposto recentemente dal Governo italiano. Da oggi, la direttiva UE potrà essere invocata dagli Stati membri che lo ritengono opportuno. Il ministro dell’interno Roberto Maroni ne richiederà immediato recepimento in Italia e la commenta con queste parole: “è la buona notizia del giorno”…
personalmente, ritengo incredibile che l’Europa abbia deciso di adottare norme tanto rigide riguardo l’immigrazione irregolare e credo che la via della “tolleranza zero” non sia quella giusta da seguire per una questione tanto delicata come quella dell’immigrazione, per il semplice motivo che il clima di diffidenza che si sta installando in Italia rischia di diffondersi in tutta Europa, provocando paura e risentimento che potrebbero sfociare in violenza. Occorre invece concentrarsi sull’integrazione degli immigrati, che sono parte della società e dell’economia d’Europa nel bene e nel male. Norme come l’adozione del reato di clandestinità non favoriscono l’integrazione, ma anzi contribuiscono a formare quella sottile, gelida barriera d’incomprensione che separa immigrati e residenti, spingendo gli uni contro gli altri in un inutile scontro che non risolve certo il problema di fondo.


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Ripenso il tuo sorriso

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida
scorta per avventura tra le petraie d'un greto,
esiguo specchio in cui guardi un'ellera i suoi corimbi;
e su tutto l'abbraccio d'un bianco cielo quieto.
Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto s'esprime libera un'anima ingenua,
o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.
Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi in un'ondata di calma,
e che il tuo aspetto s'insinua nella mia memoria grigia
schietto come la cima d'una giovinetta palma...
Eugenio Montale

Davide Varì
«Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida/ scorta per avventura tra le petraie d'un greto/ esiguo specchio in cui guardi un'ellera i suoi corimbi; / e su tutto l'abbraccio di un bianco cielo quieto...». Di certo - deve aver pensato lo zelante funzionario ministeriale che ha preparato le tracce dei temi di maturità 2008 - questa poesia di Eugenio Montale è dedicata a una donna. Anzi, forse non se lo è neanche chiesto ma l'ha semplicemente dato per scontato. Del resto, quel sorriso e quell'«abbraccio di un bianco cielo quieto» non potevano che riferirsi al ricordo di qualche "giovenile amore" del Poeta. Amore eterosessuale, s'intende.
E invece no, la traccia A dei temi di maturità presentati quest'anno ai candidati contiene un'enorme gaffe. Eugenio Montale dedicò infatti quella poesia al ballerino russo Boris Kniaseff, come testimonia la dedica "a K". Un uomo dunque, altro che "ruolo salvifico e consolatorio della figura femminile" che la commissione chiedeva di commentare.
Il bello della faccenda è che tutti gli studenti italiani che hanno scelto quella traccia, avranno sprecato fiumi di incostro per scovare l'amore femminile nella storia della poesia italiana: dalla donna angelicata della lirica del '300, all'amore disperato dei Canti leopardiani. Tutto inutile, tutto sbagliato. Chissà se qualcuno ha pensato a Sandro Penna, il poeta omosessuale che tante splendide liriche ha dedicato ai suoi giovani amanti, oppure a Saffo.
Ma la domanda che aleggia tra gli istituti di mezza Italia è una ed una soltanto: adesso cosa succede? Nel caso in cui qualcuno decidesse di contestare la validità dell'esame e fare ricorso, come si metterebbe per il ministero?
Un aiuto arriva dall'avvocato Isetta Barsanti Mauceri: «Diano disposizioni a tutte le commissioni di considerare come un compito di fantasia il tema su Montale alla maturità», ha dichiarato. Una scappatoia per evitare strascichi e polemiche. E di fronte a un eventuale ricorso di uno studente bocciato? «In questo caso - continua l'avvocato - dovrebbe essere presentato al Tar, impugnando il giudizio negativo, che però dovrebbe riguardare soltanto il compito scritto di italiano. Cosa che già di per sè si potrebbe configurare come un giudizio illegittimo». «In ogni caso - ha aggiunto - non avrebbe sbagliato lo studente che avesse seguito la traccia fornita dalla commissione, mentre paradossalmente potrebbe risultare respinto chi avesse seguito il reale significato della poesia».
Ma, almeno per ora, dal ministero della pubblica istruzione non arriva nessuna notizia. Semplicemente fanno finta di nulla e negano l'errore. «Ma quale errore ed errore - ha sbottato l'ispettrice capo dottoressa Petruzzi, raggiunta al telefono da Liberazione - le tracce erano esatte, giustissime. Domani comunque faremo un comunicato ufficiale», ha tagliato corto indispettita, molto indispettita, l'ispettrice capo.
In pochi sanno chi abbia materialmente scritto quella traccia. Voci e sospetti si inseguono, ma nulla di certo. A rendere drammatica una faccenda grottesca il fatto che nessuno dei professori in commissione si sia accorto di nulla. Dal Nord al Sud della penisola, non si ha infatti alcuna notizia di docenti che abbiano l'abbiano segnalato agli ignari studenti disperatamente impegnati a riempire quel foglio vuoto. Netto il giudizio di Vladimir Luxuria che parla di «censura didattica ufficiale nei confronti di poesie d'amore basate sull'omofilia».


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La first lady della Nazionale: «I clandestini vanno accolti»


Lo sbarco in Italia? «Complicato»
«Il primo permesso di soggiorno me lo fecero che scadeva un mese prima della fine della trasmissione "Torno sabato". Mi ritrovai la notte di Natale in questura con un certificato medico». Un certificato medico? «Si faceva così se volevi tornare in patria e rientrare: col permesso scaduto, cominciavi una cura medica e per proseguirla ti dovevano far rientrare per forza». Una bella furbata. Finita la cura? «Sono stata sei mesi sans papier». E dire che a rispondere a queste domande non è certo una migrante qualsiasi, ma la "neofirstlady" della Nazionale. Lei è Alena Seredova, 30 anni, un figlio, "compagna" del portiere juventino Gigi Buffon. Eppure la sua storia a lieto fine è cominciata così, con il duro percorso che tocca a tutti coloro che giungono in Italia. E sì che proprio da clandestina ha vissuto anche Seredova. «Un po' un'assurdità - svela in un'intervista al Corriere - una vera assurdità essere clandestini quando il mio lavoro è pubblico - racconta - ma per strada quando incrociavo dei poliziotti temevo che mi fermassero. Mi veniva da piangere. E per un po' sono andata avanti con un permesso da collaboratrice domestica che mi hanno fatto in questura a Milano». Scherzi? (chiede il cronista,dr) «No. Guarda che con il passaporto ceco ancora oggi è un casino. In America una volta ho pensato che mi volessero addirittura disinfettare». E invece? «Mi avevano spruzzato il liquido per individuare gli esplosivi».
Sai che ora in Italia si vuole introdurre l'aggravante della clandestinità? «Sì. E se è vero quel che dicono i tg, che la maggior parte dei reati è commessa da extracomunitari, un po' è giusto. Però credo anche che delle persone che scappano dalla miseria per venire in Italia a lavorare e rischiano la pelle con quelle traversate sui gommoni, andrebbero accolte».
Se potessi votare in Italia - conclude il giornalista - che cosa voteresti? «Mi piace Fini. Non condivido tutto quel che dice, ma è quello che capisco meglio».

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Tremonti, il mostro mite e l'economia - Alfonso Gianni


Le anticipazioni sul piano triennale da 35 miliardi di euro fornite da Silvio Berlusconi e da Giulio Tremonti, negli incontri con le massime autorità dello Stato, con la stampa e infine con le parti sociali, autorizzano a qualche considerazione in più che non sia limitata alla pura politica economica. Leggendo le notizie delle agenzie viene inesorabilmente alla mente il recentissimo dibattito sviluppatosi, anche sulle colonne di questo giornale, sulla natura del nuovo regime berlusconiano.
Mi schiero dalla parte di chi considera che gridare ad un nuovo fascismo sia un fuor d'opera. "Annibale non è alle porte", ha scritto saggiamente Mario Tronti. Siamo di fronte piuttosto ad un "regime leggero", come ha recentemente detto Fausto Bertinotti, un modello di repubblica a-fascista soprattutto perché a-antifascista. Ciò non toglie che il nuovo governo si muova solertemente per separare lo Stato dal diritto, per fare dello Stato d'eccezione la normalità imperante. Siamo di fronte a un "Mostro mite", come Raffaele Simone - in un recente saggio - ha felicemente definito il nuovo paradigma culturale delle destre, mutuando l'espressione da Tocqueville in contrapposizione alla legnosa aggressività del Leviatano di hobbsiana memoria.
Sia pure. Ma questo "mostro mite" non agisce solo sul terreno della restrizione delle libertà, ma anche su quello dell'economia e del suo sistema di governo. E' singolare - ma forse non tanto visto lo stato miserevole nel quale versa l'opposizione nel nostro paese dopo l'esito elettorale - che a rilevarlo sia solo il giornale della Confindustria.
Dietro il meccanismo economico vi è un disegno politico ambizioso che consiste nello stabilire una nuova costituzione materiale che vede l'assoluto primato del ministro dell'Economia nella compagine governativa e rispetto al Parlamento ridotto ad un convitato di pietra. Intendiamoci, non è solo farina del sacco di Tremonti.
Come abbiamo già osservato il nuovo governo si muove nel solco del precedente. La riduzione forzata del deficit è l'obiettivo conclamato e inviolabile e vi è una corrispondenza tra Tremonti e Padoa Schioppa persino sui tempi di realizzazione e negli obiettivi intermedi.
La stessa accentuazione dei compiti del ministero dell'economia nella compagine governativa e rispetto alle prerogative del Parlamento era già intervenuta con il governo Prodi. Ma certo in questo percorso il nuovo ministro dell'Economia ci mette del suo e tanto. La stessa scelta di investire sulla dimensione triennale e rigidamente scadenzato del piano (35 miliardi, di cui 13,1 per il 2009) dà il segno del carattere autoritario della manovra.
Ma ciò che precisa questo carattere è il suo contenuto. Ciò che viene programmata non è la crescita - sia pure in senso squisitamente capitalistico -, dunque non siamo di fronte a una nuova esperienza di programmazione economica sia pure solo dall'alto. Ciò che viene deciso e programmato nel tempo è il taglio feroce della spesa individuato come unico mezzo per raggiungere il fine rappresentato dalla riduzione forzata del debito pubblico.
E' su questo versante che il ministro dell'Economia stabilisce il suo comando sull'intera politica economica del governo al punto che lo stesso premier Berlusconi ne appare più il portavoce che non il primo ispiratore. Il metodo Gordon Brown risulta così sublimato e il mostro mite, direbbe Tocqueville, può così "degradare gli uomini senza tormentarli".
Anzi la manovra tremontiana si riveste anche di antipolitica, i tagli ai ministeri (ovvero alle spese per il loro concreto funzionamento) e, seppure con scelte assai poco nitide, di giustizialismo sociale, le riduzioni delle stock options o la cosiddetta Robin tax, cioè la tassazione delle plusvalenze sulla vendita delle scorte petrolifere. Sul piano dello sviluppo la scelta principe, anche se improbabile dal punto di vista realizzativo, è riservata al nucleare e alle famigerate infrastrutture, ovvero le grandi opere, confermando in pieno il ritorno dell'intervento statale in soccorso ad un neoliberismo che non funziona.
Ma, per ridare fiato ai centri di potere economico nel territorio, si vuole anche riportare in auge quel disegno di legge Lanzillotta sulla privatizzazione dei servizi pubblici che la sinistra radicale aveva stoppato nella passata legislatura. Sul piano del lavoro, in attesa che la micidiale direttiva europea sull'innalzamento a 60 ore settimanali dell'orario di lavoro faccia il suo corso, si pensa di reintrodurre il lavoro a chiamata - l'unica cancellazione operata dal precedente governo alla legge 30 -, di cancellare le limitazioni al contratto a termine e persino eliminare quella norma di iniziativa parlamentare che poteva impedire l'imbroglio delle dimissioni in bianco. Ovvero più lavoro per chi già ce l'ha e più precarietà per tutte e per tutti.
Non si può dire che a Tremonti manchi la coerenza. Nel suo più recente saggio aveva scritto che il vero liberalismo (che il ministro del tutto arbitrariamente contrappone al mercatismo) "si iscrive nel quadrante delimitato da quattro concetti fondamentali: libertà, proprietà, autorità e responsabilità".


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