sabato 28 febbraio 2009

Stranieri carnefici, stranieri vittime

Ad ognuno di noi capita, a volte, di vivere particolari circostanze che scatenano in un istante una miriade di pensieri. Qualche giorno addietro ricevo – a distanza di pochi minuti l’una dall’altra – due mail tra loro molto contrastanti. Dai toni assai differenti e con impostazioni apparentemente inconciliabili, l’unico denominatore comune delle due missive è quello di parlare di episodi che hanno come protagonisti degli immigrati stranieri.

La prima lettera si riferisce ad un fatto di cronaca, avvenuto di recente, che sta facendo molto scalpore nei media popolari. Me la spedisce un mio ex compagno dell’università, una persona a cui sono legato da un’amicizia maturata nel tempo, ma da cui allo stesso tempo sono diviso per la diversa concezione a proposito del dialogo interculturale. È sua opinione che non ci potrà mai essere una reale integrazione tra popoli che non hanno radici comuni, è suo pensiero che il mescolamento costituisca un serio pericolo per l’identità nazionale italiana. Mi invia un articolo su Loyos Istocosa, il giovane rumeno che, in neanche una ventina di giorni, ha compiuto due differenti stupri a danni di una donna 45enne e di una ragazza di 14 anni. Prima delle abominevoli violenze, il rumeno aveva già macchiato la sua fedina penale con reati di furto e di ricettazione. Arrestato dalle forze dell’ordine, riceve immediatamente un ordine di espulsione dal nostro paese. Presentando ricorso contro tale provvedimento, Istocosa si vede dar ragione dal tribunale giudicante di Bologna che non accerta motivi validi per il rimpatrio forzato in Romania…

Non passano che pochi minuti, o forse addirittura secondi, che mi arriva una lettera che mi tocca il cuore. È una mia cara amica, straniera di un paese distante, verso cui l’Occidente spesso prova diffidenza. Mi racconta di un’esperienza amara e dolorosa: come ogni anno, deve rinnovare il suo permesso di soggiorno e per fare ciò è costretta ad estenuanti code presso la questura. Anche quest’anno la solita trafila, che diventa però ancora più lunga, ancora più insopportabile. È freddo a Perugia, sono giorni di neve e di tramontana, e una calca di persone esasperate affolla la cancellata dell’edificio. Più di 300 persone, molte delle quali anziani e bambini, tra l’indifferenza o addirittura l’arroganza degli agenti presenti per il pattugliamento. Attese lunghissime, per un pezzo di carta che significa tutto. “3 ore di fila ieri che faceva un freddo da cane! Sono tornata a casa raffreddata e con il mal di testa. Pero' non sono arrabbiata per questo, ma perche' c’erano dei bambini (di 1 anno, 3 anni, 7 anni…). Ed io, che stavo morendo dal freddo, guardavo i bambini che piangevano e le mamme disperate”.

Stranieri carnefici, stranieri vittime. Viviamo in un paese che in troppe occasioni gratifica gli uni e mortifica gli altri, che troppo spesso non sa dare nè rendere giustizia. Un paese che, lungi dall’avere mano ferma contro chi delinque, sbraita poi intolleranza viscida contro tutto ciò che è “altro”. Incapace di discernere tra bene e male…

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lunedì 23 febbraio 2009

Pacifica...Mente: incontro con Christian Elia


Le guerre, le ingiustizie...nascono dalla mente degli uomini
E' lì che si può costruire la pace
(dalla Costituzione Unesco)

Il 1° Circolo di Foligno e il Comune di Foligno invitano la cittadinanza a partecipare al sesto incontro del Progetto Educativo “PACIFICA...MENTE” organizzato per martedì 3 marzo 2009 alle ore 17,30 presso l’aula didattica di Palazzo Trinci. Tema dell’incontro “ Parliamo di pace con chi conosce e può raccontare la realtà della guerra”. Relatore Christian Elia, giornalista di PeaceReporter tornato recentemente dalla Palestina.

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Don Chisciotte e il superamento della terza dimensione

Un’enorme pala di mulino oppure il dorso di un pesante volume di circa 1200 pagine. Al centro una porta che serve ad entrare e ad uscire. Ad esempio dalla finzione e dalla realtà, salvo poi abbandonarle entrambe per immergersi nella terza dimensione, quella del romanzo. E dal libro dentro al libro, che rivive sul palco, i personaggi del Don Chisciotte si sono avventurati nel loro cammino teatrale sotto la direzione di Franco Branciaroli.

A far strada lungo gli avventurosi percorsi le voci di due grandi uomini di teatro nella entusiasmante imitazione dell'attore, autore e regista teatrale: Carmelo Bene e Vittorio Gassman nei ruoli di se stessi e in quelli della celebre coppia Sancio Pancia e Don Chisciotte. Personaggi assurti, in qualche modo, alla condizione di miti. Ed è proprio la netta divisione tra mito e realtà che viene annunciata ad inizio spettacolo: “il proscenio segna una linea di demarcazione tra l’aldilà e il pubblico”. I miti immersi nel tempo eonico guardano la realtà del pubblico nel suo divenire “cronico” e viceversa.

Il rapporto con la tradizione è al centro di questo spettacolo e sembra riproporsi nella scelta della coppia Gassman-Bene. I due come perfetti rappresentanti, a torto o a ragione, di opposte visioni del teatro: “teatro di testo versus scrittura di scena”. Allo stesso modo la coppia Don Chisciotte-Pancia, nell’interpretazione di Borges, riproduce l’antinomia tra mondo della finzione e realismo, fatta vacillare nello spettacolo attraverso la critica al romanzo, dall’innesto del dubbio cartesiano sull’esistenza di verità assolute.

A risolvere questa serie di contrapposizioni, apparentemente insormontabili, una nuova categoria poetica: l’umorismo. L’umorismo nel Don Chisciotte di Cervantes e in quello di Branciaroli ha una funzione risolutrice: è l’incontro tra verità e finzione. Si completa così un ciclo: nell’imitazione la celebrazione del mito, della tradizione, nella parodia il suo superamento, nell’umorismo la sua relativizzazione e la definitiva reinclusione.

Così accoglie Franco Branciaroli il pubblico perugino, che in un continuo crescendo, nelle tre serate al Teatro Morlacchi culminate con la rappresentazione di domenica scorsa, ha reso omaggio al suo Don Chisciotte. Non una semplice trasposizione teatrale dell’antieroe di Cervantes, dunque, ma la sua concreta realizzazione, il tentativo ampiamente riuscito di coinvolgere il pubblico teatrale nell’affascinante gioco di specchi a cui il celebre Romanzo ha abituato i suoi lettori più attenti.

di Isabella Rossi

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venerdì 20 febbraio 2009

Un mondo di tutti: Istiljan

Terza puntata della nostra rubrica un “Mondo di Tutti” e prima volta in cui ci occupiamo di una storia proveniente dalla vecchia Europa. Qualche giorno fa, abbiamo intervistato un ragazzo di origine albanese, Istiljan, 22 anni, gli ultimi otto dei quali passati in Italia. E come nelle precedenti occasioni, la lunga chiacchierata ci ha permesso di conoscere punti di vista differenti da quelli a cui siamo abituati e di riflettere insieme sulle possibilità di dialogo e di confronto con persone e culture di altri paesi.

La vicenda personale di Istiljan non è dovuta passare dalle peripezie tragiche affrontate da molti Albanesi per sfuggire da una condizione di miseria e povertà. Da qualche anno per fortuna, non sono più molte le zattere improvvisate che lasciano l’Albania con il loro carico di disperati, alla ricerca di possibilità di riscatto nel ricco mondo occidentale. Isti è invece arrivato in Italia con un normale traghetto e con tutti i documenti a posto, ottenendo il ricongiungimento familiare con il padre che già da alcuni anni lavorava nel nostro paese.

Fin dal primo momento di narrazione della sua storia, ci siamo incuriositi a quelle che erano le aspettative di vita nella terra che lo avrebbe ospitato. Isti ci ha risposto che, prima di partire, era molto contento di arrivare nel nostro paese, principalmente perché in questo modo si sarebbe potuto riunire con la sua famiglia ma anche perché comunque, per come veniva descritta da altri Albanesi, “l’Italia è come un giardino con tanti fiori e dentro i fiori si trovano i soldi. Tutti stanno bene e possono vivere meglio”.

Queste attese non sono poi in realtà venute meno, anche perché in Italia, pur con tutti i suoi problemi e le sue contraddizioni, esistono delle regole ed esiste uno Stato che garantisce a tutti i servizi minimi per una vita dignitosa. Di fronte al nostro sorriso verso queste affermazioni, Isti ci ha fatto capire che la differenza si percepisce eccome quando hai vissuto in un paese dove non c’era lavoro oppure si aveva accesso all’acqua corrente e alla luce solo per poche ore al giorno e dove le istituzioni ─ uscite malconce dalla lunga fase del comunismo e dalla terribile crisi finanziaria del 1997 ─ erano completamente devastate dalla corruzione e dall’immobilismo.

Istiljan ha osservato inoltre (destando una certa sorpresa da parte nostra) come gli Italiani abbiano una grande attenzione per il lavoro, sicuramente maggiore rispetto a quella dei propri connazionali, troppo spesso interessati ─ a suo avviso ─ al divertimento e alla bella vita (anche se poi ha precisato che questo discorso non si può generalizzare a tutti gli Albanesi). In Italia, si pensa a lavorare fin da giovani e probabilmente ci si impegna nel lavoro di più anche rispetto a nazioni come Francia o Germania.

Approfondendo il discorso del suo rapporto personale con la popolazione e la società italiana, Istiljan afferma che non se ne può affatto lamentare. Ci sono certamente delle cose che non gli piacciono, come ad esempio la tendenza a rinviare all’infinito gli impegni presi oppure a non mantenere sempre la parola data (cosa cui invece gli Albanesi tengono molto). Altro aspetto rilevato è che qui in Italia si fanno le cose con troppa furbizia, pensando spesso solamente al rendiconto personale. Tutto ciò comunque non ha mai comportato particolari problemi con gli Italiani, da cui è stato accolto abbastanza bene. Tre settimane dopo il suo arrivo in Umbria, Istiljan si è spostato al collegio di Roccaporena, per studiare presso un istituto tecnico di Cascia. A parte qualche iniziale difficoltà di ambientamento, dovute soprattutto al fatto che ancora non avesse pienamente ingranato con la nostra lingua, Istiljan è riuscito ad integrarsi velocemente, in un ambiente peraltro non semplice, visto che il collegio ospitava molti ragazzi provenienti da contesti familiari difficili. Simpatico e allo stesso tempo significativo un episodio che ci ha raccontato della sua esperienza in Valnerina. Quando gli abitanti del posto si sono resi conto di avere di fronte un ragazzo a posto, molti hanno cominciato a dirgli: “Ah, ma non pensavamo che gli Albanesi fossero così calmi e tranquilli”.

In fin dei conti, aldilà delle normali differenze culturali, Italiani e Albanesi non sono poi così lontani tra di loro. La differenza esiste, Istiljan non la nega, ma non è poi certo incolmabile come spesso si cerca di far credere. Questo lo conferma anche il fatto che in Albania ci siano tantissimi Italiani oppure come le abitudini quotidiane non siano poi così dissimili, tant’è nelle famiglie albanesi pasta e pizza sono popolari come in Italia! Ciò nonostante, ancora molto si deve fare affinché si possa avere uno scambio costruttivo tra le due comunità. Alla nostra domanda se, a suo avviso, gli Italiani sono razzisti, Istiljan risponde negativamente ma afferma anche che non ci sono molte occasioni di dialogo. La compagnia di amici che frequenta è costituita principalmente da ragazzi suoi connazionali e in generale ha notato come, tra Italiani e Albanesi, non ci sia un interesse reciproco a conoscersi gli uni con gli altri.

Con Istiljan abbiamo anche affrontato il tema dell’attenzione mediatica verso quei fatti di cronaca che vedono coinvolti gli stranieri. Isti capisce la paura diffusa che molti Italiani hanno sviluppato negli ultimi tempi, anche perchè ─ sebbene la stragrande maggioranza degli stranieri sia costituita da persone oneste ─ è pure vero che diverse vicende recenti hanno visto come protagonisti degli immigrati (ricorda però che non si può far passare un intero popolo come criminale per colpa di “quattro stupidi”). Peraltro molti degli Albanesi che sono sbarcati in Italia provengono dalle regioni rurali del paese, dove c’è probabilmente un minore grado d’istruzione e di sensibilità civica che ─ a detta di Isti ─ contribuisce alla mancanza del rispetto delle regole. Grande responsabilità è però da attribuire anche alla giustizia italiana che non è in grado di punire a dovere chi si macchia di fatti criminosi. In Albania, i metodi sono probabilmente più spicci. Se fai qualcosa di sbagliato, magari ti mandano in galera per una sola notte: ma quella notte difficilmente te la dimentichi per il resto della tua vita!

In conclusione della piacevole conversazione, abbiamo chiesto in che condizioni si trova l’Albania oggi. Isti premette che la sua risposta non può essere completamente attendibile, in quanto oramai torna nel suo paese solo un paio di settimane all’anno e molte cose, di conseguenza, possono sfuggirgli. Da quello che vede tuttavia, pur permanendo grosse problematiche strutturali, sembra che finalmente si stia intraprendendo qualche passo in avanti verso la modernità. Sono state costruite molte nuove strade e infrastrutture, si sta finalmente parlando della possibilità di essere ammessi nella Comunità Europea ed è probabile anche che il paese entrerà a far parte nella NATO. Il sindaco di Tirana è stato eletto nel 2004 come miglior sindaco del mondo, superando colleghi di città molto più famose ed importanti. Nello stato sussiste poi un reciproco rispetto tra le comunità religiose presenti, vale a dire la maggioranza mussulmana e i cristiani cattolici e ortodossi. Tutti segnali incoraggianti perché l’Albania possa intraprendere una strada di sviluppo e di pace. E’ in questo nuovo paese che Istiljan vede il suo futuro. Ad apposita domanda, la sua risposta è secca, senza alcuna esitazione: “Sì, tornerò in Albania”. Da parte nostra, i migliori auguri perché tutti i suoi desideri possano realizzarsi.


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lunedì 16 febbraio 2009

Humanitarian Carneval Party

Venerdì 20 febbraio a Rivotorto di Assisi, presso l'ExRosa/ExTransilvania. Per maggiori informazioni, clicca www.ragazzimissionari.it
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Il gruppo RAMI organizza l'HUMANITARIAN CARNIVAL PARTY alla Rosa di Rivotorto. Chiederemo una offerta di 5 euro all'ingresso e l'incasso della serata verrà utilizzato per costruire una sala ricreativa in una favela di Manaus, Amazzonia:

PROGETTO Pastoral do Menor.
Mixeranno i migliori Djs della zona: Dj Cap, Fabietto De Dà, Lucio Camacio e MaxP... oltre ad altri intrattenimenti durante la serata. Comunque l'importante è FARE DEL BENE!

Questa sala darà un possibilità in più ai minori dai 10 ai 18 anni di preservarsi da tutte quelle dinamiche che si creano per strada... e non parlo di strade qualunque, ma di periferie sature di droga con i piccoli che iniziano a spacciare e consumare a 8/10 anni, dove continuamente si formano risse tra bande, dove quotidianamente si assiste a violenze sessuali molte delle quali indotte dal fortissimo consumo di alcool. Sono dinamiche di povertà molto particolari, non solo date da carenze nutrizionali ed economiche, ma soprattutto culturali: la donna ancora viene vissuta come oggetto prevalentemente sessuale, basta contare la prole per famiglia e le mamme senza mariti), l'alcool è la canoa che permette loro di fuggire per poi ritrovarsi affogati tra disperazione e rimorso; la droga, molte volte, è l'unica risorsa di remunerazione.

E' un progetto a cui crediamo moltissimo poiché le suorine che lo gestiscono sono fantastiche, trapelano amore in ogni cosa che fanno, basta pensare che hanno rinunciato ad indossare l'abito per essere più "mimetizzate" in strada ed aiutare qualsiasi persona che necessita anche se di religione diversa. Sono MERAVIGLIOSE! INDESCRIVIBILE IL LAVORO SOLIDALE CHE SVOLGONO. Pensa che una a 51 anni e l'altra... 81!!! hehehehe. Due angeli! Una esperienza, quella di collaborare con loro, che consiglierei a chiunque, aldilà dei credo religiosi e politici, eticamente imbarazzante nel vedere quanto potremmo fare con un po più di rispetto per l'altro, carità e... amore."

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sabato 14 febbraio 2009

"Cambiare l'Università: ma come?" Un bilancio dell'iniziativa




Il video della serata

Mercoledì 12 febbraio, presso la Sala della Consulta del Comune di Bastia, si è tenuto l’incontro “Cambiare l’Università: ma come?”. L’iniziativa, organizzata insieme alle locali sezioni giovanili del Partito Democratico, dell’Italia dei Valori e dei Giovani Comunisti Italiani, ha segnato il debutto di Socialmente Giovani nell’allestimento di manifestazioni di natura socio culturale. La serata si proponeva di mantenere vivo, nel comprensorio assisiate-bastiolo, il dibattito relativo alle problematiche del mondo universitario e più in generale del sistema italiano dell’istruzione, destinati a subire profonde trasformazioni dopo l’approvazione dei pacchetti leggi del ministro Gelmini. In questo articolo intendo fare un breve bilancio dell’iniziativa, focalizzando in particolare l’attenzione su due aspetti di analisi.

L’incontro è stato a mio avviso particolarmente interessante per la qualità del dibattito che ha avuto seguito. Nei loro interventi, i nostri quattro ospiti (il prof. Roberto de Romanis, il dottor Fabio Trippetta, Leonardo Esposito e Gionata Gatticchi) hanno fornito una serie di spunti di riflessione che sono stati poi ripresi nella vivace discussione tenutasi successivamente con il pubblico. Sono stati toccati, con una certa minuzia negli aspetti specifici, molti dei punti di vertenzialità riguardanti l’Università italiana; dal problema storico del baronato, alla precarizzazione delle condizioni di lavoro del personale universitario, al deterioramento della qualità della ricerca e dell’offerta didattica che viene presentata agli studenti. Condivisa dall’assemblea è stata la critica alla legge Gelmini e ai suoi aspetti più contestati, quali ad esempio la possibilità di trasformare le Università in fondazioni di diritto privato, il blocco dei turnover per il personale docente o la controversa distinzione tra atenei virtuosi e non virtuosi. Molto dibattuta è stata infine la questione sullo stato del movimento di protesta universitario, la cosiddetta “onda studentesca” che negli ultimi mesi ha probabilmente perso buona parte della sua forza propositiva.

Il secondo aspetto di cui parlerò è invece relativo alla partecipazione del pubblico. All’iniziativa hanno presenziato circa 35-40 persone, un dato sostanzialmente in linea con manifestazioni simili che si tengono nel nostro comprensorio. A detta di chi vi scrive, tale numero può essere interpretato in una duplice valenza. Lo possiamo considerare soddisfacente se teniamo conto che la quasi totalità dei presenti era costituito da ragazzi con meno di 35 anni; in una città come Bastia, in cui non sempre vi è una larga adesione dei giovani ad iniziative “impegnate”, credo che una simile affluenza possa essere ritenuta positiva. Di contro, la naturale “faccia opposta” della medaglia è stata l’assenza delle altre generazioni. Non intendo certo aprire alcuna polemica, può anche darsi che questa mancanza sia stata dovuta ad una nostra incapacità di pubblicizzare e far conoscere l’evento. Ritengo tuttavia che è stata persa una possibilità d’incontro, un’occasione in cui chi ha più esperienza di noi potesse ascoltare la voce dei giovani della città, le loro esigenze, in particolare in una tematica che a noi sta particolarmente a cuore.

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venerdì 13 febbraio 2009

CINQUE NOTTI DI CENTO PAROLE

NOTTE NEL PARCO

La panchina se ne stava tutta sola, in mezzo al parco, mentre le ombre della sera scivolavano lente su di lei, che cercava, con la sua vernice verde, di confondersi con il verde del parco (al quale comunque non riusciva a somigliare). Spunta la luna, e con essa l’argento. La panchina assorbe il freddo notturno, che si moltiplica nelle sue vene di ferro. È l’una di notte. Una figura si avvicina alla panchina, e questa, obbediente e fedele, si prepara ad accogliere il peso di un corpo stanco, di una giacca marrone, di una barba grigia, di una preghiera muta.

NOTTE D’AMORE

Quattro del mattino? No, l’orologio digitale segnava le 04.23. La porta di casa si richiuse con discrezione, gli scalini scricchiolarono sotto i passi pesanti di un uomo ubriaco, la luce del bagno si accese, timida, per spegnersi sette minuti dopo. La penombra della camera da letto fu penetrata da due occhi umidi, lucidi d’amore e d’alcool. La donna insonne sentì l’uomo che le si sdraiava accanto, che le voltava le spalle sospirando. Un sospiro d’amore, amore che non le apparteneva più. Venne il mattino, portando con sé il mal di testa di lui e sigillando il silenzio dolente di lei.

NOTTE DI CARTA

Il ragazzo piegava e dispiegava il foglio, formava quadrati che lentamente diventavano, allungandosi, i fianchi delle barca, gli occhi a mandorla della donna, il seme fecondatore, l’inizio, mentre il foglio si sottometteva alle lunghe mani sottili del ragazzo. Il mattino entrò allegro e dorato nella stanza della donna dagli occhi a mandorla, le bagnò la fronte febbricitante con la sua luce dispettosa e le sussurrò piano che era ora di alzarsi. Ad aspettarla, sul davanzale della finestra, c’era una barca di carta colorata. Piccola, solida, potente. La donna con gli occhi a mandorla la prese tra le mani. E sorrise.

NOTTE PER STRADA

Stretti nel camion in marcia, trenta uomini cercavano di non pensare a quello che sarebbe successo un chilometro più tardi. Il camion procedeva veloce per le strade quasi sgombere, per alte e aride montagne, fino alla frontiera. I trenta uomini non vedevano nulla, respiravano aria consumata e si riscaldavano con il fiato del vicino, non meno ansioso del loro. Senza che loro potessero vederla scomparire, la loro terra sussurrava addio e piangeva lacrime di polvere. Un’altra terra sonnecchiava al di là della frontiera, e vedendoli arrivare alzava le braccia per spingerli indietro. Ma la notte resta, nascondendo addii e proteste.

NOTTE DI UN RAPINATORE CONFUSO

L’uomo camminava nella strada, illuminato dalla luce malaticcia dei lampioni. Era freddo e si stringeva nella giacca, pensava a ciò che la donna gli aveva detto. -Non serve che scappi, rapinatore. Ti difenderei di fronte alla polizia, al boia e al Creatore- Maneggiava quelle parole, pronunciate mentre egli cercava di scappare dalla finestra per non farsi riconoscere, le girava e le rigirava per capirne il senso. Era più volte stato denunciato, qualche volta era anche finito in galera, la polizia lo conosceva bene. Ma non aveva mai sentito parole tanto strane. Mentre ci pensava, la luna complice splendeva in cielo.

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Marco Paolini racconta le pagine del suo Aprile

Pubblico esultante, applausi scroscianti e gran finale, tutti in piedi e sorridenti, per salutare Marco Paolini sotto le luci del Teatro Clarici di Foligno, appena riaccese a fine spettacolo ieri sera. Nelle prime file della platea una squadra di giovani rugbisti entusiasti: “magari qualche volta andateci, a vedere le partite!” suggerisce il regista, autore e attore teatrale, al pubblico in sala. Perché nel suo “Album d’aprile”, il rugby gioca un ruolo fondamentale. Più della storia, più delle ideologie, più dell’amore. Tutto inizia con i Joe Division di “Love will tear us apart”, con l’odore di sifcamina, con la squadra e il fattore terra, cioè “i metri da conquistare”.

Nel microcosmo di provincia, raccontato dall’artista veneto, non sono le ideologie ma i luoghi e le persone i veri dispensatori d’identità. C’è il campo da rugby, il bar Iole, la sede del Circolo primo maggio e la piazza, in ordine d’importanza. C’è Don Tarcisio, prete operaio sospeso a divinis, i compagni di squadra, quelli del Circolo, i “metalmezzadri” che riempiono le città, e il mondo perfetto del Bar della Iole, la “giovane partigiana del Triveneto” che prima faceva il mestiere e poi con la sua bella collana ci ha aperto un bar.

Sono gli anni dell’impegno, degli scontri di piazza, gli anni delle bombe: quella a piazza Fontana, quando Nicola, il giovane protagonista di “Album d'Aprile”, andava ancora alle medie, e quella a piazza delle Logge. Un giorno va addirittura a visitarle quelle piazze. Un piccolo gruppo di ragazzi di provincia davanti ad un gigantesco capitolo di storia. Quel giorno di maggio a Brescia pioveva, la gente si era accalcata sotto le logge. Ed è lì che venne messa la bomba, dentro ad un cestino di rifiuti. Momenti che scolpiscono la memoria ma che sono subito incalzati da una quotidianità fatta di riunioni scrupolosamente protocollate, di striscioni da preparare e pennarelli “da rubare alla standa”. Il compagno incaricato si rifiuta, non ha mai rubato. “Ruba!” è l’imperativo categorico ripetuto goliardicamente dai compagni.

L’umorismo di Paolini, fra parodia e burla, come il suo teatro colpisce per il carico di fisicità, di vivace e pulsante umanità. Esiste una memoria condivisa? La risposta di Paolini è nella sua narrazione che fugge l’astrazione e diventa condivisione dell’intimo.

Sulle ballate di Bob Dylan, interpretate magnificamente da Lorenzo Monguzzi, che ha curato le musiche dello spettacolo, aleggiano incessantemente olio canforato e sifcamina, l'odore degli spogliatoi. Uno dei compagni di rugby e di lotta finirà in ospedale, pestato dalla “celere”.

La cronaca di quell’aprile parla, inequivocabilmente, di una sconfitta. Ma è la bala-omo, una metafora rugbystica, a fornire le dimensioni del vero fallimento: il giocatore inseguito dai pericolosi avversari cede la palla, scaricandosi di ogni responsabilità. E la bala-omo, la conosciamo tutti, “è lo sport nazionale di chiamarsi fuori”.
di Isabella Rossi

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giovedì 12 febbraio 2009

Filumena Marturano, la forza civilizzatrice della natura femminile

Venticinque anni ha vissuto Filumena Marturano a casa di Domenico Soriano, colui che pur togliendola dalla strada si è sempre rifiutato di sposarla. L’uomo cinquantenne, ora invaghito di una ventiduenne, la vorrebbe fuori dalla sua vita e dalla sua prestigiosa dimora affacciata sulla splendida Napoli. Filumena non si arrende e, anzi, alza la posta in gioco. Adesso pretende non solo il matrimonio, che legittimerà davanti alla legge la sua unione con il ricco napoletano, ma anche il riconoscimento da parte di Soriano di tutti e tre i suoi figli, pur essendo lui padre di uno solo .

In una Napoli sconvolta dalla guerra e della fame il personaggio di Filumena è la rappresentazione dell’istinto di sopravvivenza, della fierezza e del temperamento napoletani, e dell’ autorevolezza femminile. Una tutta istintiva, immanente ed implicita, che non scaturisce dall’istruzione, Filumena è analfabeta, né necessita di alcuna legittimazione ma nasce dalla profonda consapevolezza dei propri diritti umani.

Non il suo passato di prostituta intacca l’alto senso di dignità dell’eroina edoardiana. Né una morale ipocrita che vorrebbe far cadere solo su di lei la colpa che appartiene anche a Domenico, frequentatore dei quartieri dove si vendono corpi in cambio di sopravvivenza. Filumena è autorità allo stato puro, così l’ha voluta Edoardo De Filippo. Un’autorità non in forza di legge ma derivante dalla sua funzione civilizzatrice, in anticipo sulle leggi dello Stato.

Lei ultima e diseredata, costretta a mantenersi sin dalla più tenera età, non solo ha provveduto alle sue creature con intelligenza ma pretende ora per loro pari trattamento. Lo fa invocando e suscitando in “Mimì”, il sentimento di paternità. E i sentimenti in “Filumena Marturano”, rappresentata per la prima volta nel 1946 al Politeama di Napoli, dovevano supplire alle lacune legislative. Solo nel 1947, infatti, l’Assemblea Costituente sanciva il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire e educare anche i figli nati fuori dal matrimonio.

Lina Sastri e Luca De Filippo, insieme a tutta la compagnia magistralmente diretti da Francesco Rosi, continuano ad emozionare il pubblico perugino. Le affollate repliche proseguiranno fino a domenica 15 febbraio. Bellissima la scenografia.
di Isabella Rossi

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mercoledì 11 febbraio 2009

Aperativo al buio: m'illumino di Meno

Segnaliamo questa iniziativa di Legambiente Umbria che si terrà a Perugia in via della Madonna presso la pizzeria "Pizza e Musica" (a partire dalle ore 18:30).


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In occasione di “M’illumino di Meno” 2009 e della Settimana Amica del Clima, “Aperitivo al buio” a partire dalle ore 18,30 presso il Ristorante-Pizzeria “Pizza e Musica” via della Madonna, traversa di Via della Viola .
Aperitivo a lume di candela, accompagnamento musicale rigorosamente acustico diffusione di materiale informativo, distribuzione del “Calendario con l’impronta verde” di Legambiente, breve presentazione della campagna, raccolta firme per le petizioni on-line “per un sistema energetico moderno, pulito sicuro, contro il nucleare” e “ 1000 treni per i pendolari”.

In più Legambiente Umbria propone:
- LUNEDÌ 16 E MERCOLEDÌ 18
ECO SPORTELLO DI NARNI E NARNI SCALO, dalle ore 15,30 alle ore 17,30 si daranno informazioni sulle principali tematiche ambientali e documentazione varia anche sul nascente gruppo d’acquisto e il piedibus.
- VENERDÌ 20 FEBBRAIO
ECO SPORTELLO ENERGIA DI FOLIGNO, si tratteranno i principali temi in materia di risparmio energetico e sostenibilità ambientale
- LUNEDI’ 23 FEBBRAIO
Terni, Sala della Provincia, Conferenza Stampa di presentazione dell’ ECO-SPORTELLO DELLA CONCA TERNANA-NARNESE, Sportello di Terni.

Per maggiori informazioni, le info di contatto sono:
Telefono 0755721021
E-mail: legambienteumbria@gmail.com

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martedì 10 febbraio 2009

Un sabato non banale

Inizia la nostra collaborazione con Paolo Parigi, in arte Pablos, giovane autore che periodicamente, metterà a disposizione del blog alcune delle sue opere letterarie. Torinese d'origine e spoletino d'adozione, l'attività di Pablos è caratterizzata da una grande ecletticità di interessi. Laureato in scienze forestali, Parigi svolge oggi le attività di libero professionista e di insegnante di estimo nelle scuole superiori. A questa intensa fase lavorativa, Pablos integra una sorprendente vivacità artistica che si esplica in una feconda produzione di componimenti sia in campo letterale che musicale (l'autore suona il pianoforte dall'età di 8 anni). Il suo talento è stato riconosciuto con la pubblicazione, nel febbraio del 2007 da parte di Aletti Editori Roma, della poesia "Pianoforte". Socialmente Giovani lo ringrazia per la sua disponibilità.


UN SABATO NON BANALE
di Pablos Parigi


Ulula la sirena della centrale
uomini comuni allertati, e fuori…
per l’incolto Monte San Giorgio sale
il calore che incenerisce ...ed odori
di timo, di pino d’arbusto e di cedri.

Lasci i giochi di un sabato banale
indossi l’occorrente antifuoco, adori
dell’organizzazione, il vostro rituale
bosco in fiamme tra terribili rumori
di vento, di schianti, di aghi, di puledri.

Adrenalina nell’aria da valle al crinale

la tua voce è avvolta…PERCHE’ TU MUORI?

Il tuo lavoro hai svolto…professionale
come volontario libero senza ori ne allori
per scelta a difesa del patrimonio naturale

Ora vegli le anime, in prati verdi dimori
che passeggiate, in un mondo celestiale
così ti pensiamo…
per sempre nei nostri cuori.


A DAVID
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domenica 8 febbraio 2009

Grillo e il desiderio di un mondo migliore

E' tornato mastodontico, caustico e devastante come un masso lanciato da un dirupo. Beppe Grillo, la “rolling stone” di casa nostra, il comico “sparlante” per antonomasia, irriverente giullare e re della rete. E mentre la classifica delle celebrità sul web della rivista americana Forbes lo incorona al settimo posto, ed è l'unico italiano presente, in Italia alla sola pronuncia del suo nome si chiudono le finestre, si srotolano le serrande e si riempiono i palasport.

Nessuna eccezione per il Palaevangelisti di Perugia, tempio di sport e cultura prestato per una notte,quella di venerdì scorso, ad un re d’incassi. Starebbe bene nel teatro goldoniano, lui che va a “braccio” su temi di scottante attualità se non fosse per un particolare: questo arlecchino nessun “padrone” lo vuole e ciò non fa che aumentare la sua fama.

“Sono partito cinque anni fa” racconta il genovese al pubblico di Perugia, “non sapevo neanche cosa fosse un blog.” Poi si avventa sulle sue vittime, gli spettatori della platea. Abbraccia teste calve, approccia signore con capelli colorati “di quella vernice che serve per l’antiruggine”, o giovani che “te non ti preoccupare che tanto il futuro non ce l’hai”. Ed in fondo piace per questo. Per i suoi colpi bassi al pubblico pagante e quelli alti alle autorità governanti. E ce n’è per tutti. Dallo “psiconano” a Brunetta non risparmia neanche il Vaticano. Eluana Englaro? “Eluana è una situazione politica”. E le donne in pensione a 65 anni? Ma certo, “in pensione in base al tipo di lavoro e non al sesso”. Grillo, come sempre dice la sua. Parla dei finanziamenti dell’Unione Europea, “8 miliardi che spariscono in Calabria, Campania e in Sicilia”; della crisi industriale “Pomigliano d’Arco ha lavorato 4 settimane in un anno”; delle notizie dal Medio Oriente “arrivano tutte da un’agenzia, le scrive un colonnello israeliano”; e del recente caso delle proteste davanti ai cancelli della raffineria Lindsey Oil della francese Total, a Grimsby, nel Lincolnshire, contro la società italiana che deve realizzare un impianto di desolforazione: “non è vero che gli italiani sono boicottati”; di Brescia, la città dove avverrebbe il maggior numero di stupri in Italia. Grillo mostra un documento dove sono previsti rimborsi spese per lo stupro a secondo dell’età. Oltre i settant'anni, si beffa il comico, “pagano loro”.

Tra una sciabolata e una risata il Grillo "delirante" ammalia e qualche volta perde il filo. Poi si riprende e continua ad infierire: “Veltroni se aveva un briciolo d’intelligenza si acchiappava il movimento del V-day”; sui famigerati media italiani "pompano paura e terrore"; e sulle sorti del Belpaese: "succederà qualcosa d'incredibile in questo paese, a breve". Ma siamo sicuri che non stia già succedendo?

Sul palco è la volta dei ragazzi del meetup di Perugia. E’ questa l’alternativa al marcio, secondo Grillo, la riorganizzazione dal basso: “io non voglio un leader politico, nelle democrazia ci sono obbiettivi”. I ragazzi annunciano una festa per San Valentino al Cva di Balanzano. Parleranno delle loro proposte per un mondo migliore. C’è un momento per tutto, anche per una tragedia che ha colpito l’Umbria. E’ Lorena Coletti a salire sul palco stavolta. Per mano ha il suo bambino. “Mio fratello è vittima della Umbria Olii”, dice, “ci hanno chiesto 35 milioni di risarcimento. E a me mio fratello chi me lo ridà?” Il lungo applauso sancisce le intenzioni del pubblico. Non sono venuti soltanto per ridere. E’ anche il desiderio di un mondo migliore ad averli spinti al Palaevangelisti questa sera.

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sabato 7 febbraio 2009

Cambiare l'università: ma come?


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E' questo il titolo dell'incontro con cui Socialmente Giovani esordisce nella realizzazione di eventi sociali e culturali. Organizzato in collaborazione con le locali sezioni giovanili del Partito Democratico, dell'Italia dei Valori e della Federazione dei Giovani Comunisti Italiani, il dibattito è finalizzato a proporre una riflessione sulla situazione del sistema universitario italiano, anche a fronte dei recenti provvedimenti del Ministro Gelmini. L’iniziativa si realizza all'interno di un percorso che sta coivolgendo, oramai da un paio di mesi, alcuni giovani di Bastia e dei territori limitrofi i quali, nonostante le diverse esperienze culturali e politiche, manifestano una comune preoccupazione verso le recenti disposizioni in materia di formazione e di istruzione attuate dal governo Berlusconi. L’incontro si terrà mercoledì 11 febbraio alle ore 21 presso la sala della Consulta del Comune di Bastia e vedrà gli interventi di Roberto de Romanis (docente facoltà di lettere), Fabio Trippetta (Associazione Precari Ricerca Perugia), Leonardo Esposito (Associazione Universitaria UDU) e di Gionata Gatticchi (Segretario Regionale Giovani Democratici).

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venerdì 6 febbraio 2009

ARROGANZA E VERGOGNA

Scrivo queste parole di getto, dopo aver letto, inorridito, della scelta IGNOBILE del Governo, di un Governo democraticamente eletto in uno Stato LAICO, di approvare un Decreto per OBBLIGARE il proseguimento dell'alimentazione per Eluana Englaro. Questo con un solo colpo elimina un principio elementare di democrazia annullando di fatto una sentenza di un giudice, in pieno contrasto con l'equilibrio dei poteri base della Costituzione.
Grande è la vergogna da cittadino italiano di vivere in un Paese che ancora resta saldamente legato nel suo MedioEvo ecclesiale culturale.
In un paese democratico, laico e civile, ogni Eluana dovrebbe avere la libertà di morire con dignità.

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giovedì 5 febbraio 2009

Dal forcone alla forchetta: iniziativa sul consumo critico

Segnaliamo questa iniziativa organizzata da Uvisp Assisi e che avrà tema di discussione la redefinizione del nostro modello di consumo e di alimentazione. Venerdi 13 febbraio 2009, ore 20:45 presso la sede dell'Uvisp a Bastia Umbria (zona industriale ovest, settore H, nelle vicinanze del centro fieristico Maschiella).

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mercoledì 4 febbraio 2009

Apre il primo Centro di accoglienza per le donne vittime di violenza in Umbria

Ce l’hanno fatta le ragazze. Donne di ogni età accomunate da un desiderio: offrire accoglienza alle donne vittime di violenza. Il progetto presentato da diverse associazioni, tra cui l’8 Marzo, Dike, Controcanti, Mother Assistent, Medea, La Goccia, le coop sociali, la Asl 2 e i partnerns istituzionali, ha vinto il bando per la progettazione sociale del Cesvol.

Il centro dunque ci sarà. L'inaugurazione è prevista per i primi di marzo. Tuttavia partirà come centro di prima accoglienza per le donne vittime di violenza, l’intenzione è quella di andare oltre la prima accoglienza. Intanto l’affitto dell’appartamento, previa approvazione della relativa delibera, verrà pagato dal Comune di Perugia. Ci saranno mobili e tutto l’occorrente per offrire alle donne che si rivolgono al centro grande attenzione e un ambiente gradevole. Sicuramente un buon inizio e più di qualche motivo di orgoglio per tutte coloro che si sono battute per la sua realizzazione.

“Quello che va sottolineato dice Adelaide Coletti”, portavoce della Rete delle Donne Umbre, “è la mobilitazione dal basso di questo progetto e l’impegno e la fatica di 25 volontarie che si spendono per la sua riuscita oltre che per la bontà del progetto stesso. Accanto alle associazioni di più lunga formazione, tra le quali è capofila l’8 Marzo, si sono adoperate organizzazioni spontanee come la Rete delle Donne Umbre, in cui sono attive donne di età, professione, provenienza politica e sociale diverse. E’ stato grazie a questo lavoro di squadra che siamo riuscite a porre l’attenzione sulla necessità di misure di contrasto alla violenza sulle donne in Umbria. Inoltre, organizzazioni come il Sommovimento Femminista, singole donne e donne provenienti dall’associazionismo hanno reso possibile preparare il percorso che ha portato alla costituzione come parte civile al processo per il femminicidio di Barbara Cicioni associazioni di donne sia locali che nazionali”.

Del gruppo di volontarie nel centro di prima accoglienza fa parte anche Annalena Stocchi della Nidil-Cgil. Precariato, discriminazione sul lavoro, difficoltà implicite nella vita professionale di una donna sono il suo pane quotidiano. A lei da anni si rivolgono donne in cerca di aiuto.

In che modo la tua esperienza può essere messa a servizio del centro?
Il mio punto forte è la capacità relazionale. Mi capitano situazioni di ogni tipo ma la mia competenza è più femminile. Ultimamente si sono rivolte a me ragazze extracomunitarie che avevano difficoltà che venisse riconosciuta loro la qualifica o che addirittura venivano fatte lavorare in nero pena il licenziamento. Non sono nuova a frasi del tipo “le negre puzzano non ce le vogliamo in cucina”. C’è ancora tanta discriminazione negli ambienti lavorativi.

Qual'è stato il tuo percorso formativo?
Io sono cuoca. Lavoravo in alberghi a quattro stelle all’Isola d’Elba percependo stipendi di 3,5 milioni al mese prima del 2000. Nell’89 ero a Recoaro. Lì ho contribuito a far ricostituire la sede di Rifondazione con un esito determinante per le amministrative locali. Abbiamo battuto la Lega e la Dc. Dieci anni fa per me l’Umbria era il sogno alternativo, invece poi mi sono scontrata con una realtà durissima soprattutto in ambito lavorativo. Sono passata da un lavoro qualificato come cuoca presso il complesso dell’Antognolla a lavori precari nelle mense scolastiche. Tuttavia, sempre mi hanno riconosciuto competenze relazionali. Insomma, so cosa significa il lavoro di squadra e le donne che vengono al centro potranno contare su tutto il mio appoggio.

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lunedì 2 febbraio 2009

Giuliana Sgrena a Foligno

Segnaliamo la presentazione, con la partecipazione dell'autrice, del nuovo libro di Giuliana Sgrena "Il prezzo del velo" che ci sarà domani martedì 3 febbraio a Foligno (presso la Libreria Carnevali, in Via Pignattara 38) alle ore 16:00. L'iniziativa è promossa dal Distretto scolastico n.7 - Progetto lettura in collaborazione con l'Officina della memoria, la Casa dei popoli e Sovversioni non sospette slr. Conduce la conversazione M. Rita Cacchione
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Intervista tratta da http://www.wuz.it/intervista/1939/intervista-giuliana-sgrena.html

Siamo in compagnia di Giuliana Sgrena per parlare del libro Il prezzo del velo il cui sottotitolo recita la guerra dell’Islam contro le donne. Cominciamo a dire il perché di questo libro adesso.
Questo libro rappresenta un po’, o vuole per lo meno rappresentare, il mio ritorno alla normalità a quello che ho sempre fatto, superando la parentesi di ciò che mi è successo in Iraq. Il mio primo libro pubblicato nel ‘94 si chiamava La schiavitù del velo e trattava la questione dell’integralismo islamico visto però direttamente dalle donne, da donne egiziane, marocchine, algerine. Avevo raccolto degli scritti, li avevo messi insieme e avevo introdotto questo argomento che ancora era sconosciuto in Italia. A distanza ormai di quasi 14 anni, da tempo mi ero ripromessa di riprendere questo discorso anche perché fin da allora io ho continuato in tutti i miei viaggi, in tutti i miei reportage in giro per il mondo musulmano, a raccogliere materiale, testimonianze di donne su questa realtà, sulla condizione della donna in questo mondo. Quindi adesso mi sembrava giunto il momento di pubblicare questi materiali anche perché la questione del velo, la questione della condizione delle donne musulmane nel mondo islamico, ma anche da noi, comincia a diventare un tema importante da trattare

Quello che ha definito con un eufemismo garbato una parentesi avrà aggiunto una consapevolezza diversa alla sua scrittura. In qualche modo è un tema fortemente legato a quello che scrive nel libro. Non scriverà adesso come scriveva nel ‘94... Si parla di una "cattività" delle donne in qualche modo tenute sotto schiaffo da una cultura.
Non tanto da una cultura perché non si tratta tanto di cultura ma si tratta di religione, di una lettura della religione che per molti versi è tornata indietro rispetto alla realtà di qualche decennio fa. È in corso in questi paesi un processo di re-islamizzazione da parte soprattutto di gruppi islamisti che utilizzano la religione a fini politici per prendere il potere e che fanno leva sul fallimento di alcuni movimenti nazionalisti di alcuni progetti di società laici per imporre una loro nuova visione dell’Islam che comporta dei cambiamenti nei costumi a partire proprio da una maggiore repressione delle donne. In alcuni paesi, come l’Arabia Saudita, in effetti, le donne non avevano mai conquistato una loro libertà di diritti. In altri paesi avevano conquistato dei diritti, ma abbiamo visto che negli ultimi anni sono andati perdendosi. C’è un’imposizione del velo, ad esempio, che non è il velo della tradizione, ammesso che la tradizione possa essere una cosa che non si cambia. La mia bisnonna portava il fazzoletto in testa, mia nonna qualche volta, mia mamma non l’ha mai portato ed io neanche. Io penso che le tradizioni possano evolversi. Ma addirittura in questi paesi quello che si pone adesso non ha nulla a che vedere con la loro tradizione. È un velo ideologico, è un velo che risponde ad alcuni dettami più della politica che della religione. Il chador che si impone, il chador che viene e che ha come spinta ideologica la rivoluzione islamica in Iran. Quindi, non si tratta tanto di un recupero delle tradizioni, di una cultura o di una identità. È un altro processo, è un processo ideologico di re-islamizzazione, ancor più pericoloso rispetto al recupero di una tradizione o di una cultura. È un processo molto pericoloso che rischia di annullare i diritti della donna per molto tempo. Però quello che cerco di mettere in evidenza in questo libro è che c’è una reazione a questo processo.

Ci muoviamo un po’ su un terreno scivoloso. Immagino che stabilire un lessico comune sia importante. Quando si parla di re-islamizzazione si assume che tutti quei valori che riassume quella religione, e per esteso anche quella cultura - a questo mi riferivo quando parlavo di una cultura che tiene sotto schiaffo di una determinata parte dell’Islam -, siano negativi in toto. Allora come facciamo per separare il grano dal loglio?
La re-islamizzazione secondo me non ha nulla a che vedere con la religione in sé. È un processo politico che strumentalizza la religione e deve per forza imporre un segno forte di essa. Non può essere una visione tollerante e moderata né tanto meno favorire un processo di secolarizzazione dell’Islam perché altrimenti non si potrebbe più usarlo a fini politici. Quindi, in questo senso io dico che, mentre negli altri paesi è in corso o è appena iniziata una lotta per la secolarizzazione, cosa che altre religioni hanno vissuto in passato, hanno attraversato e hanno superato e hanno attraversato un periodo molto difficile di lotta e di spargimenti di sangue, questo processo inizia ora nell’Islam. Ma questa re-islamizzazione ha come obiettivo quello di bloccare qualsiasi secolarizzazione dell’Islam e di mantenere la vita politica e sociale legata alla religione. E, in questo senso, non può essere che regressiva, non può essere un’evoluzione positiva perché se tutto viene legato alla religione chiaramente non può esserci tolleranza non può esserci un “diverso” perché tutto viene identificato con l’appartenenza religiosa.

Il fatto che si parli dei re-islamizzazione è interessante. Nel suo libro colpisce molto il discorso sull'Iran degli anni 2000 in cui noi diamo per scontato che le cose siano sempre state così. Invece no, in un passato recente, in un ieri visibile l’Iran, che oggi viene identificato come l'origine dei mali da una parte del modo occidentale, è stato anche un paese moderno. Non possiamo non sentirci correi: questo movimento di re-islamizzazione è da imputarsi anche ad una mancata consapevolezza di noi europei, di noi occidentali.
Sicuramente in Iran possiamo dire che la modernizzazione che c’era stata era una modernizzazione un po’ forzata. Un processo di modernizzazione e anche di ricerca di autonomia dalla religione o comunque un processo che riguarda le donne attraverso movimenti femministi esistevano già agli inizi del Novecento. Esistevano anche in Egitto, per esempio, il velo era stato abolito in Afghanistan negli anni Venti, la Turchia è una dei casi più emblematici. Questi processi erano andati avanti: questo ritorno indietro per questi paesi per queste popolazioni, soprattutto per gli intellettuali, per le donne, per i democratici è drammatico. L’Occidente non conoscendo, non volendo conoscere, queste realtà adesso spesso chiude gli occhi. C’è una doppia posizione: c’è chi continua a vedere questi mondi come mondi popolati dai selvaggi, e quindi “che stiano a casa loro che noi non li vogliamo neanche vedere”, e c’è un’altra parte, che riguarda soprattutto la sinistra, che è afflitta da un relativismo culturale per cui, considerando tutto bene, considera bene anche le forme più arcaiche che prevalgono in questi momenti in quei paesi quindi tutto viene giustificato in nome della cultura, della loro identità, senza vedere che ci sono dei movimenti che si oppongono a questi nuovi processi. Non vedendo questi nuovi processi e ignorandoli, facendosi conniventi con chi vuole imporre questa visione arretrata della società, non solo della religione, ma proprio della società, si rende complice. E si rende complice del fatto che i movimenti progressisti, i movimenti delle donne per conquistare i loro diritti vengono drasticamente repressi

C’è una parte del suo libro in cui viene additata la responsabilità dei media. Per esempio le giornaliste corrispondenti da quei paesi si fanno riprendere con il chador ed è folklore in qualche modo. È un comportamento che rema contro la causa delle donne islamiche?
Sì. Me lo facevano notare delle amiche iraniane vedendo delle giornaliste italiane, sono soprattutto giornaliste italiane, perché non succede con le giornaliste di altri paesi europei che si fanno riprendere con il chador anche in situazioni in cui del chador potrebbero fare volentieri a meno. Questo trasmette un’immagine che, in qualche modo, avalla o accetta le imposizioni del velo come se fosse una questione normale, come se fosse una cosa non pesante per una donna il fatto di mettere il velo, di essere costretta a portare il velo. Io capisco che per una giornalista che per una volta va lì può essere più esotico, più folkloristico mettere un velo in testa: così fa vedere all’Occidente che è in un paese dove i costumi sono diversi. Ma il messaggio che si manda per le donne che sono costrette a portare il velo e che per non metterlo si fanno mettere in prigione, oppure - come è successo in Algeria negli anni Novanta - si fanno anche uccidere, è un messaggio estremamente negativo. Dovremmo cominciare proprio a valutare i particolari, perché io penso che lo si faccia con superficialità, che non lo si faccia consapevoli che questo può essere un messaggio negativo. Non possiamo più permetterci questa superficialità perché danneggia le persone che per questi valori si giocano la vita.

In ultima analisi: qual è l’elemento così destabilizzante che delle donne si vuole neutralizzare con l’imposizione del velo?
Con l’imposizione del velo si vuole imporre il controllo sulla sessualità della donna. La donna viene considerata all’origine di tutti i mali e soprattutto all’origine della provocazione dell’uomo. L’uomo deve far valere il proprio onore ma non respingendo la provocazione bensì evitandola. Quindi, la donna velata, con gli occhi bassi, che parla a voce bassa, che non si fa sentire quando si muove, è la garanzia dell’onore del maschio. Il problema è che questo onore il maschio lo fa valere sul corpo delle donne. Non è mai lui che si fa protagonista in prima persona, ma è la donna che deve subire queste imposizioni per poter garantire al maschio il proprio onore, la propria virilità. E quindi questo è il fatto inaccettabile: che la donna debba annullare il proprio corpo per permettere all’uomo una propria identità, un proprio onore.

È spericolato provare a stabilire un parallelo su quello che sta accadendo in questi giorni in Italia a proposito della legge 194, riguardo al controllo del corpo della donna?
Naturalmente bisogna fare le dovute differenze perché i contesti storici e culturali sono diversi. Ma in tutte le religioni monoteiste c’è il virus dell’integralismo che si manifesta in tempi e modi diversi ma che ha la stessa origine. Quindi, quello che sta succedendo oggi in Italia fa parte sempre di quella concezione per cui l’uomo deve avere il controllo sul corpo della donna. La legge 194 che garantisce alla donna il diritto di decidere e quindi la propria autodeterminazione è una cosa che non è mai stata accettata fino in fondo dalla religione cattolica e quindi ogni tanto torna all’attacco per vanificare quella legge che garantiva questa scelta della donna. In un certo senso sì, si può assolutamente paragonare: di fondo c’è sempre il controllo del corpo il controllo della sessualità della donna sia in una religione che nell’altra

Forse a volte siamo portati a considerare la questione in termini accademici perché ci sembra che si parli di una cultura che non è la nostra. In realtà noi viviamo con queste persone, le abbiamo nel nostro paese, le abbiamo in Europa. L’anno scorso in Francia c’è stato il caso, su cui lei si esprime nel libro, della legge che impedisce di portare a scuola segni distintivi di qualunque tipo di religione. Secondo lei è sensato muoversi in quella direzione?
Io avevo dei dubbi sul fatto che una legge potesse avere gli effetti sperati, cioè quelli che devono favorire l’eliminazione del velo. E poi avevo deciso di andare in Francia a vedere quello che sarebbe successo dopo l’entrata in vigore di questa legge. Non sono potuta andare subito per motivi di salute e quindi non sono andata a settembre, quando è entrata in vigore la legge, ma sono andata a dicembre. Vi sembrerà strano ma a dicembre il problema del velo non esisteva più nelle scuole francesi, perché la legge aveva funzionato alla perfezione. In tutto si erano ritirate dalle scuole francesi 97 ragazze musulmane e di queste una buona parte si era iscritta alle scuole cattoliche perché permettono di portare il velo, una piccola parte si era iscritta a scuole per corrispondenza e meno di 10 avevano lasciato la scuola. Quindi, evidentemente, queste avevano pagato il prezzo di questa legge. Però le ragazze che io ho intervistato, che potevano finalmente andare a scuola senza il velo, invece, erano molto contente che fosse stato tolto un ricatto che, non tanto la loro famiglia, ma soprattutto i leader integralisti del loro quartiere imponevano su di loro. Quindi il fatto che a scuola fosse vietato per loro rappresentava goà un motivo per non portare il velo. Poi magari quando entrano nel loro quartiere lo devono portare, ma poi subito dopo lo mettono in borsa e non lo indossano più. Questo è avvenuto in un paese laico come la Francia. L’Italia non è un paese laico, quindi immagino che la reazione potrebbe essere opposta.

Un’ultima domanda, citiamo un precedente: si fa accenno alle donne di Algeria, un movimento compatto e consapevole che ha avuto una forte influenza sulla società civile.
Sì, secondo me il caso algerino è il caso più emblematico perché gli anni Novanta sono stati gli anni in cui il movimento islamista, un islamismo molto radicale, si stava imponendo in Algeria. Si stava imponendo con metodi non pacifici ma con una lotta armata e con metodi molto violenti usati contro la popolazione e soprattutto contro le donne, che avrebbero dovuto portare il velo, lasciare il lavoro, non fare più educazione fisica a scuola, avevano chiuso gli hammam per evitare che le donne si incontrassero. E le donne hanno reagito in un modo veramente straordinario a queste imposizioni rifiutandosi di accettarle, giocando anche sulla testa dei loro figli. Quando gli islamisti non volevano che le scuole riaprissero, le donne hanno mandato ugualmente i figli a scuola consapevoli che non potevano condannarli all’ignoranza, alla non educazione e questa resistenza delle donne algerine è riuscita ad evitare che l’Algeria diventasse uno stato islamico, almeno fin ora.

Di Matteo Baldi, 29 Febbraio 2008.

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domenica 1 febbraio 2009

Cena di solidarietà con il popolo palestinese

Segnaliamo questa cena di finanziamento in favore della popolazione palestinese organizzata dalla Coop Manimbò, dal circolo primomaggio e dal ristorante "Al mangiar bene" (via della Luna 21, Perugia). Martedì 3 febbraio, ore 20:30. Per informazioni e prenotazioni, i recapiti sono: "Al mangiar bene" 0755731047, coop. Monimbò 0755731719, circolo culturale primomaggio 3460134774

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Cena per raccogliere fondi destinati alla "Campagna Emergenza Gaza" promossa da CTM Altromercato e saranno inviati a PARC (Palestinian Agricolture Relief Committees), una delle più grandi ONG palestinesi.

PARC è impegnata in programmi di sviluppo fondati sulla promozione della produzione agricola, per la preparazione di pacchi viveri destinati alla popolazione della Striscia di Gaza e per iniziare progetti di ricostruzione, come ad esempio la riabilitazione della cooperativa di donne che produceva il cous cous. Per ricordarci che il commercio equo è continuità nelle relazioni anche nelle emergenze.

La cena comprende: antipasto "al mangiar bene" - cous cous palestinese - dolce - caffè - bevande. La sottoscrizione è a partire da 25 euro.

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L'instancabile e grottesca ricerca del reale

La signora Frola o mente o è pazza. Il signor Ponza o mente o è pazzo. Qual’è la verità? Massimo Castri mette in scena ancora una volta la celebre commedia pirandelliana che nel 1980 gli valse il premio Ubu come miglior regista. Così è (se vi pare), la commedia manifesto che anticipa quella problematica esistenziale al centro della poetica e della filosofia dello scrittore, poeta e drammaturgo italiano: l’inconoscibilità del reale.

Nella messa in scena di Castri la ricerca della realtà oggettiva è ansiosa, convulsa, melodrammatica, grottesca. Ma esiste una realtà oggettiva? "Sì i giorni della settimana, i giorni dell'anno." Eppure la ricerca continua e la giovane compagnia teatrale riesce ad imprimere alla scena una grande energia. Una freschezza che contrasta volutamente con l’atmosfera stagnante e polverosa dei salotti di una borghesia decadente, avulsa dalla realtà e perennemente impegnata nel soddisfacimento delle proprie curiosità morbose.

I personaggi, incalzati dalla frenesia, che la brama del “sapere” gli impone, sembrano disegnati dalla matita di Georg Grosz. Entrano ed escono, come se fossero telecomandati. La loro è un’individualità aguzza e corale, quella di marionette che con gran ritmo calpestano, sbattono, chiudono e aprono porte, sempre controllate da un unico insensato desiderio: conoscere la verità.

E tanto più questa si allontana, per un perfetto gioco di rimandi simmetrici e inattaccabili, tanto maggiore è la febbre che spinge i frequentatori del buon salotto a sfogliare uno ad uno i veli dell’arcano. Alla supposta crudeltà del signor Ponza si oppone la possibilità del suo esatto contrario. Per la suocera il genero sta compiendo il più squisito atto di umanità: il mantenimento di un’illusione che le impedisce di crollare in mille pezzi. Tuttavia, lucido, intelligente e scaltro è l’argomentare di colei, che lungi dall’essere pazza, si professa autrice dello stesso salvifico gesto: mantenere viva, in accordo con la figlia, la finzione per il bene del genero.

Entrambi, suocera e genero, hanno ragione, entrambi torto. Ma la fascia nera che cinge il loro braccio significa la stessa cosa: lutto. Quale morte si stia piangendo è facilmente intuibile dalle parole della misteriosa donna che per ultima calca la scena: “Io sono colei che mi si crede e per me nessuna.” E’ la realtà oggettiva ad essere morta, la stessa che l’espressionismo, che inneggiava alla valorizzazione della realtà emotiva, dichiarò per sempre artisticamente superata.

Isabella Rossi

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