venerdì 30 gennaio 2009

Spettacolo teatrale "L'istruttoria"

Segnaliamo questa interessante iniziativa in memoria di Giuseppe Fava che si terrà ad Assisi, sabato 7 febbraio, presso il Piccolo Teatro degli Instabili.



Ogni processo è un palcoscenico irripetibile. Un luogo che incrocia destini, parole, follie. Che ricostruisce la storia dei fatti e quella dei pensieri che li precedettero. Che mescola menzogna e verità.

In questo senso, il processo in morte di Giuseppe Fava (assassinato dalla mafia davanti all’ingresso del Teatro Stabile di Catania il 5 gennaio 1984) è già teatro: per la storia civile che rivela, per l’umanità malata di certi suoi personaggi, i testimoni imbelli, i mafiosi arroganti, gli investigatori ignavi. Ma anche per coloro che non si piegarono, che conservarono intatta la memoria delle cose accadute e del loro perché. Ecco: la rimozione e la ribellione.

Era questo che andava raccontato, ben oltre la minuzia dei verbali delle udienze(duecentotrentaquattro per la precisione, duecentosettanta i testi ascoltati, seimila pagine di verbali…) Ed è ciò che ha fatto Claudio Fava. In un testo che si fa archetipo del teatro verità, pur conservando estrema fedeltà a ciò che in quel dibattimento fu detto, l’autore ha voluto ricostruire non solo il processo, ma il suo tempo, le voci, e i silenzi che lo percorsero, le ragioni di un delitto e quelle, perfino più gravi, dell’oblio.

Oggi di quel processo resta in apparenza solo una sentenza di condanna. Eppure dietro i riti della giustizia, c’è sempre altro. Come la celebre Istruttoria di Peter Weiss non è solo il canto d’orrore e di dolore per l’inferno dei lager nazisti, anche questa istruttoria racconta la morte di un giornalista per narrare tutta la ferocia della mafia, l’oltraggio irrisolto della sua violenza, la viltà dei complici.

E soprattutto la rabbia dei sopravvissuti.

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martedì 27 gennaio 2009

Un Giorno della Memoria

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Queste pesanti parole di Primo Levi, vittima e testimone di una delle più brutali dimostrazioni dell’intolleranza e dell’irrazionalità umana, meriterebbero di essere ricordate non un solo giorno all’anno, ma ogni singola mattina appena svegli per essere consapevoli delle responsabilità che comportano le singole azioni umane nel quotidiano. Questo oggi più che mai, quando i figli e i nipoti di quegli stessi uomini e di quelle stesse donne che hanno visto la morte nei campi di concentramento e che si sono visti ghettizzare e deumanizzare dall’irrazionalità nazista, divengono essi stessi carnefici, sostituendo muri a fili spinati e fosforo bianco al Zyclon B. L’obbligo per una civiltà che ambisce a definirsi umana non può prescindere dal ricordo quotidiano gli orrori commessi e subiti..altrimenti sempre nel mondo ci saranno una nuova Auschwitz o una nuova Gaza.

« Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario »
Primo Levi

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sabato 24 gennaio 2009

Valzer con Bashir



Valzer con Bashir. Pellicola assolutamente sui generis, intensa, emozionante che coniuga la funzione descrittiva di narrazione della storia, tipica del cinema militante, all’indagine psicologica degli aspetti più reconditi della psiche umana. Film che assume, se vogliamo, significati ancora più profondi, tenendo conto della sua produzione israeliana e della contemporaneità con i recenti echi di guerra in Medio Oriente.

La trama si sviluppa intorno alla ricerca personale di Ari, ex soldato che ha combattuto, sotto le insegne ebraiche, la guerra in Libano nei primi anni Ottanta. Ari ha completamente rimosso quella fase della sua vita, non ne ricorda nulla se non vaghe immagini come lontane nel tempo. Egli ha consapevolezza di aver partecipato alla guerra, di essere stato testimone e addirittura attore della sua crudezza; sa di aver visto con i suoi occhi il massacro del campo profughi di Sabra e Shatila. La sua memoria, però, non ne riserva alcuna traccia. L’incontro con un suo ex commilitone, devastato da tempo da un incubo ricorrente che trae origine da quella esperienza militare, riapre la sua mente e spinge Ari verso un necessario bisogno di “ricordare”. Inizia un lungo viaggio che lo porta a ricercare tutti i suoi ex compagni di guerra e a parlare con loro di quei giorni tragici che hanno segnato per sempre le loro coscienze. Attraverso le loro storie, i tasselli vengono pian piano rimessi insieme e riportano alla sua mente la brutalità della guerra e la disumanizzazione che essa provoca negli individui. Ari ricorda anche quella terribile e nota vicenda, che avvenne proprio sotto i suoi occhi, la strage di innocenti perpetuata a Sabra e Shatila dalle truppe falangiste cristiane. Le truppe maronite libanesi, con la completa accondiscendenza degli alleati israeliani che non mossero un dito per fermarli, nelle giornate tra il 16 e il 18 settembre 1982 entrarono nei campi profughi e massacrarono, senza alcuna pietà, centinaia e centinai di uomini, donne e bambini, colpevoli solamente di essere palestinesi. Ari era lì, a due o forse trecento metro, a vedere tutto senza potere fare nulla.

La scelta del registra Ari Folman di produrre il film con tecniche di animazione non toglie nulla alla verosimiglianza della pellicola verso la realtà. L’animazione, combinata con un sapiente utilizzo delle colonne sonore, riesce inoltre a rendere ancora più intense le suggestioni del regista, come la “love boat” piena di militari che se la spassano come matti in attesa nello sbarco oppure la danza del soldato israeliano che, sotto le gigantografie del presidente libanese Bashir Gemayel, balla il suo surreale valzer sparando a destra e a manca contro i cecchini palestinesi, appollaiati nei palazzi sovrastanti. Il finale poi è ad effetto e non lascia sicuramente indifferenti…

Valzer con Bashir, di Ari Folman
Lucky Red, 2008. Durata 90’

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venerdì 23 gennaio 2009

Il sangue dei vinti, di Giampaolo Pansa


A quasi sessanta anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, è utile parlare ancora della Resistenza come quel fenomeno che ha portato alla rinascita il nostro paese, fondamentale, per aver contribuito alla liberazione del paese affinchè democrazia e libertà tornassero ad essere gli elementi costitutivi dello Stato italiano. Dietro la Resistenza però, si cela anche altro, che solo chi ha l’amore per la verità storica può affrontare con oggettività: questo è GIAMPAOLO PANSA.
Pansa, nato a Casale Monferrato nel 1935, autore di romanzi di grande successo, dopo aver scritto sulle atrocità compiute dai tedeschi e dai fascisti, squarcia la “cortina di silenzio” sull’altra faccia della guerra civile, offrendo testimonianza della sua onestà di narratore capace di osservare con sguardo limpido anche le vicende di un campo che non è mai stato il suo.
L’autore si imbatte su un terreno ben poco battuto: la resa dei conti inflitta dai partigiani ai fascisti sconfitti nell’aprile 1945, una realtà forse scomoda e tendenzialmente ignorata. Pansa svela le atrocità di questa guerra civile, descrivendo la fine di migliaia di italiani che pur avendo scelto di sostenere Mussolini fino all’ultima battaglia, non erano tutti criminali di guerra da punire con la morte. Milano, Torino, Oltrepò Pavese, Bologna, Modena, Reggio furono questi luoghi teatro di barbarie, l’autore ne fa un resoconto spietato dove a prevalere è la brutalità del castigo inflitto a chi era schierato con la Repubblica Sociale Italiana. Ciò che colpisce del libro è l’inaudita violenza, costante nella ricostruzione dettagliata di decine di eccidi e centinaia di omicidi compiuti per punizione, vendetta, fanatismo politico e per odio di classe. Uomini, donne, adolescenti, parenti, conoscenti iscritto al partito fascista furono prelevati nelle loro case, condotti in carcere e uccisi brutalmente; altri furono vittime di agguati per strade, fucilati lungo i fiumi o direttamente nei cimiteri. Per i “meno” fortunati, la morte arrivava dopo una lunga via crucis di violenze, atroci torture e stupri.
Su questa “verità nascosta” o, per lo meno, poco conosciuta, si sono scatenate sin da subito scalpore e una miriade di polemiche. Lo stesso autore è stato, addirittura, accusato da “due signori più o meno noti che hanno combattuto la Resistenza”, che – senza aver neppure letto il libro – intervistati lo hanno insultato molto pesantemente, dicendo che Pansa avesse scritto il libro per ingraziarsi il Presidente del Consiglio Berlusconi e la borghesia fascistoide italiana e che presto sarebbe diventato direttore del Corriere della Sera.
Pansa con il suo libro vuole far sì che il lettore rifletta su questo interrogativo: i vinti del 1945 hanno pagato troppo o poco? A noi lettori spetta dare questa risposta.

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giovedì 22 gennaio 2009

Questione di civiltà

Mentre in Italia si parla di classi ponte per alunni straneri, si dibatte sulla tassa sul permesso di soggiorno e sull’obbligo di denuncia dei clandestini da parte dei medici; mentre in Italia il Presidente della Camera chiede che nelle moschee si predichi in italiano (dimenticandosi che da un lato le preghiere nell’Islam sono recitate in arabo, la lingua originale del Profeta e del Corano, e che dall’altro il Papa ha più volte riproposto il ritorno all’uso del rito romano in lingua latina) e si fanno crociate contro la costruzione di nuove moschee o centri di cultura islamica (Padova e Bologna ne sono esempi); mentre in Italia si spara a zero sulla figura dell’immigrato adducendo giustificazioni legate alla sicurezza e alla questione del lavoro, in Olanda il deputato di estrema destra olandese, Geert Wilders, noto oltre che per le sue affermazioni provocatorie anche per essere l'autore del film anti-Corano "Fitna", sarà processato per le sue dichiarazioni anti-islamiche."In un sistema democratico, l'istigazione all'odio va considerata seriamente perchè è nell'interesse generale tracciare una linea chiara", ha dichiarato il tribunale di Amsterdam.
..bel paese l'Olanda..Borghezio e amici dovrebbero visitarlo..

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martedì 20 gennaio 2009

Diego Parassole sulle acque minerali

Dal circuito "Raiset" (stranamente...), uno sketch molto simpatico sulle acque minerali con un messaggio finale che vi consiglio di seguire!


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lunedì 19 gennaio 2009

Il dio della carneficina abita fra noi

Ultima affollatissima replica, domenica scorsa, per “Il Dio della Carneficina”, lo spettacolo andato in scena al Teatro Morlacchi di Perugia dal 14 al 18 gennaio e il 13 gennaio al Teatro Nuovo di Spoleto. La commedia di Yasmina Reza, portata per la prima volta in scena nel 2006, ha già attraversato i più importanti teatri europei, con la partecipazione di attori del rango di Isabelle Huppert e Ralph Fiennes, riscuotendo ovunque grande successo.

La semplice trama, Bruno è stato ferito violentemente al viso con un bastone da Ferdinando, i loro genitori si incontrano per regolare civilmente l’accaduto, fornisce una solida piattaforma dove far maturare il confronto fra stereotipi dei nostri giorni. Sedute su due divani color arancio sono riconoscibili varie anime del nostro vivere moderno: intellettuali politicamente corretti, affaristi senza scrupoli, madri sensibili per definizione e uomini di ostentato buon senso. Nella piéce dell’autrice francese tutti loro sono cavie involontarie di un unico cinico esperimento: individuare la vera natura dell’essere umano. Superfluo sottolineare che i personaggi in questione sfuggiranno a tale profonda verifica, fornendo una serie di colpi di scena che rimetteranno sempre in discussione limiti e parametri di giudizio. Incessantemente, sotto ad ogni pelle, l’essere umano svelerà così sentimenti ambigui e labili, in palese contraddizione con la coerenza decretata dai principi alla base del patto sociale. Ma se il geniale equilibrio dei dialoghi, in continuo bilico tra commedia e tragedia, attesta la maturità artistica dell’autrice non spiega del tutto il grande successo di pubblico che lo spettacolo stesso ha raccolto nelle sue tournée, dovuto ad un altro elemento, uno d’origine “gastronomica”. Nella commedia della Reza gli istinti umani più bassi sono piatti saporiti serviti caldi a cui pochi sanno resistere. Una sottile ironia, coinvolge lo spettatore sin dalle prime battute portandolo per mano, fino ai limiti oscuri del più spregiudicato sarcasmo, a ridere con la massima naturalezza delle piccole e grandi meschinità gratuite del quieto vivere quotidiano, del malcelato istinto di sopraffazione che abita i rapporti civili, della cieca fede nella vittoria del dio della carneficina, la cui posizione dominante non viene quasi mai fatta vacillare dalle convinzioni degli essere umani.

Un cast d’eccellenza, composto da Silvio Orlando, Anna Bonaiuto, Alessio Boni e Michela Cescon, per la regia di Roberto Andò, ha reso la tournée italiana tra le migliori di questa stagione teatrale.

Isabella Rossi

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martedì 13 gennaio 2009

FERMIAMO LA STRAGE!

SABATO 17 GENNAIO 2009
I costruttori di pace s'incontrano ad Assisi
PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE!

La strage continua da 18 giorni.
1000 morti
4200 feriti
Quanti bambini, quante donne, quanti innocenti dovranno essere ancora uccisi prima che qualcuno decida di intervenire e di fermare questo massacro?
FERMIAMO LA STRAGE!
Rompiamo il silenzio dell'Italia!
ore 10.00 Assemblea di riflessione, confronto e proposta
Sede: La Cittadella di Assisi - via Ancajani 3

ore 13.30 partenza del corteo

ore 15.30 conclusione della manifestazione
Vieni anche tu!
Ulteriori informazioni e approfondimenti li trovi su
Tavola della pace via della viola, 1 (06100) Perugia 075.5736890 - Fax 075.5739337 segreteria@perlapace.it
Socialmente Giovani ha aderito all'iniziativa e vi invita a partecipare numerosi!

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domenica 11 gennaio 2009

Ciao Faber



La città vecchia

Dieci anni sono ormai passati da quella mattina di gennaio. Accendendo la televisione e vedendo una continua programmazione dei tuoi video e delle tue canzoni, capii subito che te ne eri andato: non ci poteva essere altra spiegazione a questo interesse mediatico verso la bellezza e l’emozione.

Ti avevo conosciuto da poco, quasi per caso, in gita scolastica. Una radio siciliana aveva mandato in onda “Bocca di Rosa” e due miei compagni avevano cominciata a cantarla a squarciagola, con una rara passione. E subito fui colpito da quelle parole, così sferzanti e dolci allo stesso tempo, dalla storia di quella ragazza che “metteva l’amore sopra ogni cosa”.

I mesi successivi una vera “indigestione” delle tue poesie: la guerra di Piero, la ballata del Michè, il Testamento di Tito, Re Carlo torna dalla battaglia di Poitiers…quanto le tue canzoni hanno accompagnato quegli anni della mia adolescenza.

Ogni persona che ha avuto la fortuna di ascoltarti, io credo ti debba qualcosa. Ho pensato spesso a come sarebbe la mia esistenza senza il sottofondo tenero delle tue canzoni. E credo che molto ti devo se oggi provo a vedere, con un occhio diverso, le vicende della vita dell’uomo; molto ti devo se ho capito che la storia personale di ogni individuo, anche quella dei cosiddetti “perdenti”, può essere invece portatrice di una grande luce e di un intenso valore umano. Molto ti devo se ho intuito che un amore mistico, sovrannaturale e imperscrutabile deve pur esistere e non ci abbandona mai, nemmeno nella disperazione più profonda.

Ciao Fabrizio, sublime cantautore che ci guarda dal cielo. La tua poesia continuerà a riscaldarci i cuori da lassù.

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venerdì 9 gennaio 2009

La vertenza di Gualdo Cattaneo: centrale a carbone o modello di sviluppo Sagrantino?



Intervista completa a Enrico Cerquiglini e Raul Mantini
Comitato per l'Ambiente di Gualdo Cattaneo

Partiamo innanzitutto da alcune informazioni generali sulla centrale a carbone Pietro Vannucci: da quando opera, quanti lavoratori impiega, se è una centrale di piccole o di grandi dimensioni, quale bacino serve.
E.C.
La centrale nasce negli anni ’50 e fino al 1988-89 ha funzionato ad olio pesante. Successivamente c’è stata una riconversione a carbone, che la popolazione ha cercato di ostacolare in tutti i modi, raccogliendo circa 2000 firme. Ci fu però una completa sordità da parte delle forze politiche a questa azione popolare dal basso e così passò questa trasformazione a carbone. Già allora presentava l’anomalia di essere l’unica centrale, tra le 13 a carbone in Italia, ad essere situata, anziché sul mare, all’interno del territorio. Negli anni, ci sono stati poi diversi tentativi che i comitati che sono sorti hanno dovuto letteralmente fronteggiare. Si è partiti con un tentativo di costruire una discarica sul retro della centrale (non è mai capito se fosse per le ceneri, perché poi sull’Enel non è stata mai diretta. Le iniziative venivano dai privati, non direttamente dall’Enel). Dopo c’è stato il tentativo di bruciare CdR (Combustibile da Rifiuti n.d.r.), poi polveri animali. Ogni tanto veniva fuori una qualche innovazione di questo tipo che fortunatamente i comitati sono riusciti a stoppare. L’ultima in ordine di tempo è stata questa idea delle biomasse che avrebbero dovuto letteralmente stravolgere il volto non solo del territorio ma della centrale stessa; anche perché con il termine biomasse non si parlava soltanto di resti della produzione agricola, di falciature e di potature, ma ci rientrava anche il combustibile derivante da rifiuti, in quanto una normativa – tutta nostra – li aveva inseriti in qualcosa che poteva essere, in qualche maniera, riproducibile nel tempo.

Questo progetto relativo alle biomasse era un progetto di riconversione della centrale o era un vero e proprio ampliamento?
E.C.
Doveva servire una percentuale della produzione. Ma questa percentuale significava centinaia di migliaia di tonnellate di biomasse che neanche l’intero territorio dell’Italia Centrale era in grado di produrre (figuriamoci la zona del gualdese o del gianese).
R.M. Riguardava una produzione di circa 22 MW di biomasse. Ora insigni studiosi d’Europa ─ in Italia abbiamo Gianni Tamino ─ hanno dimostrato in maniera incontrovertibile che una centrale a biomasse ha senso soltanto in un contesto di filiera corta, con una pezzatura di 1-2 MW al massimo. Reperire biomassa per 22 MW significava dovere avere a disposizione un’area talmente vasta per cui il bilancio energetico tra il consumo per il reperimento della biomassa e il trasporto stesso ai bruciatori della centrale, sarebbe stato negativo. Quindi il nostro sospetto fortissimo era che, dietro al tentativo di parziale conversione a biomasse, vi fosse celata la volontà di fare realizzare un impianto per bruciare rifiuti. Ai sensi di legge, un impianto autorizzato a bruciare biomasse è automaticamente anche autorizzato a bruciare rifiuti.

Con tutti i relativi problemi di inquinamento…
R.M.
Esattamente. La storia ci insegna che, a Cutro in Calabria, in seguito all'emergenza rifiuti, hanno legalmente bruciato CdR in una centrale a biomasse. A Bando d'Argenta, nel Ferrarese, hanno illegalmente bruciato rifiuti nella locale centrale a biomasse. C’è dunque un’ampia casistica. Ritornando poi alla prima domanda che hai fatto, questa è una centrale che è composta da due gruppi da 75 MW per un totale di 150 MW, quindi è una piccolissima centrale. Come diceva Enrico, è l’unica centrale a carbone situata nell’entroterra e dà lavoro ad una quarantina di persone interne ─ di cui pochissime del territorio ─ e a circa 20-30 autotrasportatori. Orbene, negli ultimi anni si è consolidato nel territorio un modello di sviluppo alternativo ed ecosostenibile, che è basato sull’agricoltura di pregio e sul turismo che da esso deriva, oltre che dall’aspetto conseguente del mercato immobiliare di pregio. La persistenza di un impianto come questo, che è un impianto insalubre di categoria 1 ai sensi di legge, non può che rappresentare un ostacolo ad un simile modello di sviluppo. È impensabile mantenere Sagrantino e centrale a carbone contemporaneamente, è impensabile continuare a far convivere olio d’oliva DOP e centrale a carbone. A Gualdo Cattaneo, è ora di capire che o si fa il Sagrantino e l’olio o si fa altro.

Inoltre, aldilà delle motivazioni economiche che sono certamente importanti, penso che questa centrale crei gravi problemi di carattere ambientale. A questo proposito, facendo alcune ricerche su internet, abbiamo trovato dei documenti abbastanza in contrasto tra di loro. Da una parte ci sono alcuni rapporti dell’APAT che segnalano una notevole concentrazione nell’aria e nell’acqua di materiali nocivi (in diversi casi, con livelli molto superiori alle soglie consentite); dall’altra c’è un monitoraggio dell’Arpa del 2006 che – testuali parole ─ afferma: nel corso dell’anno 2006 [si] evidenzia una buona qualità dell’aria […] con tutti i parametri entro i limiti e sempre al di sotto delle soglie di valutazione. Come stanno allora effettivamente le cose?
R.M.
Per quello che sappiamo noi, sono stati effettuati due biomonitoraggi ambientali con api e licheni, patrocinati e finanziati dal Ministero dell’Ambiente. Da questi due biomonitoraggi risultano livelli tutt’altro che trascurabili di metalli pesanti quali mercurio, cromo, nichel, vanadio, cadmio e soprattutto arsenico. È chiaro che le leggi possono ammettere o non ammettere soglie minime o soglie massime: noi però siamo ancora qui ad aspettare che qualcuno venga a dimostrarci che 167 kg di arsenico, 72 kg di mercurio o 1462 tonnellate di ossidi di zolfo non abbiano alcun effetto sulla salute. Che ci dimostrino l’effettiva innocuità di queste emissioni (emissioni dichiarate dal gestore stesso della centrale). È chiaro che le leggi sono soggette a cambiamento, spesso sappiamo chi fa le leggi e sappiamo per chi le fa. Noi siamo anche disposti a credere che il gestore dell’impianto sia sempre ligio al rispetto delle normative vigenti, ma ciò non significa che il rispetto delle normative sia automaticamente conforme alle soglie di sicurezza. Per quanto ci riguarda, tutti gli oncologi che abbiamo consultato ─ in primis il prof. Fedi di Terni ─ ci hanno confermato il fatto che non esistono soglie minime di sicurezza. Veronesi dice che non esistono soglie minime per le sigarette, per quale motivo dovrebbero esistere per l’inquinamento industriale?

Esistono delle indagini sullo stato di salute della popolazione del comprensorio?
E.C.
Indagini che siano state fatte dagli enti preposti non esistono. Qualcuno ci ha risposto che la nostra è una popolazione troppo piccola per poter fare un’indagine seria sull’incidenza di alcune malattie. Però l’esperienza ─ in una comunità che conta circa 5-6 mila persone ─ ci dice che ci sono troppi casi di malattie e di leucemie che si stanno verificando nel territorio. Non credo che sia normale che una forma di leucemia piuttosto rara, con un’incidenza di circa un caso su 100 mila persone, si sia manifestata in cinque casi in circa un anno. Non abbiamo dati scientifici per dimostrare la correlazione, ma troppe coincidenze fanno sorgere legittimi sospetti.
R.M. Senza considerare poi – integro quanto espresso da Enrico – che non esistono soltanto delle leucemie sul territorio. Ultimamente si è anche verificato un aumento dei casi d’infarto; persone insospettabili, mai state cardiopatiche, non dedite all’alcool o al tabagismo. Ragazzi di 36 anni ma anche signori di una settantina d’anni (la medicina ci insegna che la soglia critica per l’infarto è dai 25 ai 50 anni e che morire d’infarto a 70 anni è una cosa molto strana). Abbiamo casistiche d’infarto che ci lasciano molto perplessi. Abbiamo avuto e continuiamo ad avere casi di leucemia, anche fulminanti, che nel giro di pochi giorni si portano via la gente. Adesso noi ci guardiamo bene da formulare un’ipotesi causa-effetto. Vero è che le autorità dovrebbero quanto meno approfondire questo aspetto molto serio del territorio. Il Comitato ─ che ha un rappresentante nella Commissione Ambiente del comune di Gualdo Cattaneo – ha fatto pressioni al sindaco, nella sua qualità di primo ufficiale sanitario e di primo ufficiale di governo, affinché venisse nominata una commissione permanente di studi sul problema. In questi giorni si sta formalizzando una collaborazione tra il Comune di Gualdo Cattaneo e l’Istituto Nazionale Tumori che, nella persona del prof. Federico Valerio, effettuerà uno studio dedicato sul territorio per cercare di capire se esiste un nesso causa-effetto tra presenza di questo impianto e insorgenza delle malattie.

Hai parlato del rapporto con le istituzioni. Ci sono delle voci istituzionali e di governo che supportano la vostra causa?
R.M.
Dal mondo politico, aiuto finora ci è giunto soltanto da Oliviero Dottorini, dei Verdi Civici di Perugia. È stato l’unico che, a livello regionale, si è adoperato per la causa di Gualdo Cattaneo. Per quanto riguarda il mondo istituzionale, noi riconosciamo il fatto che l’amministrazione comunale si è mossa alle nostre sollecitazioni. Dobbiamo però sottolineare il fatto che un’amministrazione comunale dovrebbe essere il locomotore di simili iniziative e non il rimorchio. Fino adesso, è stata il rimorchio, è venuta nel nostro stesso binario, perché non sono stupidi; però un’amministrazione comunale degna di tal nome avrebbe per prima dovuto prendere le redini della situazione. Per quanto riguarda invece le altre forze politiche, se da una parte c’è un certo torpore, un fare-non fare (non si sa bene che cosa vogliono fare e quali posizione vogliono prendere), altre forze politiche radicate sul territorio che nel corso degli anni hanno comunque sempre rappresentato la minoranza, hanno sposato la causa degli autotrasportatori locali. Questo ovviamente è bene che lo gente lo sappia, che una parte della politica locale – senza fare nomi o dare indicazioni – si è schierata tout court con gli autotrasportatori, ignorando le istanze di chi sollevava legittimi dubbi e legittimi sospetti.

Venendo invece a parlare del Comitato, abbiamo visto che oltre alla parte negazionista, quella che dice cioè che bisogna smantellare la centrale a carbone in quanto arreca gravi danni alla salute dei cittadini e all’ambiente, c’è anche una parte propositiva che dice che il bacino di Gualdo Cattaneo può diventare sede di produzione di energia elettrica pulita (leggevamo per esempio che c’erano proposte di riconversione della centrale ad una impianto che sfrutti l’azione combinata del gas naturale e del solare oppure la possibilità di utilizzare i Monti Martani per l’eolico). Sono questi progetti concretamente realizzabili nella zona?
R.M.
A proposito di questo il sindaco di Giano dell’Umbria Morbidoni ha detto no all’eolico per insistere sul sì alla centrale. Questi sono i misteri della fede! Noi ci siamo sempre dichiarati più che pronti a valutare la possibilità di una conversione dell’impianto per esempio a solare termodinamico. Non tutti sanno che il premio Nobel Rubbia è andato in Spagna, a Sanlucar La Mayor, vicino Siviglia e ha fatto un impianto a specchi solari a sali fluidi che la stessa ENEL sta sperimentando a Priolo Gargallo nel siracusano e che è una centrale ad emissioni zero. Si chiama Progetto Archimede ed è un sistema che funziona a specchi solari e a sali fluidi. Perché non fare una cosa del genere anche a Gualdo Cattaneo, tant’è che nel territorio esistono fonti di sviluppo alternativo con l’agricoltura di pregio? Una cosa del genere si sposerebbe perfettamente con il territorio. Un’altra cosa interessante potrebbe essere l’eolico, non il macroeolico con pale da 120 metri, ma con pale da 20-30 metri al massimo. Non è vero che i comitati civici sono il fronte del no: noi siamo – e lo rivendichiamo con orgoglio – il fronte del “Sì, ma…”. Sì, purché sia rispettoso della morfologia del territorio e della sua integrità; perché questa terra è nostra, questo lo ribadiamo e lo ripeteremo sempre.
E.C. Basta dire che siamo il movimento del NO. Noi siamo i movimenti del “Basta”, basta di decidere le cose che passano sopra la testa di tutti. Ci sono possibilità nel nostro territorio di produrre energia elettrica, come gli impianti solari fotovoltaici a terra. Ogni due ettari producono più di 1 MW di corrente. Quindi non ci stiano a prendere in giro, qui non c’è la volontà politica, non è vero che non c’è un’alternativa: noi di alternative ne abbiamo, ne proponiamo e siamo pronti a discuterne. Certo è che se ci si arrocca a difesa del carbone, non c’è alcun tipo di dialogo. Noi diciamo basta con le strutture che sono oramai archeologiche: questa credo che sia la seconda centrale più vecchia d’Italia dopo La Lanterna di Genova. Basta. Lo sviluppo che ha prodotto la centrale si è esaurito negli anni: questo impianto poteva essere valido negli anni ’50-’60, negli anni della migrazione, quando migliaia di persone nel territorio sono partite per la Svizzera, per il Belgio, la Francia. Ora sembra che il comune e il territorio abbiano individuato le sue linee sviluppo che prescindono dalla produzione tradizionale di energia elettrica, con mezzi come l’olio pesante in precedenza e il carbone adesso…

A proposito di quello che state dicendo, visitando il vostro sito internet, siamo rimasti colpiti da due cose in particolare. La prima è che voi non vi limitate a dire no alla centrale di Gualdo Cattaneo, ma fate proposte concrete per un ripensamento radicale dell’attuale modello di sviluppo. La seconda cosa è invece la presenza di continui riferimenti che ad altre cause simile alla vostra (come ad esempio la centrale di Civitavecchia), quasi a voler significare che solo in una logica di rete è possibile provare a dare delle proposte alternative e di cambiamento…
R.M.
Assolutamente sì. Il nostro Comitato è nato nel ’94 ma ha intensificato i lavori soltanto a partire dall’Aprile del 2007, quando alla trasmissione “Anno Zero” del 5 Aprile furono invitati i No Coke di Tarquinia e Civitavecchia. Lì noi abbiamo visto una popolazione che con le unghie e con i denti stava difendendo il proprio territorio. Il giorno dopo ci siamo messi in contatto con Gianni Ghirga (Comitati dei Medici per l’Ambiente e la Salute del Lazio, n.d.r.) e da lì è nata la rete nazionale dei movimenti per il no al carbone (che quest’estate, obtorto collo, hanno incaricato il sottoscritto di coordinare tutto il movimento). Con noi ci sono i No Coke di Civitavecchia e Tarquinia, c’è Genova, c’è Brindisi, c’è Porto Tolle; siamo in contatto anche con alcuni elementi della centrale di Ottana in Sardegna. Adesso il movimento No al Carbone in Italia è una realtà: abbiamo fatto rete e non solo ci limitiamo – come dicevi prima – a dire “no al carbone”, ma proponiamo tutta una serie di alternative reali ed ecosostenibili che sono già sistemi commerciabili nel mondo evoluto. (non vediamo per quale motivo non debbano esserle anche nel Bel Paese, noi che siamo l’Arabia Saudita delle energie rinnovabili e che invece continuiamo a produrre energia elettrica con il carbone). Vorrei aggiungere un’altra cosa. Il grande problema, in questo paese, è la disinformazione, di questo ce ne siamo resi conto quando abbiamo iniziato a fare rete. Finché in Italia, nei talk show e nei salotti televisivi, si fa parlare Chicco Testa, che dovrebbe stare zitto, e si fa tacere Carlo Rubbia, che invece dovrebbe parlare, è chiaro che da una simile situazione non può scaturire, a livello di informazione, nulla di buono.

Sempre a questo proposito, quanto è importante concretamente l’aiuto e la solidarietà degli altri movimenti territoriali dell’ Umbria?
R.M.
E’ fondamentale. Noi siamo l’unico comitato che si occupa di carbone in Umbria, però abbiamo la solidarietà e la collaborazione degli amici [della questione] Rocchetta che stanno difendendo le risorse idriche, con gli amici di Bettona che stanno lottando contro il sistema delle lagune per i liquami dei maiali o quelli del No Inceneritore di Terni. Volendo trarre un minimo comune denominatore, siamo persone che lottano per difendere ciò che a loro appartiene, ognuno secondo le problematiche che ha nel proprio territorio. Facendo quindi massa critica, siamo arrivati in Consiglio Regionale a far vedere al signor Bottini che i territori non si arrendono: con noi c’erano Bettona, Città di Castello, Terni, Gualdo Tadino, etc.etc. Soltanto facendo massa critica, fai capire a questi signori ─ che hanno una sensibilità per l’ambiente molto discutibile ─ che l’ambiente e il territorio sono vanno tutelati e non sono cose che vanno sfruttate.

Un ultima domanda che facciamo a tutti, visto che il nostro è un gruppo formato da ragazzi giovani. Quanto incide la partecipazione giovanile all’interno del vostro Comitato? Riescono i ragazzi a dare un contributo significativo per il buon esito della vostra vertenza?
E.C.
La questione giovanile è una questione seria. Noi stiamo assistendo purtroppo ad un cambiamento piuttosto rapido della società e i giovani, se vogliamo, sono coloro che hanno subito di più in questi anni le storture del sistema mediatico italiano. Essi tendono molto spesso a prendere per vero ciò che viene detto in televisione, chiunque esso sia, dal tronista di Maria de Filippi, a Zichichi o Mike Buongiorno. Quindi c’è un approccio non sempre critico e cosciente. Ci sono dei giovani all’interno del comitato, purtroppo non sono la maggioranza; spesso viene a mancare proprio quella forza che è tipica della gioventù. Questo credo che sia piuttosto negativo non solo per il comitato ma per tutto il sistema Italia. Purtroppo i giovani da una parte vengono emarginati perché il nostro è un paese in cui la gerontocrazia domina e quindi si sentono esclusi; dall’altra si autoescludono. Ci troviamo in una situazione che è abbastanza critica, non tanto per le lotte che stiamo portando avanti ma proprio per la democrazia. Una cosa importante che bisognerebbe che i giovani incominciassero a discutere è il futuro energetico di questo paese. Da una parte nei paesi più avanzati – vedesi la Germania – quando è passato il referendum No al Nucleare, si è parlato di uno smantellamento delle centrali quando però le fonti alternative sarebbero state in grado di sostituire circa un 20% della produzione energetica. E in Germania si sono mossi in questa direzione. Adesso possono procedere, come sembra stiano procedendo, allo smantellamento delle centrali nucleari e stanno andando verso un’energia che, tra virgolette, può anche costare più del carbone, ma che ha un rispetto per l’ambiente che il carbone non ha assolutamente. In Italia invece ci stiamo muovendo nella direzione opposta. Stiamo cercando di sfruttare il combustibile diciamo “più abbondante” che si trova sul mercato, ma anche quello che si porta dietro tutta una serie di inquinanti che possono avere degli impatti devastanti su un paese come l’Italia che si basa essenzialmente sulle culture pregiate. Noi avremo anche delle forme d’industria che sono rinomate nel mondo, ma ciò per cui viene conosciuto il Made in Italy è spesso l’alimentazione, i nostri prodotti alimentari. Con il carbone non so neanche capire quanti residui della produzione energetica finiscano dentro, in questi prodotti di qualità. I giovani probabilmente dovrebbero ripartire da questo: purtroppo la logica italiana, che ha caratterizzato il boom economico fino ai giorni nostri, è quella di tenere bassi i salari e il costo delle fonti energetiche. Abbiamo preso sempre il peggio del mercato internazionale per produrre energia e abbiamo sempre tenuto i salari più bassi dell’Europa Occidentale. È inconfrontabile, oggi come oggi, il salario di un operaio italiano con quello di un operaio tedesco. Sicuramente se la crisi verrà sentita, verrà sentita molto prima dall’operaio italiano che da quello tedesco. Stessa cosa dicasi per le fonti energetiche. Da altre parti, sono 30 anni che stanno lavorando per superare il nucleare. E noi, a distanza di 30 anni, ci ritroviamo a riproporre un nucleare non solo fallimentare ma che addirittura dovrebbe andare a sostituire quelle che sono le fonti rinnovabili. In Italia, il paese del sole, si produce meno dell’1% dell’energia solare. Questa è una cosa tendenzialmente ridicola, e il fatto che i giovani non ne vogliano nemmeno discutere di credo che sia una cosa estremamente grave.

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martedì 6 gennaio 2009

Intervista a Padre Giulio Albanese

Da Missione Oggi del 31 maggio 2008
Umbria Radio inBlu



Antonio Caterino Un cordiale saluto agli ascoltatori di Umbria Radio. Antonio Caterino in studio per questo nuovo appuntamento di Missione Oggi. Questa mattina è collegato telefonicamente con noi Padre Giulio Albanese, un ospite di eccezione. Buongiorno, benvenuto Padre Giulio.

Padre Giulio Albanese Buongiorno a tutti

Antonio Caterino Padre Giulio Albanese è un missionario ma è anche un noto giornalista, un grande esperto di Africa. È stato il fondatore e il direttore per molti anni della Misna, l’Agenzia Missionaria Internazionale. Attualmente però ricopre il ruolo di direttore presso due riviste missionarie. Padre Giulio, attualmente di che cosa si occupa?

Padre Giulio Albanese Attualmente sono il direttore delle riviste missionarie delle POM, delle Pontificie Opere Missionarie italiane. In sostanza si tratta di un ventaglio di pubblicazioni che ha lo scopo di promuovere l’animazione missionaria nel contesto della Chiesa italiana, nelle nostre comunità parrocchiali. L’intento da una parte è quello di risvegliare l’interesse nei confronti della missione ad gentes, dall’altra – un po’ come succede direi in tutte le pubblicazioni missionarie ─ l’intento dichiarato è anche quello di dare voce a chi non ha voce. In altre parole, raccontare quelle storie, quei fatti, quegli accadimenti che solitamente rimangono nel cassetto.

Antonio Caterino E certamente, come in tutte le riviste missionarie, si dà spazio a tanti aspetti che attualmente sono trascurati. E questo è forse il punto d’interesse centrale di tutte le riviste missionarie: le riviste missionarie che partano dalla necessità e forse dall’esigenza di descrivere luoghi e posti poco raccontati dai media. Lei che è stato per tanti anni in Africa, che cosa può dirci a proposito dell’Africa? Quali tabù può sfatare adesso?

Padre Giulio Albanese Diciamo subito che le pubblicazioni di punta, le due ammiraglie di punta delle Pontificie Opere Missionarie, sono Popoli e Missione, che è una rivista indirizzata soprattutto ad un pubblico adulto e Il Ponte d’Oro, che è una rivista per ragazzi con l’intento di promuovere lo spirito dell’universalità e quindi anche dell’educazione alla mondialità. Il discorso di fondo qual è? È che noi viviamo in un mondo villaggio globale dove tutto sembra schizzare via alla velocità della luce. La verità è che sappiamo poco o niente di quello che accade a Timbuctu o a Dar es Salaam. Questo è dovuto ad una serie di condizionamenti che sono legati, per certi versi, ad un certo modo di fare giornalismo in Italia. Lo si voglia o no il giornalismo nostrano è affetto da una sorta di provincialismo, per cui i fatti e gli accadimenti di casa nostra sembrano sempre prendere il sopravvento. Ecco, il giornalismo missionario, quello che cerchiamo di esprimere attraverso le nostre pubblicazioni, è proprio quello di aiutare la gente ad uscire fuori le mura, a capire che abbiamo soprattutto un destino comune, noi e loro, cercando di andare aldilà dei soliti stereotipi, luoghi comuni. Lei citava prima l’Africa. Noi parliamo dell’Africa come se fosse una sorta di realtà molto uniforme, un continente piatto e che è metafora di tutte le disgrazie e gli accidenti che avvengono nel nostro povero mondo. Ora io credo che le riviste missionarie, da questo punto di vista, aiutino ad andare aldilà di questi pregiudizi, proprio perché le Afriche – io preferisco parlare al plurale anziché al singolare, anche perché è un continente tre volte l’Europa – non solo hanno delle straordinarie potenzialità, soprattutto a livello di comunità cristiane e di società civile, ma perché poi le Afriche, contrariamente a quello che solitamente si scrive, non sono assolutamente povere; semmai sono impoverite. Le Afriche non chiedono assolutamente la nostra beneficenza di noi ricchi epuloni che ce ne stiamo spaparazzati di fronte ad una mensa imbandita; le Afriche chiedono giustizia. Un esempio ancora più concreto – proprio per dare maggiore sostanza a quello che sto dicendo – riguarda il flusso dei soldi, dei cosiddetti denari: sono molti di più i soldi che le Afriche danno a noi di quelli che noi diamo a loro. La Giornata Missionaria Mondiale che abbiamo appena celebrato è un’occasione per vivere la dimensione della solidarietà nei confronti delle giovani chiese, di coloro anche che sono nel bisogno e nella necessità. Ma spesso ci si dimentica che, proprio a causa di meccanismi iniqui ─ oggi si parla di bolla speculativa, di globalizzazione ingovernabile e selvaggia ─ la verità è che molte delle ricchezze del sud del mondo, delle Afriche in particolare, vengono davvero depredate. E sta di fatto che questi paesi non solo continuano a pagare gli interessi di un debito che avrebbero assorto chissà da quanto tempo, ma la cosa incredibile è che le materie prime, le ricchezze di questo continente, petrolio in primis, sono davvero deprezzate. La verità è che vi è bisogno davvero di giustizia economica e che questo certamente è uno degli aspetti che non viene preso in considerazione, proprio perché uno si sente con la coscienza a posto sparando una raffica di sms, aiutando questa o quella organizzazione, pensando in questo modo di aver messo mano al portafoglio e dunque alla propria coscienza. Il mondo missionario, le riviste missionarie, ci fanno capire che la solidarietà cristiana esige molto di più, non solo da parte delle nostre classi dirigenti, indipendentemente dai colori politici; perché si tratta di capire che abbiamo un destino comune e che vi è comunque una sproporzione tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. Ma credo che questo discorso abbia anche una valenza personale per quanto concerne proprio l’assunzione di nuovi stili di vita; perché lo si voglia o no, nonostante quella che è la recessione economica che attanaglia non solo il nostro paese, ma direi in senso lato il villaggio globale, comunque vi è un abisso che continua a separare i ricchi dai poveri. Dunque come Cristiani dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione il nostro modus vivendi, il nostro stile di vita. C’è un rapporto che è stato pubblicato recentemente dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite che, come sapete, si interessa delle questioni agroalimentari. Ebbene, emerge che la produzione di cibo nel nostro pianeta è tale da poter sfamare 12 miliardi e mezzo di persone. Il che significa che, se vi fosse giustizia ed equità, vi sarebbe doppia razione per tutti. Perché dico questo? Perché è importante che questo tipo di informazione passi, che si prenda coscienza del fatto che molte volte purtroppo sappiamo poco o niente o se sappiamo qualcosa, spesso quel messaggio viene distorto. Per cui alla fine cosa succede? Che la verità rimane nel cassetto, come dicevo prima. Dunque vivere la dimensione missionaria significa avere proprio una coscienza aperta sul mondo; e le riviste missionarie sono davvero in questo senso una finestra aperta sul nostro povero mondo. Parafrasando la vecchia pellicola di Stanley Cramer, davvero viviamo in un pazzo, pazzo mondo che ha bisogno di redenzione.

Antonio Caterino La cultura missionaria è importante perché bisogna diffonderla. Parlando anche con altri missionari, il problema è che noi Cattolici, noi Cristiani, che assecondiamo un certo stile di vita che poi è contrario alla stessa religione, dovremmo capire che il vivere cristianamente è molto diverso da quello che poi mettiamo in pratica.

Padre Giulio Albanese Papa Paolo VI, in una bellissima esortazione apostolica del ’75, l’Evangeli Nuntianti, ricordava che nel nostro tempo, più che di maestri e di dottori e di personaggi che sanno parlar bene, c’è bisogno innanzitutto e soprattutto di testimoni. E credo che in fondo la missione, soprattutto nel Nord del mondo, nella vecchia Europa, abbia bisogno proprio di questa testimonianza che abbia la capacità di rendere credibile il Vangelo. Anche perché ─ non dimentichiamolo ─ le vecchie chiese cominciano davvero ad avere bisogno delle giovani chiese, non solo per quanto concerne il clero, ma proprio per rivitalizzare lo spirito. In questi giorni si è parlato molto delle persecuzioni nello stato indiano dell’Orissa, delle persecuzioni in generale che colpiscono le comunità cristiane (per esempio sul versante medio orientale: pensiamo alla questione irachena). Ma quello che a volte ci sfugge come Cristiani della vecchia Europa è che noi comunque, se siamo davvero Cristiani e rileggiamo attentamente quello che è scritto nel capitolo 5 del Vangelo di Matteo (nel discorso della montagna, nel preambolo a tutto quel discorso che il messaggio forte del Vangelo, vale a dire le Beatitudini), ebbene ci confrontiamo con un mondo capovolto di Dio. E questo è qualcosa di meraviglioso ma per certi versi anche di disarmante, perché Gesù peraltro dice: “Beati i perseguitati”. Ora, noi certamente questa frase facciamo fatica a metabolizzarla: la cosa incredibile è che i perseguitati sono fortunati, e questo naturalmente può meravigliare qualcosa. Ma in effetti la persecuzione è beatitudine perché consente ai Cristiani di vivere la militanza. La verità invece è che, quando si vive in una situazione di eccessivo benessere o comunque di tranquillità e si rimane nella darsena del proprio piccolo mondo, ecco che allora che nolente o volente l’esperienza di fede si affievolisce. Guardando proprio all’apostolo Paolo (siamo nel pieno di questo anno paolino indetto dal Santo Padre per ricordare la nascita del grande apostolo dei Gentili), Paolo da persecutore della Chiesa è diventato perseguitato. Ora si tratta, da questo punto di vista, di recuperare l’adrenalina, la voglia, l’entusiasmo di gridare dai tetti la buona notizia. Questo è quello che è lo spirito, l’essenza di quello che è lo sforzo e l’impegno in senso lato dell’editoria missionaria. E naturalmente quello delle nostre pubblicazioni, quelle delle Pontificie Opere Missionarie.

Antonio Caterino E con questa bella chiacchierata con Padre Giulio Albanese, si conclude qui questo appuntamento di Missione Oggi. Da Antonio Caterino un grazie a tutti voi e l’augurio di un buon proseguimento di ascolto.

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giovedì 1 gennaio 2009

Lettera di Mustafa Barghouthi

Lettera di Mustafa Barghouthi (Parlamentare palestinese, leader del partito di sinistra Mubadara (L'Iniziativa) Ramallah, che ci è stata trasmessa dal Circolo Culturale Primomaggio.

27 dicembre 2008.

Leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete.E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? I bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria muore di guerra o di pace? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto? E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia.E se Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione?Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l'indifferenza.Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita.Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati?Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori.La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni.Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro.Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

trad. Francesca Borri

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