martedì 29 luglio 2008

STORIA DI UNA DONNA TRISTE E DEL TUNISINO CON IL MAZZO DI ROSE

La donna uscì di casa di fretta, aveva poco tempo. I tacchi a spillo cominciarono a farle male dopo non appena cento metri, ma era pronta a sopportare il dolore, doveva solo fare attenzione a non inciampare. Poco a poco, cominciò ad abituarsi alla strana andatura che i tacchi le conferivano… cominciò ad apprezzare il breve suono secco dei tacchi sul marciapiede, suono che palesava il ritmo teso dei suoi passi. Conosceva il café dove i suoi tacchi a spillo la stavano conducendo. Piazza 25 aprile, Café Italia. Il miglior café della città. Si fermò un istante, affascinata dalla sua ombra slanciata contro il muro. La donna constatò soddisfatta che il reggiseno puh-up che aveva indossato per l’occasione concedeva al suo seno una mezza misura in più. Si toccò i capelli, erano morbidi come seta e profumavano ancora di balsamo al cocco. Riprese a camminare, rassicurata sul suo aspetto, ma notò che qualcuno la stava guardando. Si voltò e vide il sorriso giallo di un marocchino (in realtà era tunisino, ma la donna non lo sapeva e credeva fosse marocchino) che le tendeva una rosa rossa con una mano, mentre con l’altro braccio ne serrava un mazzo intero. –bella rosa per bella signora?- chiese con tono confidenziale. La donna si irrigidì, odiava questo tipo di situazioni. Perchè questa gente non si trova un lavoro invece di andare ad importunare le brave persone? –no guarda, lascia stare- rispose la donna con tono infastidito. Il marocchino non sembrava aver percepito il livello di fastidio presente nella sua voce, perchè aggiunse con lo stesso sorriso da venditore ambulante -costa poco, bella rosa per bella signora-… -non voglio le tue rose, scusa ma devo andare- tagliò corto la donna allungando il passo e aumentando la pressione delle dita sulla sua borsa, nel caso in cui il marocchino decidesse di strappargliela di mano. Il marocchino non insistette e lei scivolò velocemente dietro l’angolo. Perchè vengono qui, questi marocchini? Noi italiani andiamo forse in Marocco ad imporre la nostra presenza e le nostre leggi?
Il suono delle campane interruppe i pensieri della donna, ricordandole il suo appuntamento. Oddio, sarebbe arrivata in ritardo. Allungò ulteriormente il passo e arrivò in Piazza 25 aprile in meno di cinque minuti. Il café era quello a destra della fontana, vicino alla tabaccheria. Lui non era ancora arrivato. Si sedette ad un tavolino all’ombra dei grandi ombrelloni verdi che coprivano la terrazza del café. Lanciò un’occhiata intorno. Di fronte c’era il café Valencia, quello frequentato dai marocchini della città. Erano lì… parlavano, ridevano, scherzavano, si chiamavano in arabo. “L’arabo! Che brutta lingua! Mica come l’italiano” pensò la donna con leggero disprezzo. Ma ora non aveva tempo di pensare all’arabo. Controllò il cellulare. Nessuna chiamata. Erano le 17.30….. l’appuntamento era fissato per le 17.15. Avrà avuto problemi con il traffico? Lei abitava relativamente vicina a Piazza 25 aprile, ma lui per spostarsi doveva prendere la BMW. Aspettò e fumò una sigaretta. Gli arabi del café Valencia sembravano presi da un discorso importante. Alcuni parlavano concitati, altri ascoltavano rapiti. Poi tutti scoppiarono in risate. Una discussione politica terminata con una barzelletta? Si accese un’altra sigaretta. Erano le 17.45… nessuna chiamata sul cellulare. Altra sigaretta, erano le 18.15… un’ora di ritardo. Lo chiamò, ma IL CLIENTE DA LEI SELEZIONATO NON è AL MOMENTO RAGGIUNGUBILE, LA PREGHIAMO DI RIPROVARE Più TARDI. Il cuore cominciò a batterle forte in petto, ma si calmò all’idea che forse avrà avuto qualche problema con il traffico e con il parcheggio. Forse doveva passare in ufficio, prima. è un uomo d’affari, Lui. Finì il pacchetto di sigarette alle 18.45…. SMS! Finalmente avrebbe saputo perchè era così in ritardo. Le mani le tremavano prendendo in mano il cellulare e per tre volte non riuscì a sbloccare la tastiera, tanto era la sua agitazione. 1 messaggio ricevuto. Leggi. Lui. Leggi. SCUSA. NON POSSO VENIRE. CIAO. Non poteva essere vero. Rilesse il messaggio tre volte prima di crederci. Poi il mondo le cadde addosso. Neanche una misera spiegazione riciclata. Il messaggio era chiaro: non la voleva più. Trasognata, tirò fuori dal suo portafoglio CK i spicci necessari per il succo d’arancia che aveva ordinato per poter restare seduta ad aspettarlo. Poi si alzò, miseramente, inciampando nella sedia del tavolino vicino. Si allontanò dal café a passi lenti, a testa bassa. Le veniva da piangere, ma si trattenne e decise di andare ai giardini pubblici Vivaldi, dove conosceva una panchina abbastanza isolata dove avrebbe potuto starsene un po’ in pace a digerire il Suo messaggio.
La panchina era fredda e un po’ umida, l’aria attorno era un po’ più fresca grazie agli alti alberi che regalavano ombra a coloro che si rifugiavano sotto la loro ampia chioma. La donna vi si sedette e aspettò la sera che scivolava lentamente sulla città, allungando le ombre e facendo arrossire il cielo. All’improvviso sentì un fruscio accanto a sé e vide che un uomo le si era seduto accanto. Reggeva un mazzo di rose rosse in braccio. La donna studiò per un attimo il suo viso e riconobbe il marocchino di poche ore prima. Il mazzo che stingeva al petto non sembrava essere diminuito di una sola rosa. L’uomo sospirò lungamente, era scuro in volto, scuro nello sguardo, scuro nell’umore. Ma questo la donna non l’aveva notato. Lei si chiedeva perchè si era seduto proprio lì. “Non c’era un’altra panchina libera?” pensava. Cercò di dissimulare l’imbarazzo evitando il suo sguardo ma il marocchino le chiese con tono affabile –signora, che ore sono?- “ecco! Ora mi chiede l’ora e poi cercherà attaccare bottone!” -19.20- rispose secca. –grazie, devo andare. Prenda questa- gli disse il marocchino tendendogli una rosa –signora triste, non paga- aggiunse voltando le spalle. La donna rimase in silenzio, con la rosa in mano, a guardare l’uomo che si allontanava.

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