sabato 19 luglio 2008

SQKUOLA: CONSIDERAZIONI SPARSE DI UNA 17ENNE CHE AMA E ODIA LA SUA SCUOLA

In risposta al post del nostro tenero professorino di fisica e matematica fresco di laurea che si sta abituando gradualmente al suo eroico mestiere, ecco alcune considerazioni sulla vita scolastica di una ragazza che ha concluso il terzo anno di liceo linguistico e che, volente o nolente, si trova sempre dalla parte sbagliata della barricata, di qualsiasi barricata si tratti. Chiedo scusa in anticipo per la disorganicità con la quale esporrò queste considerazioni.

Garantirsi una sopravvivenza a scuola non è poi tanto difficile. Basta abituarsi a certe cose.

Agli odori, per esempio. L’odore della scuola è un odore inconfondibile, dolciastro e un po’ nauseante, ma anche estremamente rassicurante perchè lo conosciamo bene, ci viviamo dentro nove mesi all’anno fin da quando eravamo marmocchi di prima elementare.
A settembre, i cancelli della scuola riaprono, sorridendo (ironici) alla folla di studenti che prendendo un bel respiro si tuffa in quell’odore familiare che sa di abitudine, di routine, di tempo arrugginito, di vocabolari che hanno servito a non so quante generazioni di studenti, di gesso nuovo, di detersivo (che i bidelli utilizzano per pulire la scuola ed esorcizzarla in questo modo da altri odori), di sudore sotto le ascelle e di fulminanti tempeste ormonali. È sempre un po’ uno shock entrare in una scuola dopo tre mesi di (presunte) vacanze, bisogna aspettare qualche tempo prima di riconciliarsi con questa miscela di odori che aleggerà su di noi, entrando nei nostri vestiti e impregnando la nostra vita.

Una volta fatta l’abitudine all’inconfondibile “odore della scuola”, ci è possibile capire come procede la vita in questa micro-società che funziona come tale e che riproduce in sè tutti gli schemi e tutte le regole della “grande” società esterna.
Dal punto di vista sociale, ci sono codici di comportamento da rispettare, norme relazionali che regolano i rapporti tra studenti, tra professori, tra studenti e professori.
Prendiamo ad esempio una normalissima classe di terza liceo. Al suo interno, ci saranno i forti e i deboli, i secchioni e i buffoni, le troiette e le verginelle, i fighi e gli sfigati, i discotecari e gli intellettuali (i secondi in netta minoranza rispetto ai primi). Gli strambi. Ad ognuno la sua etichetta, appiccicata alla schiena con una colla che altro che UHU o VINAVIL…. e così è per i professori. Ci sono i larghi e gli stitici (in fatto di voti, s’intende), i bravi e i noiosi, i parziali e gli imparziali… si va così a delineare una geografia sociale che assegna ad ognuno un ruolo e guai a ribellarsi ad un’etichetta che è stata appiccicata con il consenso della maggioranza. Se quel professore è stato definito Noioso, guai a chi mostra troppo interesse alle sue lezioni. Se quel ragazzo è stato definito Sfigato, chiunque gli si avvicini ne condividerà la sorte in quanto Amico Dello Sfigato. Ci sono tantissimi ragazzi che assorbono queste etichette, le fanno proprie, imparano a capire da che parte conviene stare se si vuol aver la pace. E poi ci sono quelli che fino alla fine non capiscono un accidenti (e fra quelli ci sono io). Convinta che le etichette le avessimo abbandonate alle scuole medie… finisco sempre per ritrovarmi dalla parte “sbagliata” della barricata. Un pò per rispettare i miei principi, un pò perchè ce l'ho nel DNA. Ma di questo non mi lamento.
Omologarsi, entrare nell’anonimato, conformarsi al resto del gruppo… diventare Mister Chiunque. La scuola, che pretende di tirar fuori il meglio da ognuno e che finge di formare e di incoraggiare il senso critico degli studenti, è complice invece di una società stagnante, dove gli ultimi rimangono gli ultimi e i primi rimangono i primi. Non è colpa dei professori (potrei nominarne alcuni che davvero ci insegnano qualcosa, e potrei nominarne moltissimi che veramente ci provano). È colpa del sistema scolastico in sé, che pur di continuare a sopravvivere come istituzione evita ogni disaccordo con la società ed educa i giovani di oggi nel modo più “sicuro” possibile, imprigionando la cultura in modo molto "didattico" e "accademico"...
Questo lo si vede dai programmi. Ad esempio: letteratura. Sempre e solo i venti-trenta autori “seri” e “classici” della “nobile letteratura italiana”. In quanto studentessa del liceo linguistico, il mio programma di letteratura italiana prevede lo studio della Divina Commedia spalmato lungo tutto il triennio come la marmellata d’albicocche sul pane. In terzo si studia l’Inferno, in quarto il Purgatorio, in quinto il Paradiso. Tre anni passati a studiare una sola opera nel modo più scolastico e didattico possibile. Non ho nulla contro il caro vecchio Dante e anzi lo apprezzo molto. La letteratura dei “grandi” non deve certo essere trascurata, ma c’è anche una miriade di poeti e scrittori (anche contemporanei) che meritano di essere letti ma che nessuno legge mai, nessuno considera mai abbastanza “istruttivi” per poter far parte di un programma scolastico (o se ne fanno parte, vengono rapidamente liquidati in un quarto d’ora di lezione).

Il bello della scuola è studiare non solo per arraffare una dannata sufficienza, ma anche per il solo gusto di imparare. Più spesso però la scuola viene vista unicamente come un campo di addestramento per piccoli soldati di piombo che devono fare ciò che gli viene chiesto senza riflettere al perchè delle cose.

E poi questa storia dei voti, dei mezzi voti, dei tre quarti di voto… decimi di voto che possono far la differenza fra una sufficienza e un’insufficienza, decimi di voto per i quali molti studenti si battono e si stressano tutto l’anno… decimi di voto che i professori dispensano per graziare uno studente in pericolo o gratificare uno studente particolarmente secchione. Voti che si dividono in due, in quattro, in sei… un più di qua, un meno di là… e così tutto il sapere che viene insegnato viene trasformato in una serie di numeri e di segni che vengono trascritti nel registro. Ci sono ragazze che piangerebbero per un mezzo voto in più, che si dispererebbero se la media finale di tutti i voti fosse di un decimo inferiore a quella dell’anno scorso. Tutta questa fiscalità mi da spesso la nausea, mi da la sensazione che tutto alla fine debba ridursi a questo: a un cinquepiù, a un novemeno, a un settemezzo… dimenticando così tutto il bello che c’è nello studiare. So bene che della valutazione non possiamo fare a meno (sarebbe impossibile da ogni punto di vista immaginare un sistema scolastico privo di sistema di valutazione), ma a volte mi sembra che l’ansia dei voti alti superi il limite del normale e che il vero scopo della scuola (istruire) passi in secondo piano.

Un’altra cosa della quale mi sento profondamente stanca… sono i progetti della scuola. Educazione alla sessualità, educazione all’ambiente, educazione alla legalità… tutte cose che in principio non sarebbero neanche male, ma che in pratica si riducono a un lungo, monotono blabla di esperti e a un non-coinvolgimento degli studenti, che restano a guardare attoniti “quel tizio” che parla mentre il cervello comincia a svolazzare per i cazzi suoi. Odio tutti quei progetti che vengono introdotti con un’ora di discorsi circolari, perchè puzzano di burocrazia… in un’ora di progetto “educazione alla sessualità” è estremamente raro che escano fuori i veri problemi dei giovani riguardo all’amore o al sesso… tutto rimane un enorme minestrone di belle parole farcite di ipocrisia che gli “esperti” riversano sugli studenti annoiati e/o cinici. L’ho detto, l’idea di fondo sarebbe anche buona. Ma è troppo evidente che il serpente della burocrazia striscia anche fra i numerosi progetti finanziati dal Comune, dalla Regione o da vattelapesca, e che è più un modo di spendere soldi che un modo per istruire i ragazzi a determinati temi. Ciò non toglie che esistano dei progetti validi e coraggiosi, iniziative che vanno aldilà delle parole e che riescono a rompere l’equazione “progettino mandato dall’autorità di turno = meno ore di lezione ma noia assicurata lo stesso”. Solo che questi progetti sono estremamente rari.

E poi… e poi ci sono le assemblee di classe, le assemblee d’Istituto… ho visto assemblee di classe trasformarsi in feroci liti e assemblee d’Istituto ridursi ad un magro gruppetto di ascoltatori radunati intorno all’oratore di turno. Si sta ore a parlare di nulla, si sta ore ad incazzarsi per nulla e si sta ore a sperare che il nulla diventi qualcosa. Al minimo commento, subito l’arena si mette a gridare e a reclamare la testa del provocatore su un piatto d’argento… prima di riaddormentarsi non appena passata la stimolante bufera.

Ma in fondo… Garantirsi una sopravvivenza a scuola non è poi tanto difficile. Basta abituarsi a certe cose.

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