domenica 28 giugno 2009

A Genova un Pride contro ogni intolleranza

tratto da www.ilmanifesto.it

Quelli che si girano di là perché magari c’è uno scazzo in corso ed è meglio non entrarci. Quelli che meglio lasciar perdere per non mettersi nei guai. Quelli che non mi riguarda. E’ anche dedicato a loro il Pride nazionale oggi a Genova. A quelli come quelli che erano a piazza Bellini a Napoli dove Maria Luisa ha perso un occhio per le botte dei naziskin. ‘’Il presidente della Repubblica le riconosca la medaglia al valor civile – chiede con forza da ieri il presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso - è un episodio orribile avvenuto nella quasi indifferenza delle persone che erano intorno. Significa che in questo paese il seme dell’odio, dell’omofobia, della disattenzione verso le persone meno tutelate, sta passando e questa è responsabilità anche della politica’’.

Sì oggi ci saranno le trans, le drag queen, i colori, la festa e qualche nota boccaccesca, ma alla base c’è la rivendicazione di diritti negati a nostri concittadini solo perché esprimono un diverso orientamento sessuale. Ieri si discuteva con un amico che lavora nella comunicazione: ma secondo te uno cambia sesso per farsi una passeggiata? Per affrontare ormoni, operazioni uno/una deve essere convinta. Quello mi racconta che conosce un ragazzo che a un certo punto è sparito per un po’ ed è riapparso che era donna. Un comune amico lo incontra, la neo-lei lo saluta con slancio e lui imbarazzatissimo.

Perché? Il problema era se il resto della gente in fila al supermercato non potesse pensare che anche lui ‘’se lo faceva mettere…’’ (testuali parole con omissis). Ne deriva che ogni valutazione sul mondo lgbtq parte da che cosa sia lecito o meno fare in camera da letto e quindi da lì stabilire l’accesso o meno ai diritti. E’ come una frase che ronza nel cervello, buttata lì tra il serio e il faceto, da uno dei coordinatori del Pride, Alberto Villa, al Village (che ha colorato al Porto antico le notti genovesi per dieci giorni prima dell’evento nazionale): ‘’tanti genovesi non vengono qui, perché poi se mi vede qualcuno pensano sia diventato gay’’. Prima ancora dei diritti al matrimonio, alla paternità e maternità (sarebbero 100 mila i figli nati da omosessuali o lesbiche in Italia), bisogna smuovere pregiudizi radicati che fanno dire a qualcuno "con quelli non voglio avere niente a che fare". Il tempo non manca: il corteo parte oggi pomeriggio dalla Stazione marittima per attraversare Genova sino a piazza De Ferrari. Gli ultimi quattrocento metri saranno di silenzio per le vittime irachene e quelle di tutte le dittature. Facciamo pure silenzio nel silenzio. Ma non stiamo mai zitti dopo.

di Alessandra Fava

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mercoledì 24 giugno 2009

La stufa che sequestra la CO2


da www.perfettaletizia.blogspot.com

Si chiama Lucia Stove, brucia qualsiasi tipo di biomassa con un'efficienza altissima e come scarto dà carbone vegetale, in cui la CO2 rimane immagazzinata, usato come concime. Nata per sostituire le cucine a legna nei Pvs ha grandi potenzialità anche da noi per produrre energia elettrica e calore rinnovabili. Ne parliamo con l'inventore Nathaniel Mulchahy.

Qualenergia.it - Permette di bruciare la biomassa con efficienze altissime e anziché produrre CO2 la sequestra in modo permanente. Inoltre batte tutti i concorrenti in quanto a semplicità di funzionamento e rapporto costi-benefici. È la Lucia Stove, un’innovazione nel campo della pirolisi - combustione in assenza di ossigeno - che negli ultimi mesi si è guadagnata l’attenzione di molti: la settimana scorsa sul nostro portale riportavamo il video in cui se ne spiega il funzionamento, tratto da un servizio che l’inserto tecnologico del Sole24Ore vi ha dedicato.Abbiamo cercato anche noi l’inventore, Nathaniel Mulchahy, americano residente in Piemonte, per sapere di più su questa stufa minimalista, nata per i bisogni delle popolazioni rurali dei paesi più poveri, ma che promette di avere interessanti ricadute anche per il settore delle agroenergie nostrane.

Il meccanismo alla base di questa stufa, come detto, è la pirolisi: un processo di combustione per gassificazione che si produce in assenza di ossigeno, lo stesso che si usa da sempre per produrre il carbone vegetale. Lucia Stove però rende la pirolisi molto più facile: “la novità - ci spiega Mulchahy - è che per la prima volta questo processo è ottenuto non in una camera di combustione chiusa, ma in una stufa aperta, dalla costruzione semplicissima e che ha un costo dai 30 ai 50 euro in contrapposizione con i 1.000-3.000 € dei pirolizzatori in commercio”. Lucia Stove, semplificando, sfrutta la dinamica dei fluidi, cioè un particolare sistema di circolazione dell’aria (coadiuvato da un piccolo ventilatore) per ottenere una combustione senza ossigeno che lascia come residuo carbone vegetale, il biochar, nel quale la CO2 resta immagazzinata, anziché venire dispersa in atmosfera e che può essere usato come concime.

Una volta accesa, la stufa fa sviluppare alla biomassa un gas sintetico, costituito da idrogeno, metano e monossido di carbonio, che bruciando forma una specie di cappa che consuma l’ossigeno impedendogli di entrare. Ed ecco che una semplice stufa componibile in 5 pezzi (smontate ve ne possono stare 15 in una scatola da scarpe) riesce a raggiungere un’efficienza di combustione del 93% con emissioni minime: circa del 6% di quelle di una caldaia a metano. “Un risultato molto buono se confrontato con il 7-12% di un fuoco aperto – ci fa notare Mulchahy – ma anche con l’80% di una stufa a pellet, perché mentre in questi due casi il bilancio di CO2 è neutro, si rilascia cioè in atmosfera l’anidride carbonica immagazzinata dalle piante, con Lucia Stove il bilancio delle emissioni è negativo perché la CO2 resta nel biochar.”

Il progetto è iniziato 7 anni fa ad Haiti con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali dei paesi in via di sviluppo, riducendo nel contempo la deforestazione, causata dall’uso di legna sia per cucinare che per produrre carbone. Al momento ci sono progetti pilota in 27 paesi diversi dall’Uganda alle Filippine. “In Madagascar dove il carbone vegetale è una delle fonti di reddito principali, ad esempio – spiega l’inventore – normalmente si bruciano 5 tonnellate di carbone per produrne una di carbone che serve per cucinare. Con Lucia Stove invece da due tonnellate di biomassa se ne produce una di carbone e nel contempo si cucina. Con il vantaggio, in termini di lotta alla deforestazione, che la nostra stufa va alimentata con sterpaglie, residui agricoli, rami secchi, anziché con legna grossa”.

Ma le potenzialità di questo metodo di combustione vanno al di là delle realtà rurali dei paesi più poveri. Oltre a stufe di dimensioni più grandi e a caldaie, si sta lavorando all'applicazione della tecnologia di Lucia Stove a centrali a biomasse da 1,5 a 50 MW e, in collaborazione con il Politecnico di Milano, a piccoli impianti di cogenerazione, che usano cioè il calore del processo per generare energia elettrica. I costi esatti di questi impianti è ancora presto per saperli, ma il padre di Lucia Stove ci assicura che si tratterebbe di un modo di produrre energia economicamente competitivo con il fotovoltaico. Una soluzione particolarmente conveniente per industrie agroalimentari o aziende agricole, con le quali Mulchahy sta già collaborando, che si vedrebbero ripagate dell’investimento per un impianto da un chilowatt in circa 3 mesi”.

I cogeneratori basati sulla tecnologia di Lucia Stove, infatti, possono essere alimentati con qualsiasi tipo di biomassa purché abbia umidità inferiore al 30%, compresi quindi gli scarti agricoli di ogni genere che le aziende altrimenti dovrebbero pagare per smaltire. “Un’azienda in questo modo, oltre a risparmiare 30 euro a tonnellata che è il costo di smaltimento dei residui, ha riscaldamento ed elettricità gratis e produce biochar che ha un valore di mercato di 500-600 euro a tonnellata”.

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lunedì 22 giugno 2009

Frontone: cinema all'aperto 2009

Programma estivo 2009 del cinema all'aperto dal 14 giugno al 13 settembre, Perugia, Giardini Frontone

Anche quest'anno riprende la stagione del cinema all'aperto presso i giardini più eleganti di Perugia. Borgo XX giugno sarà affascinato dall'iniziativa di Cinegatti (www.cinegatti.it). La stagione estiva 2009 riapre a partire da Domenica 14 giugno con "Frankenstein Junior" per poi concludere Domenica 13 settembre. Ecco l'elenco dei film in proiezione giorno per giorno:

14/06/2009 Frankenstein Junior
15/06/2009 Il matrimonio di Lorna
16/06/2009 Si può fare
17/06/2009 Changeling
18/06/2009 Fuori menù
19/06/2009 Milk
20/06/2009 Mamma Mia!
21/06/2009 Chiuso
22/06/2009 L'ospite inatteso
23/06/2009 Diverso da chi?
24/06/2009 Il papà di Giovanna
25/06/2009 Revolutionary Road
26/06/2009 Pranzo di ferragosto
27/06/2009 The Burning Plain - Il confine della solitudine
28/06/2009 Il bambino con il pigiama a righe
29/06/2009 Two Lovers
30/06/2009 The Millionaire
01/07/2009 Italians
02/07/2009 Burn After Reading - A prova di spia
03/07/2009 Come Dio comanda
04/07/2009 Gran Torino
05/07/2009 La duchessa
06/07/2009 Vuoti a rendere
07/07/2009 Antichrist V.M. 18 ANNI
08/07/2009 Questione di cuore
09/07/2009 Ex
10/07/2009 Garage
11/07/2009 Tulpan
12/07/2009 Valzer con Bashir
13/07/2009 La felicità porta fortuna - Happy Go Lucky
14/07/2009 Il primo respiro
15/07/2009 Lasciami entrare
16/07/2009 Sacro e profano
17/07/2009 I love Radio rock
18/07/2009 Teza
19/07/2009 Settimo Cielo
20/07/2009 Un matrimonio all'inglese
21/07/2009 Il dubbio
22/07/2009 Gli amici del bar Margherita
23/07/2009 CHE - L'Argentino
24/07/2009 CHE - Guerriglia
25/07/2009 Sette anime
26/07/2009 La matassa
27/07/2009 Ti amerò sempre
28/07/2009 Giù al nord - Bienvenue chez les ch'tis
29/07/2009 Australia
30/07/2009 Uomini che odiano le donneV.M. 14 ANNI
31/07/2009 Vincere
01/08/2009 The Wrestler
02/08/2009 Una notte al museo 2: la fuga
03/08/2009 Frozen River - Fiume di ghiaccio
04/08/2009 Coco Avant Chanel - L'amore prima del mito
05/08/2009 Angeli e Demoni
06/08/2009 The Reader - A voce alta
07/08/2009 Vicky Cristina Barcelona
08/08/2009 Soffocare
09/08/2009 Tutta colpa di Giuda
10/08/2009 Lezioni d'amore
11/08/2009 La classe - Entre les murs
12/08/2009 Ex
13/08/2009 Due partite
14/08/2009 Un'estate ai Caraibi
15/08/2009 Chiuso
16/08/2009 Taxi to the Dark Side
17/08/2009 Louise Michel
18/08/2009 Il curioso caso di Benjamin Button
19/08/2009 Giulia non esce la sera
20/08/2009 Il canto di Paloma
21/08/2009 Come un uragano
22/08/2009 Solo un padre
23/08/2009 X-Men - Le origini: Wolverine
24/08/2009 Il giardino di limoni - Lemon Tree
25/08/2009 Nemico pubblico n°1 - L' istinto di morte
26/08/2009 Nemico pubblico n°1 - L'ora della fuga
28/08/2009 Harry Potter e il principe mezzosangue
29/08/2009 Parigi
30/08/2009 Earth - La nostra terra
31/08/2009 Amore & Altri Crimini
01/09/2009 The Wave - L'onda
02/09/2009 Tutto torna
03/09/2009 Angeli e Demoni
04/09/2009 I Love Shopping
05/09/2009 Gran Torino
06/09/2009 Religiolus - Vedere per credere
07/09/2009 La terra degli uomini rossi - Birdwatchers
08/09/2009 Uomini che odiano le donneV.M. 14 ANNI
09/09/2009 Vincere
10/09/2009 Martyrs
11/09/2009 Fortapàsc
12/09/2009 Appaloosa
13/09/2009 Valèrie - Diario di una ninfomane

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giovedì 18 giugno 2009

Giancarlo Caselli sulle intercettazioni

da www.beppegrillo.it



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venerdì 12 giugno 2009

Intercettazioni: le verità che non avremmo mai saputo

da www.repubblica.it

Gli orrori della clinica Santa Rita di Milano? Sarebbero rimasti ben segreti. Le partite truccate di Calciopoli? Avrebbero continuato a essere giocate. L'odioso stupro della Caffarella? Gli autori sarebbero ancora liberi. Il sequestro dell'imam Abu Omar? I pm di Milano non l'avrebbero mai scoperto. E gli agenti del Sismi che collaborarono con la Cia non avrebbero mai lasciata impressa sul nastro la fatidica frase "quell'operazione è stata illegale".

Lady Asl e la truffa della sanità nel Lazio? La cupola degli amministratori regionali avrebbe continuato ad operare indisturbata. I furbetti del quartierino? Per le scalate Antonveneta e Bnl forse non ci sarebbero stati gli "evidenti indizi di colpevolezza" per mettere i telefoni sotto controllo. A rischio le inchieste potentine di Henry John Woodcock, Vallettopoli, Savoiopoli, affaire Total, tangenti Inail, dove i nastri hanno continuato a girare per otto-nove mesi prima di produrre prove, e quelle calabresi (Poseidone, Toghe lucane, Why not) dell'ormai deputato europeo Luigi De Magistris.

Una moria impressionante, in cui cadono processi famosi e meno famosi, in cui le indagini sulla mafia sono messe a rischio perché non si potrà più mettere sotto controllo telefoni per truffa ed estorsione. Si salva Parmalat dove, come assicurano i pm di Milano e di Parma, le intercettazioni non furono determinanti né per arrestare Calisto Tanzi in quel dicembre 2003, né per accertare ragioni e colpevoli del crack. Ha detto e continua a dire l'Anm con una frase ad effetto, "è la morte della giustizia penale in Italia".

Nelle stesse ore in cui alla Camera, con il concorso dell'opposizione nonostante l'appello del giorno prima a Napolitano di Pd, Idv, Udc, si approva la legge sugli ascolti, nelle procure italiane, tra lo sconcerto e l'irritazione delle toghe, si fanno i conti delle intercettazioni che non si potranno più fare in futuro e di quelle che, in un passato recente, non sarebbero mai state possibili. E, anche se fossero state fatte, non si sarebbero mai potute pubblicare, né nella versione integrale, né tantomeno per riassunto.

Le indagini cadono su due punti chiave della legge: "evidenti indizi di colpevolezza" per ottenere un nastro, solo 60 giorni per registrare. Così schiatta l'indagine sulla clinica Santa Rita che parte con una truffa ai danni dello Stato per via dei rimborsi gonfiati e finisce per rivelare che si operava anche quando non era necessario. Non solo sarebbero mancati gli "evidenti indizi" (se ci fossero stati i pm Pradella e Siciliano avrebbero proceduto con gli arresti), ma non si sarebbe andati avanti per undici mesi, dal 4 luglio 2007 al 24 giugno 2008. Giusto a metà, era settembre, ecco le prime allusioni a un reparto dove accadevano "fatti gravi". Niente ascolti, niente testi sui giornali, niente versione integrale letta al processo, niente clinica costretta a cambiare nome per la vergogna.

Cambia corso il caso Abu Omar, nato come un sequestro di persona semplice contro ignoti. Solo due mesi di tape. Ma la telefonata chiave, quando l'imam libero per una settimana racconta alla moglie la dinamica del sequestro, giunge solo allo scadere dei 12 mesi d'ascolto. In più la signora, in quanto vittima, non avrebbe mai dato l'ok a sentire il suo telefono, come stabilisce la nuova legge.

Per un traffico organizzato di rifiuti a Milano, dove arrivava abusivamente anche la monnezza della Campania, hanno fatto 1.500 intercettazioni per sei mesi. Solo dopo i primi due s'è scoperto cosa arrivava dal Sud. In futuro impossibile. Come gli accertamenti che fanno scoprire i mafiosi. A Palermo hanno intercettato l'imprenditore Benedetto Valenza per quattro mesi: dalla truffa e dalla frode nelle pubbliche forniture sono arrivati a scoprire che riciclava i soldi del clan Vitale e forniva cemento depotenziato pure agli aeroporti di Birgi e Punta Raisi. Idem per l'inchiesta contro gli amministratori di Canicattì e Comitini che inizia per abuso d'ufficio e corruzione e approda a un maxi processo contro le cosche di Agrigento. Telefoni sotto controllo per sei mesi, ormai niente da fare.

"La gente sarà meno sicura" dicono i magistrati. E citano lo stupro della Caffarella d'inizio anno. Due arresti sbagliati (i rumeni Ractz e Loyos), il vanto di aver fatto tutto "senza intercettazioni", poi il ricorso all'ascolto sul telefono rubato alla vittima. Domani impossibile perché in un delitto contro ignoti si può intercettare solo il numero "nella disponibilità della persona offesa". Assurdo? Contraddittorio? Sì, ma ormai è legge.

di Liana Milella

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giovedì 11 giugno 2009

"Gemellaggio" di Pablos Parigi

Introduzione
La poesia descrive tante situazioni e fotografa momenti diversi con sfumature più inaspettate. Così anche un gemellaggio tra due città distanti è raccontato in versi come fossero fili che inevitabilmente si sottendono tra persone ancora più lontane. L’edificio amministrativo, per quanto notoriamente freddo, è sempre costituito da uomini che esprimono sentimenti. Mi piace credere che la gente sia sfiorata da scie di sensazioni che toccano anche inconsciamente l’animo più duro e calcolatore. Se questo contatto avviene, il contagio è lento ma crescente e superato l’imbarazzo del coinvolgimento sentimentale, eliminati con molta fatica il contrasto con il costume del luogo gli interessi economici, la politica diventa un amplificatore di sentimenti, genera una reazione a catena positiva nella società. Cadono le maschere. Si rivelano agli occhi di quel gregge accecato dalla tristezza, nuove prospettive e nuove situazioni. Tutti i rapporti tessuti tra persone - intorno a quei fili trasparenti - costituiscono l’ossatura di un vero e proprio ponte...impossibile prima ed ora concreto e sempre più visibile. La costruzione acquisterebbe solidità se il sentimento, la passione ed il coinvolgimento emotivo continuassero a propagarsi nei cuori di quelli che succedono, che forse più per costume che per ideali, tendono a distruggere ciò che è stato faticosamente racimolato da un’amministrazione.
In realtà, gli uomini distruggono i ponti amministrativi “vecchi”, creandone nuovi del tutto simili, ma ormai le basi del ponte di sensazioni sono saldamente gettate dai rapporti umani, sono rinforzati dai ferri d’armatura dei sentimenti scritti nell’animo delle persone.
La poesia, fissando con parole quei ponti, quegli occhi, quelle scene che sono nelle persone passeggere, in segretezza rinfresca gli animi; i versi tentano con sommesso ardore di far riaffiorare piacevolmente ogni immagine passata, svecchiandola della malinconia di cui i ricordi si ricoprono inevitabilmente. Il sentimento è sostanza vera e presente, la poesia come arte pura, incontaminata e spesso incompresa, è una delle sue massime espressioni.


Gemellaggio (di Pablos Parigi)

Come un concerto di fiori
ogni pianta verde risplende
riluce nell’acqua di colori
più vari e gli occhi sorprende.

Sguardi di persone sì belle
sorridono e gioia esprimono,
si parlano e sono novelle
storie nei paesi che si somigliano.

Nelle due città gemelle
amministrazioni si legano
per apparir più snelle

unione di culture latine
di uomini e di gabelle
or lingue straniere

paion assai più vicine.
ma per rompere le barriere
dell’indifferenza-confine

sarebbe da eroico ribelle
navigare oltre le frontiere
nostre insanguinate celle.


Dedicata a tutti quelli che di sognare
un mondo migliore non smetteranno mai.



Perché non immaginare un gemellaggio con Chisimaio in Somalia, Saurimo in Angola, Kulul in Eritrea, Bahir Dar in Etiopia per toccare, per creare con fortezza un ponte reale con i paesi del terzo mondo e portare un direttissimo aiuto senza tramite? Sarebbe un bel ponte…ma io mi chiedo se interesserebbe alla nostra gente sempre in affari di poco conto immersa?


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Referendum del 21 giugno: ma per cosa si vota?


tratto da www.thepopuli.com (in corsivo, alcune integrazioni)

Tutti dovrebbero votare ma pochi ne parlano. Si tratta del referendum che si terrà il prossimo 21 giugno e che riguarda la modifica di alcune parti dell’ultima legge elettorale, meglio conosciuta come porcellum. Vediamo allora cosa si chiederà agli italiani attraverso i tre quesiti proposti.

Il primo ed il secondo hanno lo stesso concetto di base. Sia alla Camera che al Senato verranno impedite coalizioni di liste, mentre potranno presentarsi solo delle liste di partito uniche, a cui verrà poi assegnato il premio di maggioranza. Ad esempio: oggi abbiamo il Pdl che si è alleato con la Lega Nord, oppure il Partito democratico alleato con l’Italia dei Valori. Bene, queste coalizioni si sono presentate nel 2008, ed il premio di maggioranza è stato attribuito alla coalizione di centro destra. Con tale premio, al momento del calcolo dei seggi da attribuire in Parlamento, una parte di tali seggi è sottratta dal calcolo proporzionale, per essere attribuita alla coalizione che vince le elezioni, rafforzandone la sua maggioranza parlamentare. La differenza sostanziale tra i due rami del Parlamento è che alla Camera la ripartizione dei seggi (e quindi del premio) avviene su base nazionale, mentre al Senato su base regionale.

Cosa succederebbe allora se passassero i due quesiti referendari? Il premio di maggioranza non verrebbe dato più alla coalizione ma al singolo partito; inoltre anche la soglia di sbarramento (ovvero la percentuale minima di voti per accedere al Parlamente) verrebbe calcolata non più sulla coalizione bensì sulla lista. Questa sarà del 4% alla Camera e dell’8% al Senato (quest'ultima calcolata a livello regionale).

La principale ed intuibile conseguenza è questa: i partiti si “fonderanno” in un unico schieramento per avere più forza elettorale, dato che il premio sarà dato al Pdl o al Pd e non ai partiti “satellite”, i quali esponenti, per essere rappresentati, dovranno confluire nei partiti maggiori (è il caso di Alleanza Nazionale, che è confluita nel Pdl).

Interessante il terzo quesito, ovvero il divieto di candidature multiple in più (anche tutte) circoscrizioni. Oggi chiunque, sfruttando la propria notorietà, può candidarsi presso tutte le circoscrizioni: ovviamente, se sarà eletto, ne potrà scegliere solo una e rinunciare alle altre; se vince nella circoscrizione nord, per fare un esempio, e se ha già vinto in quella sud, dovrà scegliere quale seggio occupare(sono stato eletto al nord o al sud?). Ma il problema è un altro: a seconda della scelta che compie, il neo-eletto dispone anche del destino degli altri candidati nelle altre circoscrizioni, dove vinceranno i primi candidati “non eletti” che subentreranno al suo posto, dato che ha rinunciato. Si tratta di un fenomeno patologico in Italia: 1/3 dei parlamentari è stato scelto, oggi, da chi è già stato eletto e non dagli elettori.

Pro e contro. Se al referendum vincerà il “Si”, come dicono alcuni esponenti, lo scenario politico nazionale sarà diverso. Si andrà sempre più verso un sistema bipartitico. Solo due partiti “di massa”, il Pdl ed il Pd; per gli altri ci sarà poca scelta: confluire o tentare di superare la soglia di sbarramento. Il pluralismo politico non ne beneficerà. È anche vero che, in tal modo, non potrà più accadere che un partito rappresentato per lo “zero-virgola-talmente-poco” faccia cadere un governo.

Pdl e Pd sono favorevoli: la loro base elettorale ne garantirà un’egemonia sia da una parte che dall’altra. I contrari. Partiti come la Lega Nord, ovviamente, sono contrari a tale scelta, poiché perderebbero definitivamente il loro potere elettivo, dato dal numero di seggi ottenuti, sul Pdl. Un solo partito avrà la possibilità di governare autonomamente.

Gli astenuti. Molti sostengono che bisogna far mancare il quorum, quindi non andare a votare. Se vince il “Si”, sarà probabile un ritorno alle urne con la nuova legge elettorale. Per Pancho Pardi, politico e scrittore, si tratterà di un “suicidio dell’opposizione”: se è vero che Silvio Berlusconi ed il suo partito hanno un’alta percentuale di consensi, ed alla luce del fatto che già oggi riescono a governare con una maggioranza indisturbata, un ulteriore premio di maggioranza, oltre alla possibilità di governare praticamente da solo, metterebbe a serio rischio il sistema democratico. Per il Pd si tratta di un rischio che bisogna correre. Ma se per rischio si intende che una formazione politica autonoma ed indipendente possa arrivare anche al 60% dei seggi e, quindi, poter governare con un’ampia autonomia che può anche non curarsi dell’opposizione?

Una cosa è certa: molta gente, per altro non biasimabile, non conosce ancora i quesiti del referendum ma soprattutto non è in grado di scegliere. Perché non organizzare un dibattito su questo allora, magari senza i politici e con la presenza di esperti. Quel vecchio concetto di informare l’opinione pubblica, in pratica.


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mercoledì 10 giugno 2009

L'Italia che accoglie Gheddafi con tutti gli onori: e si dimentica dei diritti dei migranti...

di Fulvio Vassallo (tratto da www.terrelibere.it)

La visita di Gheddafi in Italia ed i “successi storici” di Maroni. Le violenze sui migranti e le violazioni dello stato di diritto. I frutti avvelenati di una politica bipartisan. La laurea "ad honorem" al leader libico (in giurisprudenza!) concessa dall`Università di Sassari. Incontri con gli studenti, le "donne italiane", il sindaco di Milano e Confindustria. Il tentativo di legittimare l`esternalizzazione delle frontiere ed i respingimenti collettivi in mare.

Il Corriere della Sera di venerdì 9 giugno espone il programma della prossima visita di Gheddafi in Italia, mentre il ministro Maroni annuncia di avere conseguito, grazie all’impegno della Libia, “successi storici” nella “lotta all’immigrazione clandestina”. In cambio della “collaborazione” libica, che si sta traducendo nell’arresto e nel blocco di centinaia di migranti, in gran parte potenziali richiedenti asilo, compresi donne e minori in attesa di imbarcarsi per l’Italia, Gheddafi ha ottenuto una legittimazione internazionale straordinaria. Il leader libico sta imponendo alle autorità italiane una serie di iniziative pubbliche che dovrebbero sancire anche a Roma il suo ruolo di “difensore dei diritti umani”, il giorno prima che l’Università di Sassari gli conferisca la laurea “ad honorem” in giurisprudenza. Una laurea con la quale si sono espressi invano centinaia di docenti universitari. Una laurea che costituisce uno sfregio per la dignità di tutti i migranti vittime della violenza e della corruzione della polizia libica.

Si profila dunque un incontro con gli studenti, alla Sapienza, nell’aula magna del rettorato, e poi una iniziativa con le donne italiane, nel corso della quale Gheddafi siederà accanto ad una esponente della Confindustria ed al sindaco di Milano Letizia Moratti. E poi incontri con gli ebrei e con una rappresentanza degli italiani espulsi nel 1970 dalla Libia, e infine una rimpatriata con gli amici di sempre, da Pisanu, ex ministro dell’interno, autore delle espulsioni collettive da Lampedusa nel 2004, denunciate anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, a D’Alema, ex ministro degli esteri e vero regista dei protocolli firmati a Tripoli nel dicembre del 2007, accordi che sono stati espressamente richiamati, nell’agosto del 2008, all’interno del Trattato di amicizia italo-libico. Un perfetto esempio di continuità bipartisan di cui gli elettori farebbero bene a ricordarsi al momento di votare. Almeno quelli che ancora danno una qualche importanza alle regole di solidarietà e di convivenza democratica richiamate dalla Costituzione.

Una visita, il “viaggio in Italia” di Gheddafi, che sarà utilizzata dal governo italiano e dalle autorità libiche per dimostrare la legittimità dei respingimenti collettivi e della esternalizzazione delle frontiere, una occasione per rassicurare gli italiani, “assetati” di sicurezza, ed ormai assuefatti al dilagante razzismo istituzionale. Il messaggio sarà chiaro a tutti, i controlli alle frontiere adesso funzionano grazie alla collaborazione delle autorità di polizia nei paesi di transito e per i clandestini non c’è scampo. E non mancherà certo chi cercherà di usare i risultati elettorali delle elezioni europee per sancire una legittimazione formale per scelte, come i respingimenti collettivi verso la Libia, o la esternalizzazione delle procedure di asilo, che non trovano alcuna giustificazione nei trattati internazionali e nella nostra Costituzione.

In realtà queste scelte vengono da lontano, e sono sostenute dall’attuale governo italiano con tanta determinazione perché si collocano nell’alveo di una continuità sostanziale nella politica estera nei confronti della Libia. Una politica inaugurata da Prodi nel 2004, quando era ancora presidente della Commissione Europea, e proseguita poi fino ad oggi, malgrado il provvisorio cambio di governo nel 2006. L’Italia è stata la principale responsabile delle iniziative che hanno portato alla eliminazione dell’embargo deciso nei confronti della Libia per il sostegno dato negli anni ’80 al terrorismo internazionale e mantenuto poi per il mancato rispetto dei diritti umani. Un impegno, quello dei governi italiani a favore della Libia, che è stato giustificato con gli importanti accordi economici su gas e petrolio conclusi con quel paese, malgrado le agenzie umanitarie e persino le relazioni dei servizi segreti confermassero, nel 2005, e poi negli anni successivi, le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni dei migranti in transito e degli oppositori politici.

Una politica bipartisan nei confronti della Libia che prosegue ancora oggi, come documentato dal voto del Parlamento italiano, a febbraio, sul Trattato italo libico sottoscritto lo scorso anno da Berlusconi e da Gheddafi. Quel voto, che ha visto il coinvolgimento di buona parte dell’attuale “opposizione”, ha legittimato, ben al di là del contenuto formale degli accordi, le pratiche illegali di respingimento collettivo verso la Libia che persino le Nazioni Unite hanno severamente condannato- Adesso si sta cercando di spingere la Libia verso una adesione formale della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, senza curarsi di fornire garanzie effettive sul rispetto dei diritti umani in quel paese.

E la copertura dell’alleato libico continua e si esalta ancora in questi giorni, nei quali l’Italia si è fatta portavoce delle richieste di Gheddafi nei confronti dell’Unione Europea. E non sono mancati gli spot elettorali che hanno utilizzato la collaborazione con la Libia per dimostrare i successi della politica italiana di contrasto dell’immigrazione clandestina. Soltanto una ferrea censura bipartisan sulla sorte dei migranti bloccati o respinti in Libia, sta consentendo al governo italiano di incassare i risultati delle sue ennesime menzogne elettorali, sulla pelle dei migranti rinchiusi nelle carceri libiche, ma anche sulle spoglie di quello che rimane dello stato di diritto in Italia, e quindi a danno dei cittadini italiani, almeno di quelli che trovano ancora importante vivere in un paese democratico.

Si può essere certi che non appena saranno passate le elezioni, gli arrivi sulle coste italiane ( e le partenze dalla Libia) riprenderanno come prima, magari le rotte saranno ancora più lunghe, le imbarcazioni sempre più piccole, e di tanti migranti non si saprà più nulla perché finiranno il loro viaggio inghiottiti dalle onde. Non sappiamo proprio fino a quando Lampedusa resterà quella “oasi “di tranquillità garantita dalla presenza di migliaia di militari in armi, mentre ai mezzi della marina è stato imposto di ridurre la loro attività nel Canale di Sicilia e di stringersi attorno all’isola per impedire la prosecuzione degli sbarchi.

Gli sbarchi riprenderanno anche perché l’Unione Europea ha già risposto negativamente alla richiesta di Gheddafi, sponsorizzata dal governo italiano, per ottenere altri fondi in cambio della sua ulteriore “collaborazione” nell’arresto dei migranti irregolari e nel blocco delle partenze dei barconi.

Le retate dei migranti in territorio libico faranno passare in secondo piano i respingimenti collettivi a mare, privi di una qualsiasi base legale, sui quali sta indagando la Procura di Roma. Sembra ben difficile, a questo punto, che si possano ripetere altre operazioni di respingimento collettivo verso i porti libici da parte delle unità della marina militare italiana. I libici non gradiscono troppo che forze militari di altri paesi entrino nel loro spazio territoriale. Attendiamo con ansia quanto promesso da Maroni, di conoscere l’elenco delle operazioni di contrasto dell’immigrazione clandestina (meglio dire retate) condotte in questi giorni dalla polizia libica, veri e propri rastrellamenti ai danni di potenziali richiedenti asilo, donne e minori, con conseguenze sulle persone e sulla loro dignità che è facile immaginare. Anche l’ultimo rapporto della visita di Amnesty in Libia, di maggio scorso, non contiene elementi rassicuranti. Che fine fanno i migranti irregolari fermati dalla polizia libica?

Di certo, queste attività di contrasto dell’immigrazione clandestina in territorio libico non continueranno a lungo, quando i libici si accorgeranno che i soldi per i rimpatri sono finiti. L’Unione Europea non ha nessuna intenzione di sostenere politiche di rimpatrio sempre più onerose, dalla Libia verso i paesi di origine, vero nodo di fronte al quale si arrestano tutti gli inasprimenti dei controlli di frontiera. Forse quelle risorse, che non arriveranno da Bruxelles, saranno richieste ai contribuenti italiani, o alle imprese italiane che lavorano in Libia, come previsto dalla legge di ratifica del Trattato di amicizia italo-libico firmato a Tripoli lo scorso anno.

Gli apparenti “successi” conseguiti con la Libia, con il blocco degli arrivi a Lampedusa ( dal 23 maggio, dopo un incremento impressionante nei primi quattro mesi dell’anno) non possono fare dimenticare i fallimenti ripetuti delle politiche italiane in materia di asilo ed immigrazione. Gli accordi con la Tunisia e con altri paesi di transito sono praticamente falliti, o funzionano a rilento, come nel caso dell’Egitto. La ridotta “capacità espulsiva” dell’Italia, soprattutto dopo il prolungamento a sei mesi del trattenimento, farà esplodere i centri di detenzione amministrativa, i famigerati CIE, che fanno tanto schifo anche a Berlusconi, che li definisce simili a lager. Quasi tutte le regioni italiane si stanno opponendo all’apertura di nuovi CIE. La situazione nelle carceri è intollerabile e presto altre migliaia di migranti irregolari potranno esservi rinchiusi per il mancato rispetto dell’ordine di allontanamento. Non sappiamo neppure se tutto quello che è previsto nel disegno di legge sulla sicurezza, un ulteriore inasprimento anche rispetto alla Bossi-Fini, verrà approvato, una volta che gli italiani avranno votato per gli “imprenditori della paura”.

Subito dopo le scadenze elettorali si profilano altri scontri, veri e propri regolamenti di conti, all’interno della maggioranza, proprio in materia di immigrazione ed asilo. Per questo sarebbe importante che un vasto fronte sociale costringa i rappresentanti della opposizione ad una politica meno collaborativa rispetto alle scelte internazionali del governo in carica.

La “sicurezza” degli italiani continuerà a peggiorare, con il venir meno delle residue possibilità di coesione sociale, come dimostrano anche i più recenti fatti di cronaca, e soprattutto come dimostreranno a fine anno le statistiche sulla criminalità straniera, e sull’aumento esponenziale della clandestinità.

I dati attualmente disponibili, malgrado il blocco del Canale di Sicilia, sono sempre più preoccupanti. Evidentemente la chiusura della rotta di Lampedusa, se farà crollare il numero dei richiedenti asilo che riusciranno a raggiungere le coste italiane, su cinque milioni di immigrati presenti in Italia appena qualche decina di migliaia di persone che notoriamente non delinquono e che costituivano fino allo scorso anno l’ottanta per cento degli sbarchi, non intaccherà certo il numero di coloro che diventeranno clandestini, centinaia di migliaia di persone, o che faranno comunque ingresso irregolare dalle frontiere terrestri, l’ottanta per cento degli ingressi irregolari di cui nessuno parla.

La visita di Gheddafi in Italia, al di là delle celebrazioni ufficiali bipartizan, costituirà comunque per molti italiani una occasione per riflettere sul rispetto dei diritti umani che il governo italiano dovrebbe garantire, e pretendere dai propri partner. Di fronte alle tragedie umane che si consumano in Libia non si può continuare a fare finta di niente, n nome delle commesse commerciali e del flusso di finanziamenti libici che sta invadendo l’Italia, probabilmente anche nel campo della informazione giornalistica, a vedere la linea sulla visita di Gheddafi seguita da alcune testate storiche. Si trascura la verità dei fatti e la denuncia delle tante storie individuali, come quelle documentate dal film “ Come un uomo sulla terra”. Un film che sarà proiettato in decine di città italiane proprio nei giorni della visita di Gheddafi in Italia, nell’ambito della campagna nazionale “IO NON RESPINGO”, perché nessuno possa dire in futuro : io non sapevo.

Chi sono questi fastidiosi “professionisti dell’antirazzismo”, come dice Maroni con aria minacciosa, che predicano ancora il rispetto del principio di legalità, che osano parlare di diritto di asilo e di principi di solidarietà, che si indignano quando chi ha coperto le più gravi violazioni dei diritti umani, perpetrate da una polizia corrotta e violenta, spesso collusa proprio con i trafficanti di uomini, viene accolto in Italia con tutti gli onori, al punto da conferirgli una laurea “honoris causa” in giurisprudenza ? Dal Sudan al Niger, fino alla Somalia e all’Eritrea, l’elenco delle collusioni internazionali del regime libico con paesi che non garantiscono i diritti umani è assai lungo. E che nessuno ricordi a Gheddafi la questione del Darfur o l’esistenza della Corte Penale internazionale, sulla quale il leader libico si è espresso in termini che non danno adito ad equivoci.

Ma di cosa dovremmo stupirci ancora? L’Italia, non rimane il paese delle stragi di stato rimaste senza colpevoli, non è il paese delle impunità per i massacratori di Genova, durante il G 8 del 2001, non è forse il paese che non è riuscito ad inserire nella sua legislazione il reato di tortura, non è forse il paese che espelle in Tunisia persone che vengono sistematicamente torturate, malgrado i divieti e le sospensive emessi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo ? Non è forse l’Italia il paese che respinge verso un altro inferno, quello di Patrasso, centinaia di giovanissimi migranti afghani e irakeni che le autorità greche consegneranno alla Turchia, che poi a sua volta li rimanderà nell’inferno dal quale sono partiti?

Insomma che cosa ci si può aspettare da questa Italia che ha deciso di diventare il paese leader nelle politiche comunitarie sulla sicurezza ? Quale consorteria di egoismi è diventata l’Unione europea, con il suo braccio armato FRONTEX, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne, una “europa” davvero minuscola, dove le destre xenofobe e razziste avanzano ad ogni scadenza elettorale, senza trovare più argini politici e culturali, mentre appare evidente che la discriminazione e la esclusione costituiscono l’unico minimo comune denominatore tra i governanti europei di diverso segno politico.

Anche nei giorni della visita di Gheddafi in Italia si dovrebbe ricordare che la difesa dei diritti fondamentali dei migranti, la lotta contro tutti i generi di discriminazione, ed il rispetto dei trattati internazionali, del diritto comunitario e della Costituzione italiana, che riconoscono il diritto di asilo e la protezione internazionale dei rifugiati, sono strumenti essenziali per garantire la legalità costituzionale e la sicurezza di tutti. E forse anche per dare un futuro all’Unione Europea prima che gli egoismi nazionali finiscano per prevalere.

Le scelte liberticide e proibizioniste dei governi che chiudono ai migranti le vie di ingresso legale ed effettuano respingimenti collettivi, vietati a livello internazionale, verso i paesi che non rispettano i diritti dell’uomo, ed in particolare il diritto di asilo, costituiscono un regalo fatto alle mafie che speculano sulla domanda di mobilità delle persone, con frequenti collusioni tra le organizzazioni criminali e le autorità che nei paesi di transito sono preposte ai controlli di frontiera.

Con tutte le nostre forze ci schieriamo contro la legittimazione che si vorrebbe offrire, da diverse parti dello schieramento politico, a Gheddafi nel suo “viaggio in Italia”, un viaggio che si annuncia come una carica violenta di chiusura nei confronti dei migranti, piuttosto che come il messaggio di pace che appare in superficie. Una carica di violenza che frantuma la residue possibilità di accoglienza e di coesione sociale in Italia e salda le politiche discriminatorie e di esclusione a livello interno, con le pratiche di respingimento collettivo adottate alle frontiere marittime. Un attacco, questa visita, ai corpi ed alla dignità dei migranti, una minaccia che sentiamo rivolta direttamente anche nei nostri confronti.

Non respingiamo i migranti verso l’inferno libico e non respingiamo gli immigrati già in Italia verso i ghetti dell’esclusione sociale come sta facendo in questi mesi il governo con la introduzione del reato di immigrazione clandestina. Le politiche segregazioniste agevolano lo sfruttamento e il lavoro clandestino, fino a casi sempre più gravi di vera e propria schiavitù, una schiavitù che assomiglia sempre di più a quella imposta in Libia ai migranti in transito.

Per battere questi pericoli per la vita dei migranti, ma anche per le libertà democratiche di tutti, pericoli che saranno resi più evidenti durante il viaggio di Gheddafi in Italia, anche a fronte dei prevedibili risultati elettorali, occorre una mobilitazione straordinaria, la ricostruzione di legami sociali dal basso, una pratica quotidiana dell’incontro e della condivisione tra chi agisce nelle lotte sociali e le comunità migranti.

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lunedì 8 giugno 2009

Finchè c'è guerra, c'è speranza



Ieri pomeriggio, nella noia di un sonnacchioso pomeriggio domenicale, saltavo da un canale all’altro di quello scatolone amorfo chiamato tv alla ricerca di un qualche programma non troppo stupido. Non particolarmente speranzoso a che ciò si realizzasse, mi sono invece imbattuto nel faccione nazionalpopolare di Alberto Sordi, colto in una delle sue grandi interpretazioni in un vecchio film del 1974, Finchè c’è guerra, c’è speranza. La pellicola non passerà alla storia come capolavoro insuperabile; alcune scene sono a mio avviso piuttosto scontate, musiche e fotografia non sono certo memorabili. Tuttavia quando c’è un attore istrionico, sarcastico e pungente come Alberto Sordi, un film non può essere mai banale. Si affronta inoltre un tema assai delicato che non deve aver portato all’attore romano l’approvazione unanime dei poteri forti…

Sordi interpreta Pietro Chiocca, un rappresentante di una società che vende armi. Gira per il mondo, in particolare in Africa dove, nonostante la povertà estrema delle popolazioni, riesce sempre a stipulare lucrosi contratti. E’ un venditore meschino senza scrupoli, che non sembra mostrare alcun rimorso per quello che fa, e proprio per questo…è il migliore rappresentante sulla piazza. “Le armi non sono né buone né cattive, sono gli uomini che ne fanno un uso malvagio.” Lavandosi così la coscienza, riesce a farsi assumere dalla più importante azienda sul mercato che gli offre un ricco contratto e le migliori condizioni professionali. Grazie ad uno stipendio finalmente adeguato, può così soddisfare i bisogni fisiologici della moglie e dei figli che, come si conviene ad una ricca borghese, necessitano di vivere in ville lussuose con piscina, di viaggiare in jaguar o di organizzare feste in night privati. La sua carriera sembra non conoscere ostacoli, fino a che un imprevisto non rischia di far saltare tutto. Durante un viaggio di affari in Angola, un giornalista del Corriere della Sera gli propone un affare per conto delle truppe ribelli. Per trattare però, devono viaggiare attraverso la foresta: durante la traversata, il giornalista, che nel frattempo mostra tutto il suo ribrezzo per quel lavoro infame, osserva, prende appunti, scatta fotografie…Il perché di tutto questo Chiocca lo scoprirà al suo ritorno in Italia, quando un numero del Corriere svelerà i suoi loschi affari e la sua professione di “mercante di morte”. È il preludio alla parte conclusiva del film, nove minuti di grande intensità emotiva e di grande amarezza…

Concludo questa segnalazione, oltre che con l’invito a vedere il film per chi non lo avesse fatto, riportando il momento forse più significativo del film, lo sfogo di uno stanco Pietro Chiocca davanti alla sua famiglia. Una frase il cui senso riguarda tutti noi e che dovrebbe stimolare le nostre coscienze ad una maggiore riflessione sul nostro stile di vita:

"Perché vedete... le guerre non le fanno solo i fabbricanti d'armi e i commessi viaggiatori che le vendono. Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra che vogliono, vogliono, vogliono e non si accontentano mai! Le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano…costano molto e per procurarseli, qualcuno bisogna depredare. Ecco perchè si fanno le guerre..."


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giovedì 4 giugno 2009

In tempo di crisi, compriamo elicotteri...

da www.peacereporter.net

900 milioni di euro in elicotteri da guerra
AgustaWestland (gruppo Finmeccanica) ha firmato con la Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici (Armaereo) un contratto per la fornitura all'esercito italiano di 16 elicotteri CH47F "Chinook"

Il 13 maggio, AgustaWestland (gruppo Finmeccanica) ha firmato con la Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici (Armaereo) un contratto per la fornitura all'esercito italiano di 16 elicotteri CH47F "Chinook", con opzioni per ulteriori quattro unità. Il valore del contratto, firmato da Giuseppe Orsi (amministratore delegato dell'azienda), dal direttore di Armaereo Giovanni Perrone Compagni e dal segretario generale alla Difesa e direttore nazionale degli Armamenti Aldo Cinelli, è ingente ed è pari a circa 900 milioni di euro; spesa che è a carico totalmente dei cittadini italiani.
Il primo elicottero sarà consegnato nel 2013; la consegna dei rimanenti elicotteri sarà ultimata entro il 2017 e saranno principalmente prodotti ed assemblati nella sede AgustaWestland di Vergiate (Varese), dove operano mille addetti; prenderanno il posto di altrettanti CH47C "Chinook" con maggiore anzianità di volo. La versione "F" è quella più aggiornata in produzione. Il progetto è della Boeing e la licenza ad AgustaWestland, come prime contractor, è stata siglata da un accordo con la Boeing nel luglio 2008.
Va ad ogni modo rilevato che le prime versioni dell'elicottero già le fabbricava in passato, a partire dagli anni '70, come sola Agusta (prima della jointventure con la Westland e il successivo ingresso in Finmeccanica), sempre su licenza della Boeing, per oltre 170 unità prodotte.
Il "Chinook" non è un elicottero da pattugliamento ma è impiegato prevalentemente negli scenari di guerra, avendo caratteristiche tali che lo configurano come elicottero di supporto operativo alle forze armate terrestri. Infatti, è stato impiegato in numerose spedizioni militari italiane, ad esempio: Somalia nel 1992, Mozambico nel 1993, Kosovo 2000-2002, Iraq nel 2004 e Afghanistan dal 2005 e dove attualmente è ancora operativo.
Il "Chinook" è un elicottero molto grande: ha una lunghezza di 16 metri ed è sostenuto da due rotori dal diametro di circa 18 metri. Può trasportare fino a 12 tonnellate di carico e 50 soldati equipaggiati (diminuendo la capacità di carico in altri ambiti).
È anche armato con tre mitragliatori da 7,62 millimetri, due nelle fiancate ed uno in rampa posteriore.
Questo contratto s'inserisce in una stretta collaborazione tra l'azienda che ha fulcro in Cascina Costa di Samarate (Varese) e l'esercito italiano. Recentemente, nel dicembre 2007, è iniziata la consegna dei 60 elicotteri NH90, che è tuttora in corso. Soprattutto AgustaWestland è impegnata nell'aggiornamento "dei sistemi di acquisizione del bersaglio" per la flotta di elicotteri A129 "Mangusta" o "Combat"; questa definizione asettica sottende che questi micidiali elicotteri da combattimento si stanno dotando di un sistema più perfezionato per poter sparare con più precisione e distruzione dell' "obiettivo" il grande carico di fuoco di cui sono portatori.
Altra sottolineatura fornita da Finmeccanica è che l'accordo con la Boeing prevede che il CH47F "Chinook" sarà commercializzato, venduto e prodotto da AgustaWestland per il Regno Unito, per gli altri paesi europei e per i diversi paesi dell'area del Mediterraneo.
A proposito, sorgono spontanei alcuni interrogativi: con questa strategia Finmeccanica, tramite AgustaWestland, vuole attecchire nei paesi del Nord-Africa, con ripercussioni commerciali, in termini di commesse, per l'intero continente? Inoltre, spera di poter rinnovare gli obsoleti elicotteri Mil Mi-8 degli ex-satelliti europei dell'Unione Sovietica entrati a far parte della NATO?

Stefano Ferrario


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