giovedì 17 luglio 2008

SKQUOLA: alcune considerazioni di un professorino giovane giovane sulle complesse problematiche della struttura educativa italiana.

Anno Scolastico 2007-2008: un ventisettenne sbarbatello fresco di laurea intraprende la strada dell’insegnamento nella scuola superiore italiana e viene assunto come professore di matematica e di fisica. Il ragazzo può definirsi fortunato perchè riesce fin da subito, nonostante le problematiche occupazionali che investono oggi la categoria dei docenti, a fare il pieno delle ore disponibili. Le due sedi in cui viene convocato (Norcia e Umbertide) non sono esattamente il massimo della comodità, distano rispettivamente 85 e 40 km dalla sua abitazione, ma la cosa è da mettere in conto e non gli fa paura. Imparerà a guidare come un pilota automatico, senza intoppi né esitazioni, e i 900 km da percorrere ogni settimana voleranno via veloci sul ciglio della strada. Il duplice incarico gli pone davanti una grande molteplicità di esperienze: a Norcia insegnerà fisica a tre classi dei Geometri e matematica ad una classe dell’Igea. Ad Umbertide invece avrà di fronte persone adulte, generalmente più grandi di lui, uomini e donne che hanno deciso di rimettersi in gioco e di prendersi quel diploma non conseguito prima per chissà quali circostanze della vita. In brevissima sintesi…ecco il mio primo anno di lavoro. Un anno impegnativo, senza soste, esaltante e deprimente allo stesso tempo, pieno di mazzate psicologhe pazzesche e di gratificazioni incredibili nei momenti più inaspettati.

A dieci anni di distanza dal mio esame di maturità, rientro nella scuola saltando dall’altra parte della barricata. Per certi versi, non ci ho messo molto a calarmi nei nuovi panni di professore e per averne conferma, chiedere ai miei ciccini. Quante prediche pallose, sull’importanza dello studio o sulla necessità di avere una condotta adeguata al contesto, si sono dovuti sorbettare; quante insufficienze nei compiti e quanti richiami ad impegnarsi di più, destinati puntualmente ad entrare in un orecchio e ad uscire dall’altro. Forse da questo punto di vista, è cambiato ben poco rispetto a dieci ani fa. Ho notato invece un deterioramento notevole dei livelli di conoscenza: questi ragazzi non hanno più capacità di concentrazione né metodo di studio, aprono il libro una volta ogni tanto per fargli prendere aria, hanno grosse difficoltà ad affrontare gli argomenti proposti e spesso e volentieri non ci provano nemmeno.

D’altra parte insegnare le funzioni o i principi della dinamica a dei ragazzetti il cui pensiero unico è quello di trombarsi la compagna di banco nel caso dei maschi, di non mi chiedete cosa (perché tanto le donne io non le capisco e mai le capirò, a maggior ragione a questa età) ma qualunque cosa sia, certamente non è lo studio nel caso delle femmine, risulta impresa quanto mai ardua. In materie come le mie, dove impegno costante e capacità di concentrazione sono qualità assolutamente necessarie, bisogna inventarsi di tutto per conquistare un minimo della loro attenzione; e così la caduta dei gravi si trasforma in una trattazione dettagliata del bungee jumping (naturalmente la domanda fondamentale diventa se il professore si è mai buttato da un ponte e se lo ha fatto con o senza corda), le forze uguali e discordi si tramutano in due renne che fanno a capocciate tra di loro; l’elettrizzazione per strofinio con un panno di lana si evolve in un nuovo fenomeno fisico, noto come elettrizzazione per T., dal nome dello scienziato, pardon…l’alunno, che ha elettrizzato con i suoi lunghi capelli ricci una bacchetta di plastica, rendendola capace di attirare piccoli pezzi di carta. Funzionava veramente!

Essere insegnante oggi significa essere: psicologo, motivatore, assistente sociale, mediatore culturale, ideatore di progetti, esperto informatico, tecnico di laboratorio, burocrate e anche un poco domatore di leoni. Una molteplicità variegata di compiti diversi, in cui però passa in secondo piano quello che dovrebbe essere il ruolo principale: ovvero, l’insegnante. E’ giusto che quella del docente sia una figura completa con competenze a tutto tondo, ma fino a non troppo tempo fa la mansione più importante del nostro mestiere era quella di trasmettere i contenuti fondamentali delle discipline per creare una conoscenza condivisa tra tutte le generazioni. Oggi questo aspetto viene invece sottovalutato, trascurato, a volte ridicolizzato. E non sarà anche per questo che i nostri ragazzi hanno oggi un’ignoranza che fa paura? Che anche i più bravi scrivono ha senza h oppure è senza accento. Agli esami di maturità, ho appreso che la seconda rivoluzione industriale è avvenuta nel 1600 e che la Costituzione Italiana è stata scritta nel 1901! Mi verrebbe da andare dai miei ex professori delle scuole superiori e chiedere loro i danni, visto che non mi hanno reso edotto di tutte queste belle cose….Ho assistito alcuni ragazzi fare scena muta davanti alla Resistenza; non sanno più che cosa è la Resistenza, cazzo…

Ma in fin dei conti, se seguiamo i principi della didattica moderna, non è poi così disdicevole affermare che 8x8 fa 88 o che la scoperta dell’America è avvenuta nel 600. Sono errori veniali, può capitare a tutti di dire qualche castroneria. La didattica moderna non può però fare a meno dell’ interdisciplinarietà: un argomento non deve essere sviluppato a compartimenti stagni, bisogna vedere i fenomeni da tutti i punti i vista, in una prospettiva più ampia e generalizzata che coinvolga ciascuna disciplina. L’approccio in sé non sarebbe neanche tanto sbagliato, se fosse fatto però con un minimo di criterio; e come capirete, nel 99% delle cose della scuola, svolgere le cose con criterio è più difficile che camminare bendati sopra un filo sospeso nel vuoto a 200 metri d’altezza. Ma che importa, la parola d’ordine è interdisciplinarietà, interdisciplinarietà, interdisciplinarietà! In nome di questo principio fondamentale, pretendevano che, all’interno di un progetto pensato per una classe prima e che coinvolgeva tutte le materie del corso, dedicassi il 20% del mio monte ore all’applicazione della matematica nella conoscenza del territorio della Valnerina... A questi ragazzi, che non ti fanno più una tabellina come Dio comanda neanche a puntargli un mitra addosso, avrei dovuto mostrare dove si cela la matematica in Valnerina (che più che celarsi, con i miei pargoli, ha giocato veramente a nascondino…). Per fortuna, grazie ad alcune complicazioni burocratiche mai tanto provvidenziali, il progetto è fallito miseramente, per il sollievo mio e dei colleghi ancora provvisti di senno…

Eppure anche io, professore giovane ma dalla mentalità già vetusta, ciò nonostante sono riuscito a svolgere un’ illuminante attività interdisciplinare. Anzi, mi vien da dire che nel leggere queste righe, qualche illustre pedagogo potrebbe rimanere positivamente sbalordito; non credo che sia cosa da tutti i giorni svolgere un’esperienza che colleghi la fisica e l’elettromagnetismo con la musica e la danza moderna. Il tutto peraltro è avvenuto in un contesto di cooperative learning, quel processo per cui insegnanti e studenti collaborano e trovano insieme una conoscenza condivisa….Il non plus ultra della didattica! Per farla breve, un bel giorno porto i miei tesori del terzo a svolgere un’esperienza di laboratorio sul condensatore piano. In questo esperimento, una pallina di materiale conduttore viene immessa all’interno dello spazio compreso tra due armature metalliche collegate tra loro tramite un generatore elettrico; non vi sto a spiegare il perché e il per come, ma ─ coerentemente con i principi fisici che ci eravamo studiati in classe ─ questa pallina si muoveva avanti e indietro tra le armature del condensatore. Nel fare ciò, veniva generato un rumore ritmico, molto particolare e piuttosto gradevole ad ascoltarsi. Ebbene fu in quell’istante che l’alunno B.G., sovrano indiscusso dei cazzeggiatori nursini, fino a quel momento in altre faccende affaccendato, diede una piccola dimostrazione del suo talento cristallino cominciando a…ballare! Dovevate vederlo come si muoveva, il B.G., al battito fremente del condensatore piano; quale eleganza nei movimenti e che agilità. Uno spettacolo magnifico, sicuramente mille volte più degno delle tante veline coscescoperte et tetteignude della tv. Il ragazzo, a fine anno, è stato bocciato per l’alto numero di insufficienze. Dico peccato, nonostante anche il sottoscritto abbia espresso nei suoi confronti pollice verso. Il suo è veramente un estro artistico e la riprova sta, oltre al fatto che suonasse magnificamente la tromba, nell’incredibile facilità con cui riusciva a proporre a getto continuo situazioni al limite dell’assurdo. Era da bocciare perché la sua voglia di fare era inversamente proporzionale alla sua genialità. Ma quella scena di ballo o la saga a puntate della nonna zoppa, gobba e puzzolente…avrei dovuto sostenere la sua promozione solo per quei momenti degni di un consumato attore di cabaret! In fin dei conti mi aveva dimostrato di saper utilizzare le conoscenze acquisite in ambiti del mondo reale oggetto di studio della disciplina.

Burocrazia, accennavo prima vagamente da qualche parte; è sorprendente la mole di cartaccia con cui ha che fare un insegnante di oggi. Quanti moduli, relazioni e fogli d’ogni genere ho dovuto compilare quest’anno, a pensarci mi viene ancora la nausea. Hai bisogno del libro di testo che è stato scelto (da altri) per la tua classe nell’attuale anno scolastico? Devi fare un’apposita richiesta scritta, da protocollare in segreteria didattica e da consegnare alla segreteria amministrativa della scuola, la quale poi provvederà a chiamare la casa editrice per chiedere di mandarne una copia. Fai i corsi di recupero, che quasi ti scongiurano perché nessuno si vuole prestare? E giù anche lì con il bel moduletto da riempire e in cui, in ordine sparso, è necessario allegare: nomi degli studenti frequentanti, il registro delle presenze, le giustificazioni dei genitori alle loro assenze, l’indice degli argomenti rivisitati, le griglie di valutazioni per la verifica finale del corso di recupero, relazione finale conclusiva. Vado per difetto, questa è solo una parte della documentazione che ho consegnato per un corso di recupero complessivo…. di 6 ore! E poi moduli infiniti per la programmazione d’inizio anno, relazioni in cui dover motivare rigorosamente perché cambi un libro di testo che fa schifo, addirittura una richiesta scritta per avere un pennarello per la lavagna luminosa!!!! Se fossi un’attivista di Greenpeace, mi incatenerei al cancello della scuola per protesta, contro lo scempio ambientale perpetuato. Quanta carta viene sprecata inutilmente, quanti alberi si abbattono per mettere per iscritto documenti che mai e poi mai nessuno si sognerà di leggere?

Capitolo rapporto con i colleghi…o meglio definire, rapporto con le colleghe, visto che mi sono ritrovato immerso in un ambiente quasi completamente femminile. Beato tra le donne direte, amato, coccolato, riverito…Beh, non ho mai sentito la mancanza di una presenza maschile diffusa come in questa occasione. Intendiamoci, non che siano cambiati i miei gusti e le mie tendenze... personalmente poi i rapporti con gli altri docenti sono stati generalmente buoni, indipendentemente dai connotati sessuali di chi mi trovavo di fronte…ma essere uno dei pochi uomini in un ambiente di lavoro dominato dall’altra metà del cielo, eh sì che ce ne vuole di pazienza! L’aspetto forse più palloso di tutta la faccenda è stata la tendenza, direi molto generalizzata da parte delle mie care compagne di avventura, a non staccare mai la spina dall’ambiente scolastico. Iniziare la giornata con un viaggio di 85 km in compagnia di quattro professoresse significa automaticamente sentirsi martellato per un’ora e passa il proprio encefalo piatto, ancora non desto dalla levataccia mattutina, con una lunga sequela di: e l’alunno X non ha studiato, e la signorina Y non si creda di essere promossa, e Z dovrebbe essere sospeso…ma tanto la scuola se li tiene tutti ‘sti criminali, e sempre questi progetti…e quando studiano poi… Non che le cose migliorassero una volta arrivati a destinazione. Una persona normale che entrasse dentro un’aula insegnanti rimarrebbe basita nel vedere tutti questi docenti starnazzare ogni giorno in Dolby Sorround su obiettivi disciplinari, criteri di valutazione o crediti formativi. Siamo stati plagiati e non ce ne accorgiamo nemmeno più. Non mi sorprende affatto che alcuni colleghi in queste stanze, nuovi gironi dell’inferno dantesco, non ci mettano più piede: hanno ragione, non vogliono perdere le loro facoltà mentali.

Le riunioni poi, quale incredibile perdita di tempo possono essere! Soprattutto nei collegi e nelle riunioni di dipartimento, l’ordine del giorno era sempre il fumo; fumo non da intendersi tanto come piaga sociale legata alle sigarette o alla marijuana, quanto piuttosto in senso nichilistico, come sinonimo di vuoto, di vacuo, di nulla. In queste riunioni noi discutevano, ci accanivamo, ci scannavamo per ore e ore e ore dibattendo sul nulla. Le nostre energie e il nostro tempo, da dedicare più fruttuosamente allo studio, alla famiglia o anche solo ad una semplice passeggiata distensiva, sacrificati all’essenza vaporosa del nulla… Sono stati questi gli unici momenti che mi hanno fatto seriamente pensare di cambiare lavoro. Un po’ meglio andava con i Consigli di Classe, sicuramente più concreti rispetto alle altre riunioni, se non altro perché si parlava delle problematiche dei nostri alunni. Ma anche qui, la già accennata maggioranza femminile del corpo docenti non ha fatto sconti. Non so perché le donne siano spesso tra di loro ─ quasi come legge di natura ─ così invidiose, competitive, maligne. Vivi e lascia vivere, cerchiamo di portare avanti un lavoro comune finalizzato al bene dei ragazzi, in cui ciascuno di noi dà il proprio importante contributo. E invece no, anche qui discussioni infinite, battute al vetriolo, rivendicazioni di miglior competenza e miglior professionalità rispetto ai colleghi, un continuo rinfacciarsi delle più insignificanti piccolezze. E’ vero anche che questo clima di tensione era sempre generato da personaggi “sui generis” da prendere molto con le molle, ma non ho potuto fare a meno di notare che tali situazioni si verificavano solamente in quei consigli in cui ero l’unico professore uomo. Spero che sia stata solamente casualità, credo tuttavia che un certo nesso ci sia…

Un bilancio conclusivo in postilla a queste chiacchiere da bar. Avrete capito che il post, al fine di una presunta ironia da quattro soldi, descrive solamente le situazioni più paradossali dell’esperienza che ho vissuto, in alcuni casi pompandole un po’! In linea generale però, non si sta così male; è vero che ci sono tanti alti e bassi ma questo avviene in tutte le cose, a maggior ragione in un lavoro fondato sulle relazioni umane. Per quanto mi riguarda, devo certamente migliorare in molti aspetti, soprattutto nel riuscire a mantenere la disciplina: troppe volte ho concesso ai miei bimbi un dito e loro hanno finito per prendersi la mano intera. Devo lavorare ancora sul mio carattere, diventare più duro e più drastico; un po’ di sano fascismo in questo mestiere non fa certamente male! Ma complessivamente sono abbastanza soddisfatto di questo anno; con i ragazzi credo di essere riuscito ad instaurare un dialogo schietto e costruttivo e qualche volta sono pure riuscito a farli studiare! Con i miei studenti del serale ho passato un anno umanamente molto gratificante, sia in classe che fuori. Con alcuni colleghi infine, anche tra i cosidetti “fissati”, ho creato amicizie significative che spero di riuscire a mantenere in futuro.

Insomma, nel mondo della scuola si riesce a stare bene, sebbene ci siano segnali nebulosi all’orizzonte che non inducono all’ottimismo. Non mi riferisco in questo frangente alla situazione occupazionale assai critica di noi docenti, sebbene la scimitarra ministeriale taglierà 100 mila di noi nei prossimi tre anni e il precariato sia una piaga che non ci può far dormire sonni tranquilli. No, mi riferisco alla tendenza, da parte dell’istituzione scuola, ad allontanarsi sempre di più da quello che dovrebbe essere il suo compito fondamentale: formare i cittadini di domani. Una convinzione la mia suffragata da tanti piccoli segnali che muovono però tutti nella stessa direzione. Come interpretare ad esempio il fatto che gli istituti organizzino delle vere e proprie campagne di marketing per accaparrarsi i ragazzi provenienti dalle scuole medie? Più ragazzi significano più soldi provenienti dal ministero e quindi maggiore contabilità economica. E per assicurarsi che gli studenti non cambino idea nel corso dell’anno, promuoviamoli tutti, anche se poi capiscono meno di una capra nana o sono dei delinquenti patentati. D’altra parte in questo modo si evitano anche i possibili, temutissimi ricorsi: da quanto mi hanno riferito alcuni colleghi, negli anni precedenti i genitori di alcuni ragazzi respinti si sono appellati al tribunali amministrativi per riammettere i loro figli. Sembra che in queste censure non venisse messo in discussione il fatto che i giovinotti fossero dei ciucchi senza speranza. Si ricorreva invece sulla correttezza formale dei documenti, come ad esempio i registri; un’assenza non segnalata o un segno grafico di troppo erano motivo sufficiente per rendere nulla una bocciatura decisa dal Consiglio di Classe.

Di fronte ai messaggi televisivi che promuovono un tipo di modello che ben conosciamo e constatato come in molti casi la famiglia sia empaticamente distante dai propri ragazzi, l’istituzione scolastica non dovrebbe mostrare il fianco ma al contrario dare un segnale forte che indichi un’alternativa valida. Poiché però si rende conto che da sola non ce la fa, la scuola si lascia andare e si dimette spontaneamente dal suo ruolo educativo tradizionale. Non avendo più neanche strumenti punitivi adatti (oggi uno studente può essere sospeso solo se ha commesso qualcosa punibile dal codice penale) e dovendo cercare di ottenere tutto con il dialogo, risulta veramente difficile far capire ai ragazzi l’importanza dello studio, la bellezza del sacrificio, l’orgoglio di ottenere risultati grazie ad un impegno meticoloso e costante. Affrontare un’equazione, capire che cosa significa, batterci e ribatterci la testa sopra…ma mettiamoci nei loro panni, chi glielo fa fare? La televisione mostra che si può essere belli, ricchi e famosi non facendo nulla, perché diventare brutti, emarginati e tristi con qualche cosa che non servirà mai a niente nella vita? E se anche la scuola non ci crede più e pensa solamente alla sua sopravvivenza economica…chi provvederà a salvare dal baratro la nostra società?


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