venerdì 29 agosto 2008

L'acqua non è una merce

da http://www.beppegrillo.it/

Lettera di Padre Alex Zanotelli a Beppe Grillo

Caro Beppe,
nel cuore di questa estate torrida e di questa terra calabra, lavorando con i giovani nelle cooperative del vescovo Brigantini (Locride) e dell’Arca di Noè (Cosenza), mi giunge, come un fulmine a ciel sereno, la notizia che il governo Berlusconi sancisce la privatizzazione dell’acqua. Infatti il 5 agosto il Parlamento italiano ha votato l’articolo 23 bis del decreto legge numero 112 del ministro G. Tremonti che nel comma 1 afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell’economia capitalistica. Tutto questo con l’appoggio dell’opposizione, in particolare del PD, nella persona del suo corrispettivo ministro-ombra Lanzillotta. (Una decisione che mi indigna, ma non mi sorprende, vista la risposta dell’on.Veltroni alla lettera sull’acqua che gli avevo inviata durante le elezioni!). Così il governo Berlusconi, con l’assenso dell’opposizione, ha decretato che l’Italia è oggi tra i paesi per i quali l’acqua è una merce.

Dopo questi anni di lotta contro la privatizzazione dell’acqua con tanti amici, con comitati locali e regionali, con il Forum e il Contratto Mondiale dell’ acqua...queste notizie sono per me un pugno allo stomaco, che mi fa male. Questo è un tradimento da parte di tutti i partiti! Ancora più grave è il fatto, sottolineato dagli amici R.Lembo e R. Petrella, che il “Decreto modifica la natura stessa dello Stato e delle collettività territoriali. I Comuni, in particolare, non sono più dei soggetti pubblici territoriali responsabili dei beni comuni, ma diventano dei soggetti proprietari di beni competitivi in una logica di interessi privati, per cui il loro primo dovere è di garantire che i dividendi dell’impresa siano i più elevati nell’interesse delle finanze comunali.“ Ci stiamo facendo a pezzi anche la nostra Costituzione!

Concretamente cosa significa tutto questo? Ce lo rivelano le drammatiche notizie che ci pervengono da Aprilia (Latina) dimostrandoci quello che avviene quando l’acqua finisce in mano ai privati. Acqualatina, (Veolia, la più grande multinazionale dell’acqua ha il 46,5 % di azioni) che gestisce l’acqua di Aprilia, ha deciso nel 2005 di aumentare le bollette del 300%! Oltre quattromila famiglie da quell’anno, si rifiutano di pagare le bollette ad Acqualatina, pagandole invece al Comune. Una lotta lunga e dura di resistenza quella degli amici di Aprilia contro Acqualatina! Ora, nel cuore dell’estate, Acqualatina manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori o ridurre il flusso dell’acqua. Tutto questo con l’avallo del Comune e della provincia di Latina! L’obiettivo? Costringere chi contesta ad andare allo sportello di Acqualatina per pagare. E’ una resistenza eroica e impari questa di Aprilia: la gente si sente abbandonata a se stessa. Non possiamo lasciarli soli!

L’estate porta brutte notizie anche dalla mia Napoli e dalla regione Campania. L’assessore al Bilancio del Comune di Napoli, Cardillo, lancia una proposta che diventerà operativa nel gennaio 2009. L’ Arin, la municipalizzata dell’acqua del Comune di Napoli, diventerà una multi-servizi che includerà Napoligas e una compagnia per le energie rinnovabili.Per far digerire la pillola, Cardillo promette una “Robintax” per i poveri (tariffe più basse per le classi deboli). Con la privatizzazione dell’acqua si creano necessariamente cittadini di seria A (i ricchi ) e di serie B (i poveri), come sostiene l’economista M.Florio dell’Università degli studi di Milano. Sono brutte notizie queste per tutto il movimento napoletano che nel 2006 aveva costretto 136 comuni di ATO 2 a ritornare sui propri passi e a proclamare l’acqua come bene comune. Invece dell’acqua pubblica, l’assessore Cardillo sta forse preparando un bel bocconcino per A2A (la multiservizi di Brescia e Milano) o per Veolia, qualora prendessero in mano la gestione dei rifiuti campani? Sarebbe il grande trionfo a Napoli dei potentati economico-finanziari.A questo bisogna aggiungere la grave notizia che a Castellamare di Stabia (un comune di centomila abitanti della provincia di Napoli ), 67 mila persone hanno ricevuto, per la prima volta, le bollette dalla Gori, (una SPA di cui il 46% delle azioni è di proprietà dell’Acea di Roma). Questo in barba alle decisioni del Consiglio Comunale e dei cittadini che da anni si battono contro la Gori, che ormai ha messo le mani sui 76 Comuni Vesuviani (da Nola a Sorrento).“Non pagate le bollette dell’acqua!”, è l’invito del Comitato locale alle famiglie di Castellamare. Sarà anche qui una lotta lunga e difficile, come quella di Aprilia.

Mi sento profondamente ferito e tradito da queste notizie che mi giungono un po’ dappertutto. Mi chiedo amareggiato:” Ma dov’è finita quella grossa spinta contro la privatizzazione dell’acqua che ha portato alla raccolta di 400 mila firme di appoggio alla Legge di iniziativa popolare sull’acqua?Ma cosa succede in questo nostro paese? Perchè siamo così immobili? Perchè ci è così difficile fare causa comune con tutte le lotte locali, rinchiudendoci nei nostri territori? Perché il Forum dell’acqua non lancia una campagna su internet, per inviare migliaia di sollecitazioni alla Commissione Ambiente della Camera dove dorme la Legge di iniziativa popolare sull’acqua? Non è giunto il momento di appellarsi ai parlamentari di tutti i partiti per far passare in Parlamento una legge-quadro sull’acqua? Dobbiamo darci tutti una mossa per realizzare il sogno che ci accompagna e cioè che l’acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestita dalle comunità locali con totale capitale pubblico, al minor costo possibile per l’utente, senza essere SPA.

“L’acqua appartiene a tutti e a nessuno può essere concesso di appropriarsene per trarne “illecito”profitto- ha scritto l’arcivescovo emerito di Messina G. Marra. Pertanto si chiede che venga gestita esclusivamente dai Comuni organizzati in società pubblica, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile.” Quando ascolteremo parole del genere dalla Conferenza Episcopale Italiana? Quand’è che prenderà posizione su un problema che vuole dire vita o morte per le nostre classi deboli, ma soprattutto per gli impoveriti del mondo? (Avremo milioni di morti per sete!). E’ quanto ha affermato nel mezzo di questa estate, il 16 luglio, il Papa Benedetto XVI:” Riguardo al diritto all’acqua, si deve sottolineare anche che si tratta di un diritto che ha un proprio fondamento nella dignità umana. Da questa prospettiva bisogna esaminare attentamente gli atteggiamenti di coloro che considerano e trattano l’acqua unicamente come bene economico.” Quand’è che i nostri vescovi ne trarranno le dovute conseguenze per il nostro paese e coinvolgeranno tutte le parrocchie in un grande movimento in difesa dell’acqua? L’acqua è vita. “L’acqua è sacra, non solo perché è prezioso dono del Creatore- ha scritto recentemente il vescovo di Caserta, Nogaro – ma perché è sacra ogni persona, ogni uomo, ogni donna della terra fatta a immagine di Dio che dall’acqua trae esistenza, energia e vita.”

Sull’acqua ci giochiamo tutto! Partendo dal basso, dalle lotte in difesa dell’acqua a livello locale, dobbiamo ripartire in un grande movimento che obblighi il nostro Parlamento a proclamare che l’acqua non è una merce, ma un diritto di tutti. Diamoci da fare perché vinca la vita!".
padre Alex Zanotelli


Di padre Alex Zanotelli, leggi nel blog anche la lettera agli amici.


Continua...

giovedì 28 agosto 2008

Padre Marcello Storgato sul Bangladesh

Da Missione Oggi del 24 novembre 2007

Umbria Radio inBlu





Antonio Caterino Un cordiale saluto agli ascoltatori di Umbria Radio, Antonio Caterino in studio per questo nuovo appuntamento di Missione Oggi. Questa mattina siamo in collegamento telefonico con Marcello Storgato, direttore di un’importante rivista, I Missionari Saveriani. Buongiorno padre.

Padre Marcello Storgato Buongiorno a te e a tutti gli ascoltatori di Umbria Radio.

Antonio Caterino Oggi parleremo con Padre Marcello del Bangladesh, ma prima di farlo le chiederei chi sono i Missionari Saveriani?

Padre Marcello Storgato I Missionari Saveriani sono una congregazione esclusivamente missionaria, fondata dal beato Guido Conforti circa 100 anni fa. Siamo nati dall’intuizione di questo uomo, originario di Parma e vescovo di Parma che voleva diventare missionario lui stesso ma non potendo, a causa della salute cagionevole, ha pensato a fondare questo istituto sul modello di Francesco Saverio. Ed è per questo che ci chiamiamo Saveriani, perché il Conforti ha pensato che avremmo dovuto portare avanti il sogno di San Francesco Saverio che morì in attesa di poter andare a portare il Vangelo in Cina. Perciò all’inizio tutti i Missionari Saveriani erano in Cina. Poi con l’espulsione dalla Cina ─ in seguito della rivoluzione dei Boxer e poi di Mao ─ ci siamo un po’ diffusi in tutto il resto del mondo.

Antonio Caterino Quindi i Missionari Saveriani operano e lavorano in tutti i continenti del mondo?

Padre Marcello Storgato Attualmente sì, dall’Europa (dove facciamo soprattutto animazione vocazionaria e animazione missionaria), poi in Asia (Giappone, Taiwan, Cina, Bangladesh, Indonesia), in Africa (Mozambico, Burundi, Congo, Repubblica Democratica del Congo, Camerun, Ciad), in America Latina (Colombia, Brasile in Amazzonia, Messico).

Antonio Caterino Quindi siete radicati in moltissime realtà?

Padre Marcello Storgato Effettivamente c’è questa ─ possiamo anche chiamarla ─ “dispersione” se si vuole, ma è un po’ andare dove c’è più bisogno.

Antonio Caterino E dopo questa premessa possiamo finalmente avventurarci a parlare di quello che sta avvenendo in Bangladesh. Lei Padre Marcello, è stato per molti anni missionario in Bangladesh. Qual è la situazione politica, sociale, economica?

Padre Marcello Storgato Io sono stato missionario in Bangladesh per 21 anni, praticamente dal ’72 al ’93 (poi sono stato richiamato in Italia per lavorare qui a Brescia dove abbiamo la comunità che pubblica tre riviste mensili e ha uno studio video più la libreria dei popoli). Il Bangladesh oggi come oggi è nella cronaca per un nuovo disastro, una nuova catastrofe naturale non voluta da nessuno (il ciclone Sidr del novembre 2007, n.d.r.) che mette in ginocchio una popolazione estremamente povera. È un avvenimento ciclico – diciamo così – che ogni tanto si ripete: io ricordo molto bene il ciclone del 1970 e l’altro del 1991 che ho visto personalmente. Ricordo il vento a 230 km/h, la pioggia che diluviava e l’attrito degli alberi per il vento produceva fiamme di fuoco. Sono scene apocalittiche e questa volta si è ripetuta nella zona del sud-ovest del Bangladesh (fortunatamente protetta da chilometri e chilometri di foresta fluviale) e questo ha protetto in un certo senso la popolazione che vi vive. Ma il disastro è enorme perché alberi che cadono, pioggia e vento che scoperchiano e portano via tutto; le notizie che abbiamo giornalmente da nostri missionari che vivono lì sono davvero catastrofiche. Ci vorrà molto tempo per sapere come è la situazione, perché tutto è andato in aria. E poi ci sono le conseguenze di gente che ha perso quel poco che aveva – per quanto poco era però tutto – e perdere tutto e perdere anche tanta vita significa dover ripartire da zero. Fortunatamente i poveri hanno sempre la forza della speranza ma occorre sicuramente un grosso aiuto. Non ce la farebbero mai da soli, sono cose inaspettate. L’unica consolazione è che il governo del Bangladesh ─ questa volta più delle altre ─ ha preveduto e ha informato la popolazione su come poteva svolgersi l’evoluzione del ciclone e tanti hanno potuto prendere rifugio nelle poche costruzioni solide che possono essere le scuole o le missioni dove c’erano le moschee e proteggersi in questo modo. Ma la situazione è veramente grave, gravissima.

Antonio Caterino Poi ovviamente penso che il governo non abbia molte possibilità economiche per aiutare i poveri che si sono trovati in mezzo a questo disastro.

Padre Marcello Storgato Sono risorse molto limitate non solo perché la nazione è povera ma anche perché quelle riserve alimentari che il governo provvede ogni anno nelle varie zone, anche queste sono andate distrutte nella zona ampia del ciclone. Quindi devono essere portate da altre parti della nazioni o magari dalle nazioni vicine. E soprattutto è andato perso il raccolto finale di quest’anno con centinaia di migliaia di ettari allagati. Adesso era l’inizio della stagione invernale con la coltivazione di verdure, tipo pomodori, verze, cavolfiori, cipolle, arachidi, etc. e questo rende la situazione ancora più disastrosa e precaria.

Antonio Caterino La religione cristiana in Bangladesh quando è arrivata?

Padre Marcello Storgato I primi missionari sono arrivati in Bangladesh poco più di quattro secoli fa, praticamente con i Portoghesi che per il loro commercio hanno fissato dei porti e dei fortini nell’Oceano Indiana e quindi anche nel Bengala. Sono comunque pochissimi i Cristiani i Bangladesh, siamo sull’ordine del 0,3% di fronte ad una popolazione che negli ultimi trentacinque anni si è raddoppiata. Io ricordo nel ’72, quando arrivai per la prima volta in Bangladesh, si calcolava una popolazione tra i 70 e i 75 milioni. Oggi sono oltre i 140 milioni; quindi in una nazione che è grande circa la metà dell’Italia, la sovrappopolazione è davvero clamorosa. Non si sa come riesca tutta questa gente a vivere in una nazione così piccola, per di più occupata da tantissimi fiumi e dalla foresta vergine al Sud, la foresta del Bengala. Meno male che hanno poche esigenze! Nel senso che in una capanna di 3 metri per 4, magari vivono 10-15 persone…tra adulti e bambini. Ma se avessero le esigenze nostre, di una stanza per persona ─ più cucina, camera da pranzo, salotto e via dicendo ─ non ci sarebbe spazio neanche per accomodare tutti!

Antonio Caterino Il panorama religioso in Bangladesh è molto variegato. Quali sono le confessioni religiose che maggiormente abitano il paese?

Padre Marcello Storgato La stragrande maggioranza della popolazione è islamica, siamo per lo meno sul 90-92% di popolazione mussulmana. Un musulmanesimo asiatico ─ non equiparabile all’Islam arabo o mediorientale ─ un Islam più, diciamo così, dal volto umano, tollerante…e anzi nel ’71, quando è nato il Bangladesh, il fondatore del Bangladesh, Mujibur Rahman, nella Costituzione aveva messo anche il principio del secolarismo, alla base della nazione del Bangladesh. Poi purtroppo questo principio è saltato in una revisione della Costituzione, per rendere il Bangladesh non paese islamico, ma insomma la religione islamica è quella ufficiale e c’è stato un po’ un ritorno ad un Islam più radicato. Ma non siamo a livello di estremismo religioso o di fondamentalismo religioso. Certo, gli avvenimenti ultimi e anche questo stesso ultimo ciclone catastrofico può aiutare la sezione più fondamentalista ad acquistare maggior forza, magari anche attraverso gli aiuti. Speriamo di no. L’altra componente religiosa della popolazione in Bangladesh sono gli Indù, sono circa il 7-8%, mentre prima del Pakistan ─ quando il subcontinente indiano era sotto la Compagnia delle Indie e l’impero britannico ─ in Bangladesh c’erano molti più Indù ed erano anche abbastanza benestanti. Ma dopo la separazione tra Pakistan e India, gli Indù sono fuggiti in India e molti mussulmani dell’India, specialmente della zona del Bengala o del Bihar o di Orissa, hanno preso occupazione in Bangladesh: così è aumentata di molto la popolazione mussulmana ed è diminuita di molto la popolazione indù. C’è una piccola minoranza buddhista, specialmente nella zona confinante con il Myanmar, la Birmania: hanno delle istituzioni, soprattutto di carattere educativo e formativo, anche nella capitale ma soprattutto nella zona collinare del sud-est del Bangladesh.

Antonio Caterino Io concluderei questa piacevole chiacchierata chiedendo chi era padre Valeriano Cobbe?

Padre Marcello Storgato Padre Valeriano Cobbe era un Saveriano vicentino che è stato un pioniere, soprattutto nel campo dello sviluppo agricolo, in Bangladesh. Lui è stato il primo a fare dei pozzi per l’irrigazione e a organizzare i contadini in cooperative attorno a dei pozzi con canalizzazione per portare l’acqua nei campi di riso. È stato il primo, in una zona fondamentalmente di fuori carta, a poter vedere i contadini coltivare tre raccolti l’anno, due di riso e uno di grano. Ricordo che tutta quella zona era un paradiso terrestre e venivano i ministri a vedere, perché sembrava una cosa impossibile. Tuttavia la mano d’opera fuori carta, organizzata in cooperative, ha fatto sì che anche i braccianti acquistassero una maggiore consapevolezza e desiderassero ricevere un salario un pochino più dignitoso; quindi non si prestavano più a lavorare per niente nei terreni magari dei mussulmani. E così, purtroppo, padre Valeriano, nel ’74, è stato ucciso, silurato la sera con una fucilata, probabilmente da un killer noleggiato e pagato apposta. Così è morto questo grande uomo che insieme al Vangelo sapeva portare anche l’entusiasmo per lo sviluppo in una nazione che è prevalentemente agricola. La morte non è la fine di tutto: certo c’è stato molto sgomento, smarrimento, specialmente nella popolazione povera e nei Cristiani. Ma adesso, dopo trent’anni, possiamo dire che la gente stessa ha recuperato quella forza dello sviluppo e della cooperazione tra di loro e sta portando avanti lo stesso progetto; magari con minori mezzi, ma attualmente possiamo dire che è una delle zone più sviluppate dal punto di vista agricolo di tutto il Bangladesh. Questo mi piacere, mi fa piacere parlare di questo mio grande amico che ho conosciuto personalmente e che lo ricordiamo con molto affetto e diciamo anche con un po’ di orgoglio.


Continua...

domenica 24 agosto 2008

Intervista a Giorgio Foresti, Comitato Ambiente di Bettona



Alcuni passaggi dell'intervista a Giorgio Foresti


Intervista completa

In una dichiarazione fatta sulla rivista del Comune (Bettona Domani, Gennaio 2008), il sindaco Marcantonini ha dichiarato di voler ridurre il numero dei maiali del 35% , di spostare le stalle in modo tale che siano più distanti dalle abitazioni e di voler svolgere dei lavori di ammodernamento sul depuratore in modo tale da diminuire drasticamente la quantità di azoto presente nelle acque reflue (passando dai 1000 mg/l ai 150 mg/l). Questi lavori hanno già avuto inizio?
Che io sappia no. Oltretutto l’amministrazione ha preso nei confronti del Comitato un atteggiamento di contrapposizione, non comprendendo che ─ se veramente voleva fare un discorso di risanamento del territorio ─ il Comitato poteva esserle d’aiuto. Invece l’atteggiamento è proprio quello di contrapposizione, anche perché alcune delle cose che noi diciamo da tanto tempo vengono sostenute poi anche dall’amministrazione. A questo punto noi siamo diventati sospettosi e il discorso della seconda laguna non ci convince affatto. Se tu vuoi ridurre il numero di maiali, a cosa ti servono due lagune di stoccaggio? Sono come due campi di calcio affiancati per due ettari di terreno. Perché non svuoti invece la prima laguna con tutto quello che c’è dentro? E quindi uno inizia a pensare: loro hanno cominciato a parlare di biomasse e di tutta una serie di altre cose. Se il numero di maiali viene ridotto, tutta questa superficie non serve. Il depuratore ─ per poter funzionare e produrre energia elettrica ─ ha bisogno di una certa quantità di biomassa. Devi allora cominciare a buttarci dentro il sangue dei mattatoi, i lavaggi degli oleifici e altro perché altrimenti il depuratore non si carica e non va. Se tu non lo riempi a tutta birra, quello non produce! La paura è allora anche quella che non sia solamente un adeguamento del depuratore al trattamento zootecnico dei reflui, ma che debba servire ad altre cose. Per definizione di legge, la biomassa è tutto ciò che è organico, compreso i rifiuti urbani. Ma a questo punto il depuratore diventa come un inceneritore! E le lagune, che cosa diventano? Discariche? Se tu riduci il numero dei maiali e risani la prima laguna, perché continui ad insistere sulla seconda? E perché poi la collettività si deve far carico di risolvere i problemi degli allevatori, che per tanti anni ci hanno guadagnato sopra facendo scempio di tutto quello che c’è attorno? Invece di punirli, tu continui ad aiutarli. Si parla di 8 milioni di euro per i lavori di adeguamento del depuratore. Una volta che ci hai investito i soldi, devi farlo funzionare in qualche modo.

Si è anche parlato del ritrovamento in laguna di materiali pesanti. Che tipo di materiali sono stati rinvenuti?
Io questo l’ho sentito solamente dire, non ne sono al corrente. Però i mangimi dei maiali contengono rame e cadmio che non vengono digeriti dai maiali né tantomeno trattati dal depuratore. Ma la storia del Comitato ha preso il via a febbraio di due anni fa quando ─ in seguito all’incidente dell’oleificio Del Papa di Spoleto ─ abbiamo saputo che tutto il materiale schiumogeno e tutto il materiale chimico utilizzato per spegnere tutto ciò che era uscito dai serbatoi era stato portato qui al depuratore. Noi allora andammo dal commissario di governo (in quel periodo non c’era il sindaco, ma un commissario governativo) il quale ci assicurò che quei residui erano conservati in una vasca di cemento a parte e che non sarebbero stati mischiati con i liquami dei maiali. Ma dopo un po’, di quei prodotti chimici, non c’era più niente. E allora la gente si è incazzata e ha creato il Comitato, con una grossa partecipazione…

A proposito del Comitato, vorremmo capire quali sono le sue rivendicazioni e le sue forme d’opposizione.
Io vorrei che fossero ben chiare le nostre proposte, perché altrimenti dicono il Comitato sa dire solo NO e basta. Non è così. Il comitato dice per prima cosa che questo ambiente va risanato. Chiunque capisce che quello che devi distribuire su 1200 ettari, non lo puoi mettere su 300 per trent’anni. Vogliamo allora capire qual è lo stato dei terreni e delle falde intorno all’ impianto di depurazione e intorno alle stalle? Vogliamo fare un’indagine seria per capire come può essere poi risanato questo territorio? Vogliamo capire qual è il numero dei maiali e degli allevamenti compatibili con il territorio? Tutti dicono, a partire dalla Regione, che la vocazione dell’Umbria è quella della linea TAC (Turismo, Ambiente, Cultura). Qui siamo sotto Assisi, in una situazione ambientale di pregio; se vogliamo che lo sviluppo vada in quella direzione, dobbiamo quanto meno fare in modo che tutte le attività siano compatibili con questa vocazione. Se io rimetto a posto la villa del Boccaione spendendoci miliardi e poi c’è una puzza che ti accora, secondo te qualcuno va a fare un convegno lì?! Io mi vergognerei a portare qualcuno lì. E diventa inutile qualsiasi altro tipo d’intervento nelle altre direzioni, se prima non si risana questo problema. Bisogna quindi capire qual è la compatibilità del numero dei maiali e delle stalle con il territorio e con la vocazione. Ultima cosa, questo numero dei maiali compatibile, bisogna valorizzarlo nel territorio. Bisogna fare un discorso di filiera corta, di trasformazione qui in loco, di prodotti di qualità, con allevamenti di tipo alternativo, magari su paglia come si faceva una volta, e creazione di posti di lavoro sul territorio. Quindi fare un discorso più complessivo in cui i maiali diventano un valore aggiunto per il territorio, non soltanto un problema. Questa è la proposta del comitato, non è vero che il Comitato non ha proposte. Il problema è che c’è questa acquiescenza nei confronti degli allevatori, questi allevatori del nord; evidentemente, oltre ai soldi, portano altri tipi di consenso. Per quanto riguarda le forse d’opposizione, sono chiaramente quelle consentite; il nostro è un movimento d’opinione più che altro. Fino adesso sono state organizzate delle manifestazioni pubbliche, con un sit-in davanti al Consiglio Regionale (dove c’erano dei cartelli che spiegavano la situazione) e un altro sit-in davanti al depuratore, è stato fatto un corteo di macchine attraverso tutto il comune. E poi è stato fatto un ricorso al TAR.



Questo ricorso quando è stato fatto?
È stato fatto poco tempo dopo la prima ordinanza (settembre 2007, n.d.r.).

La sentenza, per quando è prevista?
Ancora deve andare in discussione.

E in questo ricorso, cosa andate a contestare?
Noi chiediamo che venga dichiarata la nullità o quanto meno la non legittimità dell’ordinanza per quanto concerne la realizzazione della seconda laguna. Mentre siamo d’accordo sulla riduzione dei maiali, non siamo d’accordo che la riduzione dei maiali significhi la realizzazione della seconda laguna, perché non centra niente.

Parlavamo anche della partecipazione della gente. C’è questa partecipazione?
Questa partecipazione c’è. Chiaramente nei limiti di un comitato popolare, però ci riuniamo tutti i martedì sera e c’è sempre una media dalle 30 alle 60 di persone.

Una delle critiche che vi vengono fatte è che il Comitato fosse formato soprattutto da persone non originarie del luogo...
Questo mi pare abbastanza normale e fisiologico. Tutto sommato chi vive da tanto tempo in una situazione negativa, in qualche modo dopo un po’ ci fa l’abitudine. E comunque nel corso del tempo, chissà quali rapporti si sono intercorsi, in una realtà così piccola, tra gli allevatori, la popolazione e le amministrazioni che si sono succedute. È facile poi che gli allevatori siano parenti di parecchia gente o comunque abbiano rapporti di amicizia o economici. Chi viene da fuori ha invece immediatamente sott’occhio che questa è una situazione di non normalità. Forse c’è un problema di abitudine a reagire maggiormente alle ingiustizie, ai soprusi. Chi sta magari in una grande città è più abituato ad essere cosciente dei propri diritti.

Parlando invece dei soggetti istituzionali, la vertenza vede coinvolti la Regione Umbria e il Comune di Bettona. Quali sono allora le competenze e i poteri decisionali della Regione e quali invece quelli del Comune in questa vicenda?
Il Sindaco del Comune è il più alto organo in materia sanitaria che c’è nel territorio; per cui, da un punto di vista sanitario, tutto dovrebbe essere completamente in mano al comune. Le concessioni edilizie, le autorizzazioni all’ammodernamento del depuratore e alla costruzione della laguna sono di competenza del Comune. I controlli e gli indirizzi sono invece della Regione. Il controllo è dell’ARPA e della ASL. Peraltro, qui stiamo parlando di cose pesanti perché l’ASL ha fatto un sopralluogo nei luoghi della seconda laguna e l’unica prescrizione che ha fatto è stata di mettere alberi attorno! Per il resto niente. L’ARPA ha detto poi di essere assolutamente in disaccordo e che probabilmente la laguna andrebbe fatto con il cemento sotto…

Riuscite voi come Comitato a trovare un dialogo costruttivo con le istituzioni?
Noi lo cerchiamo, ce lo abbiamo: abbiamo avuto più incontri con l’assessore regionale Bottini, abbiamo avuto un incontro con l’amministrazione comunale, uno perché poi si è fermato lì. Vorremmo averli con tutti, perché a noi interessa la soluzione del problema. Oltretutto il Comitato, essendo così grande, non ha riferimenti politici. Bisogna dire però che gli unici che si sono mossi, presentando un’interrogazione in Consiglio Regionale, sono stati i Verdi e Rifondazione. Hanno fatto un’interrogazione che è rimasta lì, non gliene è fregato un cavolo a nessuno! E poi l’Italia dei Valori, che ha fatto un’interrogazione in parlamento con Leoluca Orlando.

A proposito di quella interrogazione parlamentare, c’era un riferimento ad alcuni dati dell’ASL che segnalano un aumento di tumori nel territorio. Ci può dire qualcosa a questo proposito?
C’è un’indagine di un paio d’anni fa della Regione Umbria e della Facoltà di Medicina (un origine quindi non sospetta, è un dato ufficiale) che segnala un’incidenza veramente maggiore nel territorio di Bettona rispetto a quelli confinanti (Cannara, Torgiano e Bastia) in alcune neoplasie. La cosa è preoccupante e quanto meno vorremmo una spiegazione di questo. Da che cosa può dipendere? Certo che l’unica differenza con i circondari e i comuni che ci stanno intorno è la presenza di questo numero sovrabbondante di maiali e di questo depuratore. Altrimenti la situazione del Territorio è più o meno la stessa. Questo preoccupa. E quando sono stati tirati fuori questi dati, suffragati dal discorso che bisognava mettere mano a questo problema, chi l’ha detto, che era poi l’ex sindaco Frascarelli, è stato tacciato di terrorismo. Se uno va a leggere i dati ufficiali della regione, questo è terrorismo?

Voi avete partecipato al forum dei beni comuni di Ferentillo in cui si sono incontrati buona parte dei movimenti umbri che lottano per la salvaguardia delle risorse territoriali in Umbria. Quanto è importante, “concretamente”, avere la solidarietà e la vicinanza di questi movimenti?
È fondamentale, perché poi l’attività che si pone in essere è assolutamente comune. È un discorso di politica generale e di salvaguardia dei cittadini in relazione al territorio che abitano. Non sono settori chiusi ma assolutamente aperti. La lotta che fa il comitato di Nocera per la salvaguardia dell’acqua è la stessa che facciamo noi qui sull’inquinamento delle falde acquifere. Secondo me, rientra in un discorso di rispetto generale per le persone e di tutela per la qualità della vita perché coinvolge tutti. Se noi partiamo per esempio dal discorso della tutela del paesaggio, ci prendiamo dentro tutto.

Un’ultima domanda. Visto che siamo interessati a far conoscere le tematiche relative alle vertenze territoriali ai giovani, ci chiedevamo se all’interno del Comitato ci fosse una presenza di ragazzi.
Sì, c’è, per fortuna c’è. Anche perché il naso ce l’hanno pure loro e la puzza è una cosa evidente che non si può negare! Mentre i discorsi più tecnici possono essere accettati o possono trovare tanti contradditori, il discorso di disagio immediato e tangibile lo avvertono tutti.


Sull'argomento, guarda nel blog anche il video sulla vertenza.


Continua...

giovedì 21 agosto 2008

La seconda laguna di Bettona




Testo del video
Bettona rappresenta attualmente il bacino più importante dell’Umbria per quanto riguarda l’allevamento dei suini (con una presenza costante di 80 mila capi, corrispondenti circa al 25% della realtà regionale). L’attività pone naturalmente numerose problematiche di carattere ambientale, in primis quella che riguarda lo smaltimento dei reflui dei maiali. Fino ad oggi, il problema è stato affrontato tramite una laguna di stoccaggio di 90 mila metri cubi, collegato ad un depuratore (gestito dalla CODEP, una cooperativa controllata direttamente dagli allevatori). Il depuratore agisce sui liquami separando il materiale solido da quello liquido; il solido viene utilizzato come biogas nella produzione di energia, mentre il liquido viene depositato nella laguna per essere successivamente riadoperato nella fertirrigazione dei campi. Attualmente però la laguna ha raggiunto il 90% della sua capacità e non è più in grado di accogliere i 1200 metri cubi di reflui che il depuratore produce quotidianamente.

In questo contesto, il Comune di Bettona ha emesso nel settembre del 2007 un’ordinanza comunale d’urgenza in cui ha disposto l’immediata costruzione di una seconda laguna di stoccaggio di dimensioni leggermente inferiori alla prima (circa 80 mila metri cubi). Il progetto – che ha avuto l’avvallo della CODEP e della Regione Umbria ─ è stato però subito bloccato dai carabinieri del NOE che hanno messo sotto sequestro il cantiere dove era prevista la realizzazione di questo secondo invaso .

La questione dei suini a Bettona non si esaurisce solamente con la vertenza della laguna ma si inserisce in un contesto generale quanto mai complesso. Le circa trenta stalle ubicate nel territorio - nella maggiorparte dei casi edifici obsoleti e troppo vicini alle abitazioni - rappresentano sicuramente la causa principale dell’oramai annoso problema della puzza, che soprattutto in estate è veramente difficile da sopportare. Il funzionamento stesso del depuratore presenta diversi punti di criticità. In effetti, ci sono molti motivi per pensare che il ciclo di smaltimento dei liquami attuato dall’impianto non sia ottimale; ne consegue che il materiale solido non viene pienamente separato da quello liquido e il refluo che viene depositato in laguna non risulta quindi completamente purificato. Ciò spiega anche perché la laguna ha raggiunto il suo livello di saturazione: essendo svuotato solamente della sostanza liquida utilizzata nella fertirrigazione, l’invaso è stato riempito – dopo oltre trent’anni di utilizzazione – dal residuo più pesante.

Ulteriori problematiche si hanno nell’attività della fertirrigazione dei campi. Come già detto, il refluo liquido prodotto dal depuratore non risulta totalmente purificato e presenta dunque alte percentuali di nitrati. Lo smaltimento dei liquidi richiederebbe inoltre la messa a disposizione di almeno 1200 ettari di terreno: sembra però che fino ad oggi la quantità complessiva di terreni destinati alla fertirrigazione non abbia mai superato i 300 ettari. La combinazione dei due fattori comporta quindi che i nitrati presenti nei reflui siano “spalmati” con grande densità nelle poche aree a disposizione; tali sostanze penetrano poi nei terreni e raggiungono le falde acquifere sotterranee, inquinando inevitabilmente i pozzi della zona. La situazione idrica del territorio è ulteriormente aggravata dai livelli d’inquinamento segnalati per i fiumi locali (fiume Chiascio, fiume Topino, torrente Cagnola). Le problematiche descritte per il depuratore hanno fatto in modo che – nel corso degli anni – lo smaltimento dei liquami sia avvenuto per così dire in una maniera più “rapida” e poco ortodossa, vale a dire scaricando i reflui direttamente nei corsi d’acqua.

Infine, alcuni abitanti del posto hanno notato la presenza di autobotti provenienti da fuori regione: il sospetto è quello che alcuni speculatori abbiano portato in zona rifiuti pericolosi e - grazie all’accodiscendenza di alcuni allevatori – li abbiano calati nelle condotte degli allevamenti insieme ai liquami animali. Questo timore trova conferma dalle rilevazioni di una centralina dell’ARPA sul fiume Chiascio a Ponterosciano di Torgiano, la quale negli ultimi tempi ha segnalato più di 60 allarmi per scarichi inquinanti. Tutti questi problemi di inquinamento preoccupano seriamente la popolazione locale: alcuni dati recenti dell’ASL evidenziano come a Bettona ci sia un’incidenza di certe malattie tumorali molto più elevata rispetto a quella dei territori limitrofi.

Nella vertenza, si inseriscono poi anche questioni di carattere economico e sociale. Bettona, da zona agricola e di allevamento, si vorrebbe riconvertire a territorio a completa valenza turistica, cosa però difficile se non si risolvono i problemi determinati dalla presenza dei suini. Teniamo conto che l’allevamento dei maiali, seppure attività radicata da decenni nel territorio, fornisce oramai pochissimi posti di lavoro: in effetti le società suinicole della zona agiscono in modalità di soccida per le grandi aziende del Nord Italia, occupandosi solamente della fase dell’ingrasso degli animali. Poiché tutte le altre fasi dell’attività (pianificazione dei lavori, produzione, vendita) avvengono altrove, ne risulta per Bettona un guadagno estremamente esiguo sia in termini occupazionali che di ricchezza. In sintesi, i vantaggi economici degli allevamenti suini riguardano solamente uno stretto numero di soggetti.

Relativamente alle problematiche descritte, il sindaco Lamberto Marcantonini ha dichiarato a più riprese che la sua amministrazione si sta fortemente adoperando per ottenere il risanamento ambientale del territorio. A questo scopo, è stato formulato un rigido pacchetto di misure che prevede la riduzione del 35% del numero dei maiali, l’ammodernamento delle stalle e la diminuzione drastica delle quantità di azoto presenti nelle acque reflue utilizzate nella fertirrigazione (passando dagli attuali 1000 mg/l ai 150 mg/l). Il sincaco continua inoltre a sostenere la bontà della scelta di costruire la seconda laguna di stoccaggio, considerata come l’unica soluzione efficace per evitare che le eccedenze di acque reflue azotate prodotte dal depuratore finiscano nel limitrofo fiume Chiascio.

La posizione di Marcantonini non viene affatto condivisa dal Comitato dell’Ambiente di Bettona che rimprovera all’amministrazione l’incoerenza tra le indicazioni dichiarate e la volontà espressa di costruire la seconda laguna. Che senso ha infatti, chiedono i responsabili del Comitato, costruire un secondo invaso delle stesse dimensioni del primo se si intende diminuire drasticamente il numero di capi di suini nel territorio? Non sarebbe meglio procedere svuotando la prima laguna senza costruire un’ulteriore sito di stoccaggio? Secondo il Comitato, questa scelta dell’amministrazione comunale sarebbe il segnale che si vuole potenziare l’attività di produzione di energia del depuratore: in effetti, con la diminuzione del numero dei maiali, il progetto del secondo invaso avrebbe significato solo come spazio di stoccaggio per attività di natura diversa. Da anni a Bettona si parla di lavori di adeguamento dell’impianto e quest’ultimi potrebbero celare una vera e propria trasformazione del depuratore in una centrale a biomasse, alimentata non più solo dai liquami di origine animale ma da tutta una lunga sequela di materiali organici (oli vegetali, rifiuti urbani, etc.). Sebbene l’opinione pubblica tenda a considerarle come forma di energia pulita, le biomasse presentano molti aspetti di criticità sia nel reperimento del carburante organico necessario al processo di produzione dell’energia che nella combustione delle sostanze utilizzate. Il professor Montanari ad esempio, oltre a segnalare che le centrali a biomasse producono diossine e nano particelle, evidenzia come in molti casi questi tipi di impianto vengano direttamente convertiti in inceneritori dopo pochi mesi dalla loro attivazione. Il Comitato Ambiente di Bettona lamenta la mancanza di chiarezza sul futuro del depuratore e bolla come sospette alcune azioni dell’amministrazione comunale: la stessa autorizzazione di settembre alla costruzione della seconda laguna sarebbe avvenuta in modo tale dai baypassare tutto l’iter amministrativo necessario ed evitare la valutazione d’impatto ambientale ad un progetto già presentato più volte in passato e puntualmente bocciato dalle autorità competenti.

Il Comitato richiede inoltre uno studio di compatibilità ambientale che stabilisca quale sia il numero massimo di suini ospitabili nel territorio (bisogna tener conto che un maiale consuma e conseguentemente inquina come quattro persone circa. Con il numero attuale di suini dunque, Bettona – comune di 4000 abitanti e di 45 chilometri quadrati di superficie – sarebbe comparabile, per quanto riguarda lo smaltimento dei reflui fognari, a città come Firenze o Bologna). Ultima richiesta del Comitato è quella di ripensare ad una riconversione dell’attuale attività suinicola secondo il principio della filiera corta, in modo tale che lavorazione del maiale avvenga direttamente in loco secondo rigorosi criteri di qualità.


Sull'argomento, guarda nel blog anche l'intervista a Giorgio Foresti .


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domenica 17 agosto 2008

Intervista a Stefano Luchetti, Comitato No Tubo



Nell’ambito del programma che ci vede interessati alle vertenze territoriali umbre, insieme ad Alessandro ho fatto una capatina dalle parti di Pietralunga, uno dei comuni maggiormente coinvolti nel progetto di costruzione del metanodotto Foligno-Sestino. Qui ci aspettava Stefano Luchetti, responsabile del locale Comitato No Tubo, associazione che si batte per una rivisitazione radicale dell’attuale percorso dell’opera. Persona di grande gentilezza e disponibilità, Stefano ci ha scarrozzato in lungo e in largo per le colline e le vallate della zona, mostrandoci i punti in cui è previsto il passaggio delle conduttore. Alla fine del “tour”, abbiamo realizzato un’intervista in cui abbiamo approfondito alcune tematiche già trattate nel video caricato nel post del 14 agosto. In particolare, abbiamo posto diverse domande relativamente all’esperienza del Comitato, interessandoci alle sue rivendicazioni, alle sue forme di opposizione al progetto, alla partecipazione popolare alla vertenza. Con lui abbiamo parlato anche delle difficoltà che un comitato di cittadini può avere nel cercare il dialogo con le istituzioni o delle “presunte” motivazioni per cui la Snam vuole fare il gasdotto in territori che ─ per loro stessa conformazione ─ sembrano apparentemente sfavorevoli alla costruzione di una grande opera.

Oltre che per l’intervista e la cortesia sua e della sua famiglia, colgo l’occasione per ringraziare Stefano per averci fatto conoscere e visitare luoghi ancora oggi incontaminati, di una bellezza primordiale da togliere il fiato. Pensare che qualcuno abbia anche solo concepito di far passare un gasdotto per quei boschi e per quei declivi, mi lascia veramente una spiacevole sensazione di rabbia; e mi viene proprio difficile da credere che lo stato naturale dei luoghi possa essere ripristinato con tanta facilità, così come ha dichiarato la SNAM. Non posso dunque esimermi da fare il tifo per il Comitato No Tubo, nella speranza (chissà quanto illusoria) che qualche “capoccia” su in alto finalmente li ascolti e metta in pratica le loro rivendicazioni. Per chi volesse conoscere meglio le attività del comitato, potete visitare il loro sito internet: http://www.notubo.blogspot.com/ .


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giovedì 14 agosto 2008

Un tubo in mezzo all'Appennino: il metanodotto Foligno-Sestino



Testo del video
All’interno di una scelta energetica nazionale che punta fortemente sullo sfruttamento del gas naturale, la Snam Rete Gas, società che gestisce la rete italiana del metano, intende realizzare, per conto di ENEL e dell’inglese British Gas, un nuovo gasdotto lungo circa 700 km che collega Brindisi con il polo di Minerbio, in provincia di Bologna. L’Italia, grazie alla relativa vicinanza ai principali paesi esportatori di metano e alla presenza di una vasta rete formata già oggi da 31 mila km di tubazioni, si candida a diventare uno degli hub europei di approvvigionamento del gas, vale a dire luogo di rifermento in cui si incontrano le grandi infrastrutture di trasporto, produzione e stoccaggio del gas naturale. In questo contesto, la costruzione del metanodotto Brindisi-Minerbio risulta sicuramente strategica. Il polo brindisino è destinato a diventare il punto d’approdo in Italia di due importanti gasdotti che trasportano il metano dell’Est europeo, il TAP della ELG Svizzera e il South Stream della Gazprom-ENI. Sempre nei dintorni di Brindisi, è prevista la costruzione – per conto di British Gas - di un rigassificatore, una struttrura in grado cioè di riconvertire il gas dallo stato liquido (trasportabile anche via mare tramite nave) allo stato gassoso. I lavori per la costruzione dell’impianto sono tuttavia attualmente bloccati sia per motivazioni di carattere ambientale che per alcune vicende di corruzione che hanno coinvolto i politici locali. Il tracciato del metanodotto prevede poi il passaggio per Sulmona, in Abruzzo, dove è in corso di realizzazione una centrale di compressione, per terminare poi la sua corsa nella cittadina emiliana di Minerbio, dove già convergono altri metanodotti che trasportano il gas dall’Algeria e dalla Russia. La linea Brindisi-Minerbio sfrutta solamente in parte tubazioni già esistenti, mentre per il resto deve essere costruita da zero.

Tra i cinque tratti in progettazione, due riguardano direttamente l’Umbria. Il primo, che collega Sulmona con il comune di Foligno, tocca la nostra regione principalmente nel territorio della Val Nerina. Questo tratto è stato in passato oggetto di discussione, in quanto il tracciato originario andava ad intaccare alcune zone protette all’interno del Parco dei Monti Sibillini (in particolare le marcite di Norcia). Attualmente però il contenzioso sembra aver trovato la sua risoluzione: la proposta alternativa presentata dal Comitato per l’ Ambiente di Norcia, dal Comune di Norcia e dalla Regione Umbria è stata recepita dalla Snam e la nuova proposta di percorso dovrebbe risultare più sostenibile da un punto di vista ambientale. Il secondo tratto invece collega Foligno con Sestino (in provincia di Arezzo) ed è lungo circa 110 km, 85 dei quali in Umbria (oltre Foligno, che è attraversato nella zona della pianura di Colfiorito, sono coinvolti i comini di Nocera Umbra, Gualdo Tadino, Gubbio, Pietralunga e Città di Castello). Come riconosciuto dalla stessa Snam, questa parte rappresenta uno dei tratti più critici dell’intero progetto, in quanto si snoda in un territorio prevalentemente collinare e montagnoso di grande pregio naturalistico.

Nello studio di impatto ambientale non tecnico presentato sul metanodotto Foligno-Sestino, la Snam fornisce i seguenti dettagli relativamente alla costruzione dell’opera. La tubatura avrà un diametro di circa 1,2 m e sarà completamente interrata. Verranno costruiti 12 tratti in microtunnel (tutti a partire da Gubbio in poi) per un totale di circa 4,5 km di perforazione. Per quanto riguarda la realizzazione dei lavori, vengono previste 40 piazzole di stoccaggio dove depositare tutto il materiale necessario alla costruzione. La larghezza della fascia di lavoro sarà mediamente pari a 28 m, ridotto a 18 nelle zone caratterizzate dalla copertura boschiva. La Snam assicura che, una volta finiti i lavori, si attiverà per ripristinare completamente le condizioni preesistenti delle strade e dei boschi coinvolti. Nello stesso rapporto, la Snam dichiara, relativamente ai quattro aspetti analizzati (idrico, vegetazionale, sul paesaggio e sul suolo e sottosuolo), un grado di impatto ambientale che viene definito generalmente basso o trascurabile. Solo per alcuni tratti, l’impatto ambientale viene classificato come medio, mentre in un paio di casi viene dichiarato alto. La Snam tuttavia ritiene che la maggiorparte di questi inconvenienti siano rilevabili solo in corso d’opera e verranno meno una volta realizzata la costruzione del metanodotto.

Il metanodotto Foligno-Sestino viene fortemente contestato da numerose associazioni di cittadini formatesi sia in Umbria che nelle Marche, in primis il Comitato No Tubo. Queste associazioni si oppongono al passaggio dell’opera nei territori dell’Appennino umbro-marchigiano e, criticando le valutazioni della Snam, definiscono il progetto come un vero e proprio scempio alla natura dei luoghi. L’interramento delle tubazioni avverrà tramite uno scasso di tre metri di profondità per cinque metri di larghezza che sarà ben visibile nei crinali di montagna, nelle colline e nelle campagne attraversate. Alcuni dei punti su cui dovrebbe passare il gasdotto sono al momento completamente isolati e per raggiungerli sarà necessario costruire nuove strade, tagliando boschi ed estirpando prati. I lavori rischiano seriamente di compromettere l’integrità di tratti di territorio che non sono mai stati intaccati dalla mano dell’uomo e che dunque possono essere considerate tra le poche zone wildness rimaste in Europa fino ad oggi.

Preoccupa molto l’impatto idrico del progetto. Nella sola Umbria, il metanodotto interesserà ben 14 fiumi, oltre a 17 fossi. In alcuni casi l’attraversamento avverrà a più riprese; nel Torrente Saonda ad esempio le condutture verranno stese in sei punti diversi, nel Torrente Rasina in quattro. Si teme che l’opera possa comportare una riduzione sostanziale dell’apporto d’acqua dei fiumi, in una regione come quella dell’Umbria che negli ultimi anni ha dovuto affrontare diverse crisi idriche. Dubbi e perplessità vengono espressi dagli stessi uffici regionali che evidenziano la possibilità di modificazioni negative e permanenti ai corsi attraversati. Un ulteriore aspetto di criticità riguarda la conformazione dei suoli. La franosità e l’alto rischio sismico dei territori interessati pongono seri problemi di sicurezza per il gasdotto e l’ambiente circostante, visto la facile infiammabilità del fluido all’interno delle tubature.

In Umbria, l’attuale proposta di percorso prevede il passaggio del metanodotto in diverse zone soggette a vincolo ambientale. L’area interessata dal tracciato coincide con l’ambito d’azione del progetto APE (Appennino Parco d’Europa), il quale viene considerato tra i più importanti progetti avviati in Italia per la conservazione dell’ambiente. Inoltre l’Appennino Umbro-Marchigiano svolge, da un punto di vista faunistico, il ruolo di sorgente di riproduzione e la conservazione della fauna regionale umbra dipende in larga misura dal funzionamento di tale sorgente. Va detto che in questi territori vivono e si riproducono numerose specie protette, come il lupo, il gatto selvatico e diverse tipologie di uccelli. Il metanodotto attraverserebbe poi nella sola Umbria un Parco Regionale, quello di Colfiorito, e tre zone – le aree del Fiume Topino (tra Bagnara e Nocera Umbra), dei Boschi del Bacino di Gubbio e dei Boschi di Pietralunga – che hanno ottenuto la definizione di area SIC (Sito d’Importanza Comunitaria). Questo acronimo, definito dalla Comunità Europea nel 1992, classifica aree di grande rilevanza ambientale che vengono istituite per il mantenimento di habitat naturali e per la difesa di specie animali o vegetali particolarmente delicate. L’applicazione di un piano o di un progetto di qualsiasi natura all’interno di questi siti è soggetta a vincoli normativi più ristretti rispetto agli altri territori; in particolare, la direttiva europea che ha istituito le aree SIC stabilisce che la costruzione di un’opera ad alto impatto ambientale può avvenire in tali zone solo per motivi di rilevante interesse pubblico e in mancanza di soluzioni alternative. Da questo punto di vista, il Comitato No Tubo segnala come la Snam non abbia mai presentato piani alternativi al tracciato proposto, limitandosi solamente a fornire alcune giustificazioni sull’impossibilità di trovare altre soluzioni.

Infine, oltre alle ripercussioni ambientali, si temono anche le ricadute economiche che l’opera potrebbe avere. Il gasdotto va a deturpare zone naturali molto rinomate, su cui è presente attualmente una fiorente attività agrituristica. I beni immobiliari rischiano inoltre di essere enormemente svalutati, a danno dei proprietari locali. Sulla base di queste motivazioni, il Comitato richiede a tutte le istituzioni locali coivolte (Regioni Umbria e Marche, Province di Perugia e di Pesaro, sindaci dei comuni interessati) di attivarsi presso i Ministeri competenti e il Governo per predisporre un nuovo progetto con un percorso alternativo, che si snodi in territori già infrastrutturati (ad esempio lungo ferrovie, autostrade o altri metanodotti esistenti) e non lungo zone di notevole pregio ambientale.

Tuttavia questa richiesta non ha trovato fino ad oggi accoglimento. La Regione Umbria, nonostante il parere negativo di alcuni uffici tecnici regionali e il riconoscimento di molti aspetti di criticità, ha dato il suo assenso alla compatibilità ambientale del progetto con una determinazione dirigenziale del 7 luglio 2006. “Per il tracciato del tratto umbro del metanodotto Foligno-Sestino la Regione Umbria ha individiduato le soluzioni meno alterative per l'ambiente e, in ogni caso, ha imposto il ripristino totale dei luoghi interessati” ha dichiarato l’assessore regionale all’ambiente dell’Umbria Lamberto Bottini “La Regione Umbria ha imposto in ogni caso il ripristino totale dei luoghi, specificando tassativamente l'obbligo di non produrre impatti e alterazioni permanenti e irreversibili sul paesaggio e sulle componenti ecosistemiche coinvolte, con particolare riferimento al sito di interesse comunitario Boschi di Gubbio.”

Parere positivo alla compatibilità ambientale dell’opera è arrivato anche dalla Giunta Regionale delle Marche che si è espressa favorevolmente nel decreto dirigenziale del 25/07/2008 (andando peraltro contro i pronunciamenti della Provincia di Pesaro e dello stesso Consiglio Regionale). C’è comunque da precisare che, dato che la gestione degli elettrodotti ricade nella competenza dello Stato, il parere delle Regioni non è definitivo e l’ultima parola sulla Valutazione d’Impatto Ambientale spetta al Ministero dell’Ambiente, affiancato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali per gli aspetti archeologici-paesaggistici.


Sull'argomento, guarda nel blog anche l' intervista a Stefano Luchetti .


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martedì 5 agosto 2008

La processione degli hibakusha

63 anni fa il bombardamento su Hiroshima. Per non dimenticare mai la follia umana..
..quindi iniziò il calvario; degli spettri
sbucavano dalle rovine si avviavano
disorientati, come automi, e gonfi
che era impossibile distinguerli se maschi
o femmine con solo addosso ciondoli
di carne molle mescolata a sangue
e rigogliosa polla di escrementi.

Uno di quei fantocci ancora lo ricordo:
incontro mi veniva brancolando e nero
il viso che gli si scollava crudamente,
e con un solo braccio verso me proteso
che inorridito lo scansai fuggendo..
..quanti però dovettero venirne di lì a poco
se quando mi rinvenni (avevo perso i sensi)
non c’era un poveraccio più che agonizzasse,
ma una catasta informe di cadaveri fumanti
e tetri come sacchi d’immondizia..
Dr. Shuntaro Hida

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lunedì 4 agosto 2008

Intervista a Padre Raimondo Ottavio

Da Missione Oggi del 26 aprile 2008

Umbria Radio inBlu



Antonio Caterino Un cordiale saluto agli ascoltatori di Umbria Radio, Antonio Caterino in studio per questo nuovo appuntamento di Missione Oggi. Questa mattina siamo in collegamento telefonico con Padre Raimondo Ottavio, direttore della Editrice Missionaria Italia. Buongiorno Padre Raimondo, è un piacere averla collegata per telefono con Umbria Radio.

Padre Raimondo Ottavio Buongiorno a tutti coloro che ci ascoltano, buona giornata.

Antonio Caterino Oggi, con Padre Raimondo, volevamo parlarvi di Don Milani e della chiesa di Don Milani.

Padre Raimondo Ottavio E mi sembra un tema quanto mai attuale. Giorni fa leggevo una frase di un altro prete contemporaneo di Don Milani ─ Don Primo Mazzolari ─ una frase in cui questo uomo che ha vissuto nel Polesine scriveva: “ Il Cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Fare la pace è la sua vocazione. ” La nostra vocazione è fare pace. In un mondo diviso, in un mondo in cui ci sono tanti abissi e tante lontananze, il Cristiano è l’uomo della vicinanza. E sembra che questa frase Don Primo Mazzolari la abbia scritta apposta per definire la personalità di Don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana. Don Lorenzo Milani, profeta del rinnovamento. È il titolo di un nuovo libro della EMI. Lo ripeto, La Chiesa di Don Milani, profeta del rinnovamento. Molti di noi conosciamo Don Milani soprattutto come insegnante, come maestro. Ma prima di tutto Don Milani è uomo di fede. Un giorno ha scritto queste parole in una sua lettera, parlando di sé stesso (anche se scriveva al plurale): “Noi la Chiesa non la lasceremo mai, perché non possiamo vivere senza i suoi sacramenti, senza il suo insegnamento. Non potrei vivere nella Chiesa neanche un minuto se dovessi viverci di un atteggiamento difensivo o disperato. Io ci vivo e ci parlo e ci scrivo con la più assoluta libertà di parola, di pensiero, di metodo e di ogni altra cosa. Non ho alcuna fretta di portare i giovani alla Chiesa.” È fantastico quello che stiamo per leggere, come lo è altrettanto quello che abbiamo appena letto da questa lettera: “Non ho alcuna fretta di portare i giovani alla Chiesa, perché so che cascheranno da sé nelle sue braccia appena si saranno accorti di essere delle povere creaturine ignare del futuro e di tutte, piccole e sporche; creaturine buone solo a far porcherie, a vantarsi, a pensare a sé stesse.” È un linguaggio forse particolare, è il linguaggio di Don Lorenzo Milani che parlava pane al pane. E in questa citazione che sto per terminare, continua: “Quel giorno dove vuoi che si rivolgano questi giovani? al marxismo, al liberalismo, al protestantesimo, all’ateismo? Si rivolgeranno lì dove si assolvono i peccati e si promette – anzi si assicura – il perdono di Dio e la vita eterna. ” Ho voluto riportare questo lungo brano di una lettere di Don Milani scritta nel 1959 ad una signora di Milano, Francesca Inchino, per dare un piccolo saggio della ricchezza di questo libro, La Chiesa di Don Milani, profeta del rinnovamento. Due anni dopo, nel 1961, lo stesso Don Milani scriverà: “Di sbagli nella Chiesa ce ne sono, ma la Chiesa è madre; e se uno ha la madre brutta o che ha sbagliato, chi se ne frega? È sempre la madre.” Grazie amici di questi momento che mi avete concesso per condividere con voi la ricchezza di questo libro. Ma se mi permettete, sempre sul tema della pace (ricordando la frase di Don Mazzolari: il Cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Non basta essere in pace, bisogna essere di pace, costruire di pace), vorrei citare un altro libro della EMI, il titolo è I nomi della pace. E termina con una poesia molto bella che vi leggo volentieri:

Asia, Africa, Europa
non importa da dove tu venga
purché sia un luogo dove si coltivi la Pace.

Bianco, nero, giallo
non importa il tuo colore
purché il tuo colore sia dipinto di Pace.

Cristiano, ebreo, musulmano
non importa qual è la tua religione
purché preghi per la Pace.

Tamburo, tromba, corno
non importa qual è il tuo strumento
purché suoni musica di Pace.

Palma, acacia, baobab
non importa qual è il tuo albero
purché tu lo eregga a simbolo di Pace.

Vecchio, giovane, uomo, donna
chiunque tu sia
purché custodisca la Pace
e di pace ovunque tu possa infiorare
la madre terra in cui vivi.

Mi sembra molto bella. È un libro scritto soprattutto per i ragazzi, per gli adolescenti. Una bambina africana abbandona il suo villaggio e nella sua solitudine fa amicizia con un grande albero; e questo albero che ha le fronde molto alte ─ attraverso il vento ─ percepisce i sussurri di guerra e di pace che ci sono nel mondo e invita questa ragazza a diventare donna di pace. Ed è l’invito e l’augurio che io faccio a ciascuno di voi.

Antonio Caterino Padre Raimondo, la pace è un tema molto attuale. Io penso che, soprattutto in questi anni, l’umanità lentamente si stia abituando all’idea della guerra. Noi accendiamo la televisione e i telegiornali ci mostrano guerre dovunque, in Africa, in Asia; centinaia di guerre. Sfogliamo un giornale e continuiamo a vedere guerre dovunque. E poi alla fine, magari dopo cena, accendiamo la TV e decidiamo di guardare un film di guerra. Oppure al sabato pomeriggio, scegliamo al cinema di vedere un film di guerra. Non è che per caso ci stiamo abituando alla guerra e stiamo dimenticando la sua tragicità e la sua drammaticità.

Padre Raimondo Ottavio Credo di sì. Guarda, questa domanda è quanto mai opportuna perché tocca ciascuno di noi. Stiamo dentro ad una realtà che è una cultura della guerra, della violenza. Per me il vero problema non è il pericolo di abituarsi alla guerra. Il problema è di riuscire a togliere le radici di questa cultura, di questo bisogno di contrapposizione, di violenza e di guerra. E le radici che portano a questo atteggiamento, a mio modo di vedere, sono tre. Primo, la cultura della competitività. La competitività a cosa ci porta? All’affanno di cercare cose, a differenza della convivialità del vivere con l’altro. In questa ricerca continua e affannosa di cose, ecco che l’altro può diventare un disturbo. E allora viene eliminato. Quello che importa è non perdere le cose, non perdere i beni. Secondo idolo ─ possiamo chiamarlo così ─ che ci porta alla violenza e alla guerra è la cultura del profitto a tutti i costi; il profitto che ci fa dimenticare la gratuità e che ci fa dimenticare il dono. La ricerca del profitto porta ad emarginare e ad eliminare l’altro perché mi impedisce questo profitto, questo accumulare le cose. Terzo, la radice del possesso, del voler possedere. Abbiamo dimenticato che le cose non sono fatte per essere possedute ma per essere usate; ecco che allora si capisce il perché di un mondo dominato dalla competitività, dal profitto e dal possesso. C’è questa tendenza, a livello istituzionale come a livello individuale, di lottare, di scontrarsi con l’altro e di eliminare l’altro. La guerra può essere vinta nella misura in cui cresciamo nella capacità di vivere con l’altro, di scoprire la bellezza della gratuità e del dono, la bellezza della condivisione delle cose attraverso l’uso. Gandhi – e concludo – scriveva poco prima di morire questa frase: “ Chi può rubare ad un uomo che dorme sopra il sole? ” Ecco, io ho paura dell’altro, l’altro diventa un nemico nella misura in cui io non so dormire sotto il sole, ossia essere uomo libero; nella misura in cui cerco competitività, profitto e possesso. Come missionario – in questa trasmissione missionaria – dobbiamo ricordare che la vita o è vita per tutti o non lo è per nessuno; il futuro sarà futuro per tutto o non lo sarà per nessuno. E questo futuro passa solo attraverso la cultura della pace, dove le persone vengono prima delle cose. Grazie.



Di Padre Raimondo Ottavio, leggi anche la riflessione sullo stato dell'informazione.


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L' Orchestra di Piazza Vittorio



Siamo nel quartiere Esquilino di Roma, una vera e propria babele che sorge nella capitale e che ogni giorno mischia genti, lingue e culture di almeno sessanta etnie diverse. Qui vive Mauro, musicista ed artista con qualche rotella fuori posto. Non si spiegherebbe altrimenti il progetto folle e irrealizzabile che da qualche tempo si è messo in testa: costituire, nella multietnica borgata romana, un’orchestra formata da musicisti di tutto il mondo in cui mischiare sonorità, pensieri, sensibilità di persone provenienti da ogni angolo del globo. Per realizzare il suo sogno, ha tutti gli ingredienti necessari o quasi….neanche l’ombra di un soldo bucato in tasca, nessun posto fisso dove svolgere le prove e la diffidenza totale della gente del rione che, nelle mille lingue che si contorcono in quell’ambaradan, non può fare a meno di pensare all’unisono: “ Ahò, ma che vole’ questo? ” Ci sono però alcuni amici, matti come lui se non di più; c’è un documentarista, Agostino, che si è innamorato dell’ idea di Mauro e decide di seguirne il percorso filmandone gli eventi. La voce si diffonde nel quartiere e, seppur alla spicciolata, cominciano a presentarsi i primi musicisti: italiani perlopiù, ma anche qualche sudamericano e maghrebino. Si sa poi che la follia è una malattia pericolosa, che può contagiare le persone meno sospette: ed ecco così comparire all’improvviso un funzionario dell’assessorato alla cultura di Roma, una signora dal dolce accento francese, che è venuta a sapere del progetto dell’orchestra multietnica ed era proprio quello che stava cercando. Mauro e i suoi amici avranno un finanziamento e dovranno presentarsi con l’orchestra per un concerto che si terrà da lì a pochi mesi. " Riuscirete ad essere pronti per l’appuntamento? " Chiede la gentile madame. " Certo che sì ", non può che essere la sicura risposta di Mauro. Sono dettagli secondari la mancanza di musicisti, di una sede vera e propria in cui provare, il poco tempo a disposizione in cui armonizzare sonorità e strumenti di regioni del mondo così distanti tra di loro...

Ma la fortuna si sa, aiuta gli audaci. In Piazza Vittorio, vero e proprio centro del quartiere, esiste un vecchio cinema, il cinema-teatro Apollo; per anni e anni luogo d’incontro dove ammirare film leggendari, nel tempo è degradato a cinema a luci rosse. Lo volevano chiudere per trasformarlo in una sala bingo, il vecchio cinema Apollo; ma un gruppo di artisti del quartiere guidati da Agostino è riuscito a fermare lo scellerato progetto. Il teatro diventa così la sede dove l’orchestra di Mauro può svolgere le sue prove. Grazie ai soldi provenienti dal comune, Mauro può ora pagare i musicisti e l’orchestra aumenta così di volume: si aggiungono rom, indiani, senegalesi e la “banda” diventa così veramente multietnica. Le prove iniziano, tutto deve essere fatto velocemente, perché la scadenza si avvicina inesorabilmente. I problemi non mancano di certo, riuscire a ben incastrare tutti i pezzi di un intricato puzzle fatto da una ventina di musicisti così eterogenei non è certo facile. Nel gruppo ci sono professionisti ma anche componenti che hanno sempre suonato ad orecchio, senza aprire mai uno spartito in vita loro. E poi i testi delle canzoni…un cubano che deve cantare in hindi e viceversa, non è proprio la cosa più naturale! E in un batter di ciglio si arriva al giorno al concerto, con tutte le paure di non essere pronti e di fare brutta figura. Tutti sanno che potrebbe essere la prima e ultima volta che suonano insieme…

Come è andata a finire non ve lo dovrei svelare, perché il finale non si svela mai! Certo che forse vi lascerei un indizio rilevante dicendovi che la storia che vi ho raccontato non è frutto di fantasia ma parla di una realtà musicale veramente esistente. L’Orchestra di Piazza Vittorio partecipa oggi a centinaia di concerti in tutta Europa e le loro canzoni vengono apprezzate per le sonorità originali, l’allegria e l’energia che riescono a sprigionare. Gli autori del progetto, in alcune interviste, hanno rivendicato giustamente il valore artistico dell’orchestra, la bravura degli artisti che vi suonano, la qualità dei testi e dei motivi musicali. Da perfetto ignorante della musica, non mi metto certo a dissertare su questi aspetti, anche se poi provo mucho gusto ad ascoltare certe loro canzoni! Mi piace invece parlare del film in quanto rappresenta veramente un manifesto alla multietnicità, alla possibilità di un incontro positivo tra culture diverse nonostante tutte le differenze. L’orchestra diventa grande grazie alla presenza di tablisti indiani, di percussionisti africani, musicisti arabi e statunitensi, sudamericani ed europei…ciascuno di loro, portando il bagaglio della propria cultura d’appartenza, contribuisce ad un risultato finale unico, non più smembrabile nelle parti che lo hanno originato e che rappresenta, in un certo senso, la “vera musica” del mondo.

Il film mostra inoltre che forse questi “alieni” stranieri che invadono l’Italia sono invece persone normali, con i loro pregi, i loro difetti, i loro aspetti eccezionali e le loro debolezze. Che anche gli indiani fanno capricci per mettersi il casco in motorino perché altrimenti i capelli appena pettinati si sgualcirebbero subito; che anche un equadoregno può svalvolare per amore perché è stato appena mollato dalla ragazza; che anche un rom, come un qualsiasi italiano provvisto di senno, non si mette certo a suonare per un’orchestra sgangherata senza che prima qualcuno sganci pecunia. Il film inquadra i loro volti, seriosi o sorridenti, affaticati od entusiasti a seconda delle circostanze. Documenta le loro difficoltà a stare nell’Italia di oggi che spesso gli stranieri preferirebbe rimandarli a casa; dimenticando molto in fretta che tanti nostri connazionali hanno vissuto in passato situazioni analoghe.

L’Orchestra di Piazza Vittorio, di Agostino Ferrente. Durata 93’ , Lucky Red Distribuzione. www.orchestradipiazzavittorio.it



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domenica 3 agosto 2008

Brutte notizie da Vicenza

Ancora notizie da Vicenza, questa volta non positive. Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar del Veneto del 18 Giugno scorso e di fatto rende nuovamente possibile l'ampliamento della base americana al Dal Molin. Non ho letto il testo della sentenza ma - prendendo per buono l'articolo sottostante di Repubblica - il Consiglio sancisce un principio assai grave e preoccupante: i cittadini non possono decidere sul futuro dei territori in cui vivono....

da repubblica.it del 29/07/2008

Accolto il ricorso del Ministero. Bocciato il Tar Veneto che aveva dato ragione alla richiesta di sospensione del progetto
Dal Molin

"Base Usa di Vicenza può ripartire". Consiglio di Stato dice sì al governo

Il presidio No Dal Molin: "Continueremo a opporci". Riparte la mobilitazione del comitato. Il sindaco annuncia che la consultazione popolare sarà " la seconda domenica di ottobre".

ROMA
- La base militare americana di Vicenza potrà essere ampliata. Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero della Difesa contro l'ordinanza del Tar del Veneto, che il 18 giugno scorso aveva detto sì alla domanda di sospensione del progetto Dal Molin di ampliamento della base militare Usa della città veneta. Una sentenza, quella del Consiglio di Stato, che riapre il contenzioso e rimette in moto la protesta del comitato No Dal Molin, che già stasera scenderà in strada a manifestare.

Le motivazioni. "Il consenso prestato dal governo italiano all'ampliamento dell'insediamento militare americano all'interno dell'Aeroporto Dal Molin è un atto politico, come tale insindacabile dal giudice amministrativo". E' questa una delle ragioni per le quali la quarta sezione del Consiglio di Stato non condivide le valutazioni del Tribunale amministrativo sull'illegittimità dell'allargamento della base americana.

Ma ci sono altri due motivi per cui il Consiglio di Stato "boccia" il Tar, che invece aveva accolto il ricorso presentato nel settembre 2007 dal Codacons del Veneto e dall' Ecoistituto Alex Langer di Mestre. Primo, perché il via libera all'ampliamento della base di Vicenza non può dipendere dall'esito della consultazione della popolazione interessata e poi perché non risultano "riscontri concreti" sui rischi di danno ambientale indicati nella ordinanza del tribunale veneto.

Per quanto riguarda la consultazione popolare, che è stata uno dei punti fermi della protesta portata avanti dal comitato No Dal Molin, la nota di Palazzo Spada spiega che "non rientra nella procedura di autorizzazione ad un insediamento militare, di esclusiva competenza dello Stato". Il documento specifica inoltre che "tanto meno essa è prevista nella procedura risultante dal Memorandum del 1995; tale consultazione è stata soltanto ipotizzata nelle dichiarazioni del ministro della Difesa pro tempore in sede parlamentare".

Le reazioni
. Immediata la replica del presidio permanente che si oppone al raddoppio della base americana: "I cittadini di Vicenza continueranno nella loro opposizione alla base, vedremo se gli Usa si assumeranno la responsabilità di imporcela comunque", dice la leader del presidio Cinzia Bottene. Bottene, che è anche consigliera comunale, precisa che il comitato era "preparato ad una decisione del genere", che "non cambia la sostanza delle cose". Il comitato lancia un messaggio chiaro: "Da oggi si apre una settimana di mobilitazione. Dal 4 al 14 settembre organizzeremo il campeggio nazionale No Dal Molin: se i lavori saranno iniziati, li bloccheremo".

Soddisfatto, invece, il governatore del Veneto Giancarlo Galan: "Evviva il Consiglio di Stato e abbasso l'odioso fanatismo antiamericano". Secondo il commissario governativo alla base di Vicenza, Paolo Costa, il pronunciamento di oggi "certifica evidentemente la legittimità delle procedure seguite". Ma il Codacons non è d'accordo: "Ci sembra una decisione di 'ossequio', evidentemente ai desideri di Berlusconi e del ministro La Russa".

Il sindaco di Vicenza Achille Variati non vuole "commentare gli atti giudiziari", ma annuncia che la consultazione popolare ci sarà: "Per Vicenza non cambia nulla e i suoi cittadini si esprimeranno la seconda domenica di ottobre".

Anche per il Codacons non è detta l'ultima parola: "L'8 ottobre il Tar Veneto dovrà decidere nel merito sugli oltre 20 motivi di ricorso presentati e valutare concretamente i gravissimi rischi ambientali connessi ad un insediamento di oltre 2.500 nuove unità di militari che porterebbe all'utilizzo di tutta l'acqua delle falde acquifere della zona".

E' di nuovo protesta. Tornano a manifestare i membri del comitato No Dal Molin. Stasera circa 150 persone hanno sfilato in un corteo rumoroso, armati di pentole e fischietti, e, percorrendo viale Ferrarin, si sono radunati davanti all'ingresso dell'aeroporto militare americano. Lo slogan contro i giudici del Consiglio di Stato: "Ci hanno tolto la possibilità di esprimerci".


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sabato 2 agosto 2008

Padre Piero Gheddo sulla Cina e il Tibet

Da Missione Oggi del 31 maggio 2008

Umbria Radio inBlu





Antonio Caterino Un cordiale saluto agli ascoltatori di Umbria Radio, Antonio Caterino in studio per questo nuovo appuntamento di Missione Oggi. Questa mattina siamo in collegamento telefonico con Padre Piero Gheddo, un graditissimo ospite di Umbria Radio. Buongiorno Padre, benvenuto.

Padre Piero Gheddo Buongiorno, grazie.

Antonio Caterino Questa mattina, con Padre Piero Gheddo, volevo parlare della questione Cina e della questione Olimpiadi, legata anche all’affare Tibet. Allora, Padre Piero, iniziamo proprio da questo. In questo periodo si sta discutendo tanto se è doveroso per noi Occidentali boicottare le Olimpiadi, alla luce di tutto quello che è avvenuto e che forse continua ad avvenire attualmente in Tibet. Lei cosa ne pensa?

Padre Piero Gheddo Qualche tempo fa, pensavo che fosse opportuno boicottare le Olimpiadi. Oggi invece penso decisamente di no. Me ne sono convinto parlando con altre persone e studiando un po’ le situazioni: non dimentichiamo che anche le precedenti Olimpiadi sono state contestate per le violazioni dei diritti dell’uomo, in un modo o nell’altro. Io sono convinto che boicottare le Olimpiadi non è innanzitutto possibile, concretamente; e non è neanche opportuno, perché in fondo le Olimpiadi sono un messaggio di pace della comunità mondiale. Un’autorità politica una volta mi disse: “Abbiamo concesso le Olimpiadi alla Cina perché siamo convinti che le Olimpiadi sono uno strumento di fraternità, di libertà e di democrazia di tutti i popoli del mondo”. Quindi per la Cina, che sta facendo i primi passi timidi verso una possibile democrazia, le Olimpiadi sono una cosa meravigliosa. Il senso positivo delle Olimpiadi non va dimenticato. Però io aggiungo subito che il non boicottare in un senso concreto le Olimpiadi non vuol dire tacere e non vuol dire neanche non fare nulla.

Antonio Caterino Il paradosso è sempre questo. Decidiamo di assegnare i giochi alla Cina e nessuno protesta; le proteste arrivano adesso. Questo significa che prima di tutto vengono gli interessi economici (e la gente tace) e poi adesso, quando l’opinione pubblica si mobilita, si fa finta (tutto si gioca sempre sull’apparenza) di decidere che forse questi giochi andrebbero in qualche modo boicottati. Tutto sempre si gioca sempre sul filo dell’apparenza. Sempre rimanendo sulla questione Olimpiadi che certamente ─ come ha detto lei ─ alla fine potranno aiutare e giovare alla situazione cinese, io ne ho parlato con altri missionari, primi fra tutto Padre Ciro Biondi qualche mese fa; con padre Ciro mi ricordo stavamo parlando del fatto che la Cina durante le Olimpiadi volesse proibire l’ostentazione dei segni sacri che contraddistinguono le religioni e volesse addirittura proibire le messe nei vari quartieri, per esempio nel quartiere italiano per l’Italia…

Padre Piero Gheddo Ma vede, questi fatti concreti vanno contestati, alla Cina va fatta rispettare la libertà. Le Olimpiadi sono un momento di libertà, vinca il migliore. Le corse sono uguali per tutti, ci sono dei giudici che decidono e che fanno rispettare queste regole. Le Olimpiadi sono un momento di libertà per gli atleti, per tutti quelli che ci vanno, per le autorità, etc. etc. Non vale la pena boicottare le Olimpiadi in generale, cosa che non è possibile e neanche opportuna. Però i problemi concreti vanno affrontanti. E ioo dico questo: oggi le Olimpiadi sono un avvenimento veramente molto importante, fondamentale per la Cina. Le autorità cinese si sono giocate tutto su questo avvenimento. Noi abbiamo quattro o cinque missionari che vivono all’interno della Cina e che ci lavorano (nei problemi sociali, come interpreti, etc.). Ce n’erano alcuni che stavano ad Hong Kong e il governo li ha ammessi come lavoratori, come volontari e come interpreti. E tutti dicono che sono quattro-cinque anni che la Cina spende cifre incredibili, quasi impossibili, per far apparire bene le Olimpiadi. Questo è un avvenimento per cui la Cina ha una profonda sensibilità. Quindi, quando si viene a sapere che la Cina proibisce le messe, bisogna dare risalto! L’idea di boicottare le Olimpiadi può essere giusta, ma come le boicotti? Non le boicotti non mandando gli atleti; non glieli mandi tu, ma li mandano tutti gli altri. Non è neanche opportuno. Bisogna però impegnarsi fortemente ─ non dico solo le autorità sportive o politiche ─ ma impegnarsi anche noi come opinione pubblica e come mass-media, di parlare continuamente di queste violazioni dei diritti dell’uomo che la Cina fa nella Cina stessa, in Tibet e anche fuori dalla Cina; perché questo è il momento in cui tutto il mondo guarda alla Cina. È giusto che la Cina abbia la possibilità di fare la sua Olimpiade, è bene che la faccia; non risulti però che ─ oltre ad essere un paese ricco economicamente e in continua crescita ─ sia anche un paese democratico e affidabile. Non è affidabile, non è affidabile in tantissime cose.

Antonio Caterino Da lei che è un grande viaggiatore e soprattutto un grande osservatore, volevo sapere questo. Sulla stampa, è uscito in più di un giornale ─ almeno in Italia ─ che la Cina, dagli anni ’50 dopo l’invasione, aveva in qualche modo modernizzato il Tibet e gli aveva permesso di abbandonare quel regime feudale che da molti secoli si portava dietro. Tutti hanno ragionato su questo aspetto e hanno parlato di una Cina che ha contribuito a costruire il benessere del Tibet. Probabilmente c’è anche questo di vero, ma oltre questo c’è una realtà ben peggiore.

Padre Piero Gheddo Ma vede, la Cina che è molto più sviluppata del Tibet socialmente ed economicamente ─ su questo non c’è dubbio ─ ha portato in Tibet il regime cinese, che però è fatto di due aspetti. Un aspetto è quello economico: e da questo punto di vista il Tibet si è sviluppato. L’altro aspetto è la dittatura, il totalitarismo cinese. Qui si parla dell’occupazione di un paese che era libero, perché non dimentichiamo che quando Mao Tse Tung ha invaso il Tibet nel 1949 (appena conquistata l’autorità sulla Cina), il Tibet era un paese libero. È vero che nella storia cinese dei secoli precedenti, gli imperatori cinese avevano una specie di protettorato sul Tibet; ma era un paese libero. Ed è vero anche che era un sistema feudale; ma questo sistema feudale, composto dal Dalai Lama e da tutti i monaci dei monasteri, ha dovuto sottoporsi al sistema cinese che è di occupazione totale della cultura. Io sono stato parecchie volte in India e ho visto paesi che erano feudali cinquanta-sessanta anni fa; prenda il Bhutan per esempio, nel nord dell’India, oppure il Brunei, nel Borneo. Questi paesi si sviluppano se sono nella libertà; se sono nel totalitarismo come quello cinese, questi paesi non si sviluppano. In Tibet poi c’è un altro problema che è un problema culturale. Sappiamo benissimo che la popolazione del Tibet ha un’altra religione rispetto a quella cinese, sono due buddismi diversi. Il buddismo cinese è quello mahayana, come in Vietnam e in Corea del Nord. Il buddismo tibetano è quello tantrico. La spiegazione sarebbe lunga, ma sono religioni diverse, sono lingue diverse, sono popolazioni diverse. Questa cultura millenaria del Tibet, sta per essere distrutta; e questo non solo perché hanno incendiato monasteri, hanno incendiato scuole buddiste, etc. ma perché ormai il Tibet è invaso dalla popolazione cinese.

Antonio Caterino In Tibet, essendo un territorio completamente montuoso, ovviamente non cresce tutto. Mi sembra che i Tibetani andassero avanti coltivando l’orzo e che i Cinesi abbiano deciso di sradicare questa coltura e passare colture diversa dall’orzo. Dato che il clima e il territorio non sono idonei a qualsiasi tipo di coltura, questo ha creato grosse carestie che hanno determinato morti e morti in Tibet.

Padre Piero Gheddo Questo è un problema, non credo però che sia proprio così. Nel passato, non credo ci sia mai stata carestia. Il Tibet è immenso e con poca popolazione, quindi vivevano anche di poco. La carestia è venuta perché la Cina ha imposto al Tibet quello che è il sistema sociale cinese delle campagne. La terra è dello Stato, tutto va allo Stato e lo Stato ridistribuisce a tutti. Questo però è sbagliatissimo in un paese appunto feudale, che ha una mentalità e una cultura tradizionale. Ciò è stato fatto dai Cinesi anche per eliminare un po’ di Tibetani. Comunque attualmente ─ o meglio da molti anni ─ il Tibet è invaso dai contadini cinesi, a partire dalle zone più basse (l’altopiano tibetano è sui 5-6 mila metri! Però il Tibet parte dal basso, vicino allo Yunnan). Lì c’erano anche i missionari cattolici ─ fino all’occupazione cinese ─ che avevano le loro missioni e lì si coltivava l’orzo e anche altre colture. Da lì hanno incominciato ad entrare i contadini cinesi. Oggi gli studiosi (ma lo dicono anche i tibetani in esilio) calcolano che la popolazione tibetana ormai è minoritaria rispetto a quella cinese. Se riescono a mandare 6, 7, 8, 10 milioni di abitanti in Tibet (sono un miliardo e più figuriamoci!)…Loro vanno, gli danno terra, gli danno aiuti, si impiantano; e così i Tibetani sono sottomessi ai Cinesi.

Antonio Caterino Per concludere questa piacevole chiacchierata, un’ultima domanda. Mi chiedevo questo: i missionari in Tibet ce ne sono....

Padre Piero Gheddo No! Non ci sono più dagli anni ‘50. Gli ultimi missionari erano francescani italiani, stavano in Tibet verso il confine con lo Yunnan, dove tenevano un grande lebbrosario (io non sono stato lì, ma ho letto il racconto di uno questi padri. Anzi mi pare che i francescani stanno pubblicando il diario di uno dei loro ultimi missionari che è stato espulso dai Cinesi verso il 1955-1956. L’ultimo che davvero ha lasciato questo territorio). Non ci sono più, come in tutta la Cina, non ci sono più neanche padri missionari. Ci sono missionari come ho detto prima che però fanno altro; uno fa l’interprete in Cinese, uno insegna il Cinese, due sono in una casa di handicappati. Due volontari! Sono andati lì al servizio del governo cinese e vivono in mezzo al popolo, senza però fare apostolato normalmente.

Antonio Caterino Ha qualche libro da consigliarci in chiusura?

Padre Piero Gheddo Io consiglierei un libro del 2002, Davide e Golia, i Cattolici e la sfida della globalizzazione della San Paolo. L’ho scritto io con il giornalista Roberto Beretta di Avvenire. Qui si parla molto anche della Cina e della violazione dei diritti dell’uomo in Cina e in Tibet, ma anche da altre parti. Il libro però tratta specificatamente del rapporto tra il nostro mondo ricco, benestante e democratico e il mondo dei poveri (sia dalla parte della Cina come in Africa, in Asia e in America Latina). Il rapporto Nord-Sud tra i popoli viene alla ribalta specialmente con la globalizzazione, che pone tutti i popoli a contatto l’uno con l’altro. E c’è un abisso, un abisso spaventoso. Dobbiamo quindi prenderne coscienza e questo libro, Davide e Golia. I cattolici e la sfida della globalizzazione della San Paolo può aiutare a conoscere queste cose e a dare una lettura e una soluzione ai problemi.



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venerdì 1 agosto 2008

Nostradamus..?!

"...Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo"

Vittorio Alfieri (tratto da Della tirannide, 1777)

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