martedì 28 aprile 2009

"The fire next time", note per Sankara

Segnaliamo questa iniziativa (promossa dall'associazione "Il Colibrì") che ci terrà ad Umbertide domenica 3 maggio, presso il Teatro Riunitine alle ore 21, nell'ambito delle "Giornate regionali del Commercio Equo e Solidale". Lo spettacolo vede la partecipazione di Andrea Ughetto, Daniele Ughetto e Daniele Bertone.

Thomas Sankara, fra il 1983 e il 1987, tentò come Presidente “ribelle” del Burkina Faso un esperimento originale: costruire nel suo paese un conte¬sto equo e sostenibile, pacifico e solidale. “Cancellazione del debito e disarmo internazionale. Lotta non retorica contro l'imperialismo e i tanti razzismi. Non allineamento. Sovranità alimentare e indipendenza economica. Consumare quel che un paese produce, produrre quel che un paese consuma. Democrazia partecipata. Empowerment della donna. Protezione delle risorse naturali ed equa distribuzione. Recupero delle tradizioni migliori, critica delle vec¬chie abitudini inique. Alleanze fra i piccoli, contro i grossi stati e le grosse multinazionali. Nuovi modi di produrre e scambiare. Sobrietà come condizione per avere tutti qualcosa e nessuno trop¬po. Condivisione del lavoro manuale. Istruzione e sport per tutti, anche nei più remoti villaggi. Messa in discussione del potere da parte di chi lo esercita. Economia di pace.” “Sankara e gli altri della rivo¬luzione burkinabè l'avrebbero voluto; ma sbagliò, sbagliarono, alcune mosse e non andò a finire proprio così.” Mariella Correggia (nella prefazione al libro “Una foglia, una storia” – Ed. Dell’Arco) così sintetizza quel progetto ancora vivo per molti in Africa e altrove, a 22 anni dal suo assassinio.

’The fire next time’ è un'ora e un quarto di musica continua, inframmezzata da lettura di scritti di Thomas Sankara nei quali ripercorre la sua vicenda e la rivoluzione in Burkina Faso.

Esecutori e autori:

Andrea Ughetto (pianoforte, flauto traverso e voce recitante) - Laureato in Filosofia Teoretica con il prof. Gianni Vattimo, ha ottenuto una borsa di studio post-laurea in Inghilterra, su tematiche legate al colonialismo, multiculturalismo e migrazioni. Ha lavorato negli ultimi anni con diversi gruppi di rifugiati (Kosovo, Kurdistan, Somalia, Africa Occidentale) in un progetto di Teatro dell’Oppresso e di musica. Recentemente ritornato in Italia, dopo una permanenza di quasi dieci anni all’estero, all’attività accademica ha sempre associato un’intensa attività musicale, sia pedagogica sia di performance. Nel 2007 è uscito per l’etichetta indipendente NOW il suo primo disco, ’Blues, Sketches and Family Affairs’. Nello stesso anno ha tradotto e scritto la prefazione per ’Gangsta Rap’ romanzo del poeta giamaicano Benjamin Zephaniah uscito per le Edizioni ‘Goree’.

Daniele Ughetto (basso elettrico) - Laureato in Scienze Politiche è attualmente insegnante.

Daniele Bertone (batteria/percussioni) - Insegna percussioni in varie scuole ed è attualmente membro del gruppo del sassofonista Carlo Actis Dato.

Continua...

sabato 25 aprile 2009

Contro il ritorno al nucleare: intervista a Marco Bersani


Testo dell'intervista

A oltre vent’anni dalla tragedia di Chernobyl, il Governo Berlusconi ha stipulato un accordo con la Francia per riaprire le centrali nucleari in Italia. È opinione comune che il nucleare sia oggi meno pericoloso rispetto al passato e che sia una fonte d’energia meno inquinante rispetto agli idrocarburi come petrolio, carbone o gas. Quali sono le ragioni per cui lei si oppone a questa scelta e che la hanno portata a scrivere un libro contro il nucleare?
Intanto io credo che non è vero che sia opinione comune che il nucleare sia più sicuro oggi di allora e sia meno inquinante di altre fonti energetiche. Il nucleare viene riproposto oggi tra l’altro solo all’interno del nostro paese, quindi con un dibattito che ha caratteristiche quasi solo nazionali. E si tratta di un canale di apertura verso un nuovo modello energetico che è già stato bocciato in passato per ottime ragioni. Intanto non è vero che il nucleare è l’energia del futuro: la stessa Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dice che se oggi il contributo del nucleare alla produzione di energia elettrica è del 16%, diventerà del 13% entro il 2030 e questo per l’ovvio motivo che molte centrali nucleari oggi in funzione si esauriranno, perché hanno tempi di vita intorno ai 20-25 anni. Non è vero che il nucleare non contribuisce al riscaldamento globale, perché se è vero che il nucleare in funzione non emette emissioni, se guardiamo tutta la filiera produttiva, le centrali nucleari hanno bisogno di cemento, hanno bisogno di acciaio, hanno bisogno di zinconio: hanno bisogno cioè di materiali per la cui produzione servono petrolio e carbone, cioè emissioni di CO2. L’uranio, che è il materiale fissile su cui si basa la produzione di energia nucleare, è una fonte esauribile e tra l’altro, allo stato attuale della domanda, potrebbe esaurirsi tra il 2035 e il 2070. (e ovviamente queste date diminuirebbero a seconda dell’aumento della domanda). Stiamo ragionando di entrare dentro un percorso che comunque, tra qualche decina di anni, dovremmo ridiscutere perché la materia prima non esiste. Per quanto riguarda la sicurezza, intanto bisogna dire che le centrali nucleari già ordinariamente emettono radiazioni, cioè inquinano. Bisogna dire che l’energia nucleare ha il triste primato di 135 incidenti in 55 anni (parliamo di incidenti di media-grande intensità) e bisogna dire poi che il problema delle scorie non è mai stato risolto (questo è un problema gigantesco che consegniamo alle future generazioni).

La scelta del nucleare finirà poi probabilmente per togliere risorse ad altre fonti di energia come il solare o l’eolico. Qual è attualmente lo stato degli investimenti sulle energie rinnovabili in Italia?
In Italia è bassissimo ma mi interessa anche pubblicare un dato europeo. Ancora oggi, per quanto riguarda la ricerca a livello europeo, il 46% dei finanziamenti della ricerca vanno per il nucleare da fissione (cioè per l’energia nucleare così come oggi viene prodotta), il 12% va per il nucleare da fusione e solo l’11% va a finanziare ricerche su tutte le energie rinnovabili. In Italia, questo livello è ancora più basso. Cito solo l’ultimo accordo fatto dal Governo con l’Enel che prevede che, su 60 milioni di investimenti per l’energia nei prossimi tre anni, oltre 22 vadano per l’energia nucleare e via via tutte le altre energie; per quanto riguarda le energie rinnovabili, siamo sotto il 10%. Se pensiamo invece che la Spagna sta investendo almeno quattro volte tanto, si capisce che ci stiamo fermando e attardando su un’energia che è obsoleta e che non serve al futuro delle persone.

Come responsabile dell’associazione ATTAC, lei è stato tra i promotori di un’altra importante campagna per la difesa del bene pubblico, quella della ripubblicizzazione dell’acqua, che si propone di dichiarare l’acqua come un bene universale non commercializzabile. Tuttavia anche questa iniziativa sembra scontrarsi con l’orientamento generale delle istituzioni, sempre più orientate verso una scelta di privatizzazione dell’acqua. Ci può fare brevemente il punto della situazione?
Il punto situazione è che la legge di iniziativa popolare, che ha raccolto 406 mila firme, è stata presentata al Parlamento e attualmente è in discussione alla Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati. Naturalmente per quella strada non ci aspettiamo molto, a testimonianza di ciò ci sta il fatto che proprio ieri (23 aprile N.d.r.) si sono tenute le audizioni dei movimenti da parte della Commissione e erano presenti solo tre dei membri della Commissione. Però è anche vero che oggi la crisi economica dice anche che questa idea, che per vent’anni è passata, che il mercato da solo poteva autoregolarsi, comincia ad entrare in crisi. Faccio un esempio: ci sono moltissimi enti locali che cominciano a rivedere le politiche di privatizzazione dell’acqua e a centinaia hanno aderito alla nostra proposta di legge. Prossimamente in Sicilia, nascerà il Coordinamento Nazionale degli enti locali per la ripubblicizzazione dell’acqua. Quindi, se si mettono insieme gli enti locali, i cittadini che oramai hanno formato decine e decine di comitati in questo paese, stanno cominciando a nascere i circoli dei lavoratori per l’acqua pubblica (cioè gli operatori del servizio idrico che si schierano per la legge), noi diciamo che è vero che il vento privatizzatore continua ma la partita è ancora molto aperta: e dipende molto da quanto i cittadini scenderanno in campo.

Continua...

mercoledì 22 aprile 2009

La vecchia Signora del 48 ha un mancamento

Il 1948, con la pesante consapevolezza lasciatagli in eredità dalla seconda guerra mondiale, ha redatto la Carta dei Diritti Umani. Il 2009 la sta distruggendo. La seconda Conferenza mondiale contro il razzismo a Ginevra, ammutolita sotto i dictat di un’alleanza internazionale islamica, disertata dagli Stati Uniti (che temevano le veementi parole del presidente iraniano Ahmadinejad contro la discutibile politica di Israele), si riduce a una tragica parodia del ’48.

Il fatto che nelle Risoluzioni adottate dalla Conferenza del 2001 a Durban ci sia il divieto di blasfemia nei confronti dell’Islam, rende impossibile ogni critica nei confronti della politica degli Stati Islamici, paralizza ogni tipo di opposizione e legittima qualsiasi sfogo dell’estremismo musulmano. Come difendere i diritti delle donne, come proteggere il diritto all’espressione e la libertà individuale dei cittadini in un paese islamico, se qualsiasi critica alla shar’ia può essere messa a tacere dagli integralisti con l’accusa di blasfemia? Durban I ha fornito molti esempi del potere che questa risoluzione può dare a chi si incarica di farla rispettare (bastava infatti che il rappresentante del Pakistan alzasse il cartellino perchè il presidente della Conferenza intimasse il silenzio all’oratore “blasfemo” di turno).
I rappresentanti delle ONG, facendo relazione durante la Conferenza delle atrocità perseguite dall’integralismo islamico contro gli omosessuali, contro le donne e alcune minoranze etniche e religiose, sono stati zittiti dal blocco dei paesi islamici e filo-islamici.

La Conferenza di Ginevra si è svuotata dei rappresentanti dei Paesi Europei che hanno lasciato la poltrona non appena Ahmadinejad ha preso la parola. Nonostante alcune dichiarazioni condivisibili, quello che è successo a Ginevra è una strumentalizzazione dell’Islam, nonché della difficile situazione palestinese. Ahmadinejad infatti, cominciando il suo discorso con inopportune preghiere religiose, si rende paladino dell’Islam e della coraggiosa causa palestinese, ma lo fa soprattutto per raccogliere consensi nel mondo islamico in vista delle prossime elezioni iraniane.
Questo atteggiamento è un insulto all’intera umanità, perchè mentre i potenti di tutto il mondo (non importa a che religione appartengano) dettano silenziose leggi all’economia mondiale, i poveri si combattono l’un l’altro in nome della religione. I potenti lo sanno, e ne sorridono, perchè hanno trovato un “nuovo” modo di sottomettere il bene comune al loro piccolo, meschino bene individuale.

È un appello a tutti i credenti di tutte le religioni del mondo, la Carta dei Diritti Umani chiede giustizia, è stanca di essere continuamente violentata, di essere tanto sostenuta con le parole quanto infangata dai fatti. Come sostiene il coraggioso oppositore algerino Said Saadi, dal momento che si proclama l’uguaglianza di tutti gli uomini senza distinzione di razza, sesso, rango sociale, orientamento politico e religioso, non servono altre parole. Servono i fatti, il concreto impegno per far rispettare questo inalienabile diritto.
Le crociate hanno già macchiato di sangue la storia dell’umanità, dobbiamo assolutamente impedire che si ripetano sotto altri simboli e altri slogan. Si unisca quindi il cristiano al musulmano, sia solidale l’uomo con la donna, si avvicinino i popoli, sia l’immigrato accolto dal residente, poiché questo è l’unico modo per evitare il peggio…e per restituire dignità ai Diritti Umani.

Continua...

lunedì 20 aprile 2009

Modena City Ramblers a Foligno

I Modena City Ramblers presentano il nuovo loro album "Onda Libera", caratterizzato dall'impegno per la legalità e la lotta alle mafie. Il loro tour, che toccherà molte località italiane, avrà inizio sabato 25 aprile (ore 21) a Foligno, in piazza della Repubblica.


da www.liberainformazione.org

Arriva l’onda libera dei Modena City Ramblers!
di Lorenzo Frigerio

Presentato questa mattina presso la libreria FNAC, in centro a Milano, il nuovo album dei Modena City Ramblers dal titolo “Onda Libera” (etichetta Mescal e distribuito da Sony): lo storico gruppo musicale modenese lancia il suo nuovo lavoro unitamente al minitour che li vedrà impegnati da un capo all’altro della penisola italiana, con ben quattordici date concentrate nell’arco di quindici giorni. Il filo conduttore di questa carovana musicale sarà dato dall’impegno per la legalità e la lotta alle mafie, a partire dalla valorizzazione del contrasto delle cosche sul versante patrimoniale, grazie alla legge 109/96 che consente il riutilizzo sociale dei beni confiscati.

I MCR presenti al gran completo hanno presentato con orgoglio il loro ultimo lavoro, sottolineando anche la dimensione etica del loro impegno di musicisti e artisti: “nel nostro paese c’è bisogno di una vera e propria rifondazione culturale e noi, anche con questo nuovo album, vogliamo offrire il nostro contributo nel segno della legalità e della democrazia”. Un album che segna il raggiungimento della maggiore età per la band, fondata nel 1991 e da allora impegnata musicalmente e culturalmente sui palcoscenici italiani e stranieri, alla ricerca di musicalità e ritmi che servissero a trasmettere anche messaggi di impegno civile e personale.

L’album e il tour lanciati oggi a Milano nascono proprio dal positivo incontro culturale e umano del gruppo originario di Modena con l’esperienza di Libera. Oltre al titolo, all’interno il nuovo lavoro dei MCR presenta proprio una canzone dedicata all’impegno delle cooperative che lavorano sui terreni sottratti ai boss: “Libera Terra” è infatti il titolo del singolo che è stato presentato in una improvvisata versione unplugged, al termine della conferenza stampa. I Modena definiscono l’associazione di Don Ciotti come una “esperienza rivoluzionaria di libertà nella legalità”.

“Una occasione unica e straordinaria”: questo invece il commento di Don Luigi Ciotti, che nel suo intervento ha ringraziato i MCR per poi sottolineare come molto ci sia ancora da fare per rafforzare la legge che prevede l’utilizzo sociale, ricordando come siano circa 1.700 i beni gravati da ipoteche e procedimenti esecutivi che giacciono inutilizzati. Libera da tempo chiede l’istituzione di un’Agenzia unica per superare ritardi e diffondere buone pratiche. Il presidente di Libera si è augurato che il contributo artistico dei Modena City Ramblers serva a svegliare la coscienza di quanti credono di non doversi occupare della questione e – perché no? – anche degli stessi mafiosi, perché si ricredano sulle decisioni criminali che ogni giorno mettono in atto alla ricerca di maggiore potere e maggiore ricchezza.

È stata poi la volta del sociologo Nando dalla Chiesa, presente nella sua veste di presidente onorario di Libera, che per descrivere il tour dei Modena ha usato una curiosa espressione: “un fulmine di democrazia” perché in pochi e concentrati giorni servirà a dare una benevola scossa all’indifferente opinione pubblica, così messa di fronte alle proprie responsabilità. Un tour che significativamente, secondo il professor dalla Chiesa, unisce idealmente la Resistenza al nazifascismo alla odierna battaglia contro le mafie e per la legalità nel nostro paese.

Infatti la prima tappa prevista è quella del 25 aprile: a Foligno (PG) è in programma il concerto per la Resistenza dal titolo “LiberAzione”. In quella data verrà presentato anche il “Dossier Umbria” redatto dalla nostra Fondazione Libera Informazione che nei prossimi mesi si arricchirà di ulteriori approfondimenti e informazioni.

Si chiude il 9 maggio, a Cinisi (PA), in occasione del trentunesimo anniversario dell’omicidio di Peppino Impastato, militante politico e uomo di cultura, ucciso perché con la sua attività coraggiosa metteva in forte crisi il potere dei boss del suo paese, Tano Badalamenti in primis. In mezzo a questi due grandi appuntamenti, è prevista una serie di tappe che si terranno in gran parte su beni confiscati alle mafie.

I Modena City Ramblers hanno precistato che, se si esclude la prima e l’ultima tappa, si tratterà di una festa più che di veri e propri concerti, con la presenza di altri gruppi musicali ospiti, giocolieri, poeti, attori, e, inoltre, una degustazione dei prodotti delle cooperative “Libera Terra”.

Hanno assicurato la loro presenza in alcune delle tappe previste gli A67, Marco Paolini e Paolo Hendel, mentre il premio Nobel Dario Fo ha già fatto pervenire il proprio sostegno all’intera iniziativa. Per ogni data di quelle in calendario sono previsti contatti in tempo reale grazie al costante aggiornamento del sito www.onda.libera.it

Ha portato il suo saluto anche Walter Dondi di Fondazione Unipolis, da sempre attenta al percorso di Libera e delle sue cooperative e quindi naturale compagno di viaggio in questa nuova sfida che vede attraversare le diverse regioni italiane, per parlare di legalità e di lotta alle mafie, soprattutto ai più giovani che fruiscono del linguaggio universale della musica.

Grande attenzione, infatti, sarà data al coinvolgimento di giovani e studenti: una buona occasione per stare insieme, con una eccellente musica e un ottimo obiettivo: la promozione dell’impegno per la legalità democratica e la lotta alle mafie, a partire dalla presentazione degli straordinari risultati ottenuti in questi anni grazie al lavoro delle cooperative e dei tanti soggetti organizzati che si sono visti assegnare i beni sottratti alle cosche, con l’impegno di garantirne un riutilizzo di tipo sociale.

Particolare non da poco, che è d’obbligo sottolineare in questi tempi di crisi, il progetto non presenta fini commerciali: tutti gli artisti coinvolti intervengono perché motivati e non per un cachet o un rimborso.

Una buona notizia, insomma, questa scelta dei Modena di scendere al fianco di Libera in una battaglia per la democrazia e la civiltà che anche la musica può contribuire a far vincere.

Continua...

domenica 19 aprile 2009

Nucleare: se lo conosci lo eviti

Guarda sul blog l'intervista a Marco Bersani

Iniziativa del circolo culturale "primomaggio", con la presentazione del libro "Nucleare: se lo conosci lo eviti" (ed. Alegre) di Marco Bersani dirigente di ATTAC e del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua. L'incontro, alla presenza dell'autore e del prof. Giorgio Bolletta, si svolgerà venerdì 24 aprile (ore 21) presso la sala Consiliare del Comune di Bastia Umbra.


clicca sull'immagine per ingrandire


da http:/spettacoli.tiscali.it

"Il nucleare è il modello produttivo più costoso"
intervista a Marco Bersani, a cura di Emanuele Bigi

16 marzo 2009 - Sembra un eco-thriller o horror tanto gettonati dagli studios hollywoodiani, invece si tratta di realtà, o meglio di realtà italiana. A più di vent’anni dal referendum che ha sancito la fine del nucleare (era il 1987) in Italia ritorna la minaccia. Berlusconi ha recentemente firmato un accordo con la Francia di Sarkosy, a breve si sceglieranno le località dove verranno costruite le centrali “evolute” di terza generazione. Ma perché invece di guardare al futuro gli voltiamo le spalle? Perché il mondo occidentale parla di energie rinnovabili e noi ci riaffacciamo sul nucleare? A dare le risposte a queste e ad altre domande sarà Marco Bersani, socio fondatore di A.T.T.A.C. Italia, e autore del libro Nucleare: se lo conosci lo eviti (edizioni Alegre).

Invece di andare avanti torniamo indietro di vent’anni.
“Non solo, ma con le stesse motivazioni di vent’anni fa. Si sono dette una serie di bugie. Il nucleare non può essere l’energia del futuro, ha più di cinquant’anni e copre circa il 16% della produzione elettrica mondiale. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica stima che il contributo scenderà fino al 13%, per un motivo: le centrali hanno una durata limitata di 25 anni. Dunque da qui al 2015 bisognerebbe aprire 60 impianti nuovi e 192 entro il 2025, non accadrà mai anche perché entro il 2035 l’uranio sarà esaurito”.

Allora perché l’Italia si è imbarcata in questo avventura?
“Bisogna rispondere a una serie di lobby industriali che hanno investito molto intermini di ricerca, ora è necessario ammortizzare i costi”.

Quanto costa costruire un impianto?
"Il nucleare è il modello produttivo più costoso. Per dare un quadro generale, si stanno costruendo tre reattori di terza generazione, i cosiddetti EPR, due in Francia e uno in Finlandia. In Francia è stata bloccata nei mesi di maggio e ottobre per la violazione di una serie di norme di sicurezza, doveva essere attivato nel 2009 invece si dovrà aspettare il 2011 e i costi da 3,2 miliardi di euro sono passati a 4,5. In Finlandia non solo si è accumulato un ritardo di quasi tre anni e superato un costo di 5 miliardi di euro, ma i due costruttori si stanno facendo guerra in tribunale”.

E poi c’è il problema delle scorie.
“Nessuno al mondo ha risolto questo problema. Per dare un’idea della situazione: 1 grammo di plutonio perde la sua radioattività in 250 mila anni”.

Il ministro Scaiola dice che con il nucleare si ridurrà l’inquinamento e gli italiani pagheranno meno la bolletta.
"Il nucleare serve a produrre energia elettrica quindi non vengono ridotte le emissioni causate dal petrolio, se è vero che gli impianti non emettono CO2 è altrettanto vero che un KW prodotto attraverso tutta la filiera nucleare corrisponde a un KW prodotto attraverso il gas. Non lo dico io ma il Massaciusset Tecnology Institute. Quanto alla bolletta, noi italiani stiamo continuando a pagare la voce “Oneri nucleari” dovuto al mancato guadagno dell’Enel dopo il referendum dell’’87. finché l’Enel era dello Stato si poteva pure capire, ma oggi stiamo pagando degli azionisti privati e non si capisce perché”

Perché siglare un accordo con la Francia?
"La Francia ci vende energia a basso costo perché è in uno stato di sovrapproduzione. L’energia nucleare non è modulabile, cioè una centrale non può essere spenta e riaccesa come una lampadina, deve produrre in continuazione, ecco che il paese di Sarkosy, nucleare per eccellenza, sovraproduce".

Di fronte a questo ritorno del nucleare i cittadini si faranno sentire.“È legittimo parlare di nucleare anche a distanza di vent’anni, non è legittimo riportarlo sul territorio senza interpellare i cittadini".

Continua...

Alla Malacorte la tragedia è una farsa recitata con meschino disinteresse

di Isabella Rossi

Il fascio di luce, che cade sul volto reclinato all’indietro del re, fissa un’istantanea. E’ l’espressione pietrificata del duce seduto sul suo trono, al centro del palco. Alla sua sinistra il ministro, davanti ad una parata di giacche, simili ad uniformi militari, e qualche vestito di scena. Alla sua destra il cuoco pasticcione su cui piovono copiose gittate di farina, ultimi afflati di un benessere passato. Tutto intorno la notte che avvolge gli interni di un palazzo sradicato da ogni realtà. Nella stanza del potere si muovono attori apatici impegnati in bislacche rotazioni di travestimenti, copioni travisati e polverosi cerimoniali di corte. Intanto, fuori "il popolo ha fame e non c’è più niente da mangiare”. Si improvvisa un comizio. Il re e il ministro difendono la ragion di stato, il cuoco viene reclutato a rappresentare quelle dei sudditi affamati. I tre attori si scambiano le parti. Non importa chi sia cuoco o re. Sono tre e una solo e la tragedia è una farsa, recitata con meschino disinteresse. Lo stesso che priva i sudditi di qualsiasi voglia di riscatto. “Io faccio quello che me pare, come le foglie secche confido nel futuro” protesta un uomo livido di rabbia e indolenza nei toni autentici di un dialetto folignate deliziosamente feroce e vivo. Alla sua carica tribale si contrappone il micidiale meccanismo di astrazione ed estraniazione azionato dal potere. Un male, quello, capace di distruggere risorse e soffocare ogni impulso di vitalità. In sottofondo gli echi di un terremoto, di un vecchio aereo da guerra, di una catastrofe imminente e mai scampata.

La Compagnia ZoeTeatro, formata da Michele Bandini ed Emiliano Pergolesi, dopo Quartetto d’Ombre (Rosencrantz e Guildestern sono morti + Vi e Ve) e Metallo, segna con Malacorte, prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria e vincitore di Nuove Creatività, un’ulteriore tappa di un promettente percorso teatrale. Un brillante lavoro in divenire in cui, tuttavia, sembra delinearsi una costante: lo sforzo audace di dialogare con diverse realtà linguistiche, storiche, etniche integrandole in maniera lirica, a volte asimmetrica, senza mai livellare, lasciando intatta tutta la loro carica esplosiva.

Continua...

giovedì 16 aprile 2009

Lettera di Michele Santoro in difesa di Anno Zero

Con la pubblicazione della lettera di Michele Santoro al direttore generale della Rai Mauro Masi, voglio prendere posizione contro l'attacco a tutto campo, messo in atto dal centrodestra italiano con il silenzio-assenso del centrosinistra, per imbavagliare il sistema informativo del nostro paese. Non sempre ho condiviso l'approccio e i metodi di Santoro, tuttavia Anno Zero rimane una delle pochissime trasmissioni televisive ad offrire un'informazione non di regime, finalizzata all'intorpidimento dell'utente ascoltatore. Porgo la mia solidarietà anche a Vauro Senesi, la cui satira è stata la pietra scatenante il putiferio. Pur nel mio modesto parere, non ho rilevato nelle sue vignette una volgarità maggiore a quella mostrata da un' "autorevole" testata giornalistica, che nel bel mezzo dell'emergenza terremoto, non altro aveva da fare che promulgare i dati incredibili di un ascolto da capogiro. Eppur, da lor signori, non ho sentito in tal senso alcuna lezione di etica o moralità...

da www.annozero.rai.it

al direttore generale Rai Mauro Masi

Egregio Direttore,
mi riferisco alla Sua di oggi contenente rilievi sull’ultima puntata del programma Anno Zero. Respingo gli addebiti che mi vengono mossi in quanto sono certo di aver esercitato con i miei collaboratori la professione di giornalista con grande correttezza. Inoltre faccio presente che alla mia redazione non sono pervenute richieste di rettifica o annunci di iniziative legali da parte di alcuno. Le ricordo come la stessa Rai abbia recentemente riconosciuto che l’autonomia del giornalista non può essere menomata, nemmeno dall’editore. Riguardo ai rilievi sui singoli servizi ribadisco che l’equilibrio di una trasmissione deve essere valutato nel suo complesso, nel generale contesto dell’informazione offerta dal servizio pubblico e valutando nel merito se ciò che si descrive o si narra sia vero o falso. Le nostre critiche alla mancata pianificazione dei soccorsi trovano ampia conferma nei giornali di tutto il mondo. Lo stesso Enzo Boschi, presente in trasmissione, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, facente parte della Commissione Grandi rischi ed uno dei massimi esperti italiani in materia di eventi sismici e di Protezione Civile, ha più volte sottolineato: “Santoro ha ragione a fare questi rilievi”. Tutto ciò non sminuisce il comportamento straordinario dei soccorritori dopo che si è verificato il terremoto, comportamento che nessuno di noi ha mai messo in discussione e che siamo pronti a ribadire in tutte le circostanze. Mi lasci infine dire che la sua decisione di sospendere Vauro rappresenta una censura che produce una grave ferita per il nostro pubblico e per l’immagine della Rai. La invito a soprassedervi. Con i migliori saluti.


Michele Santoro

Continua...

giovedì 9 aprile 2009

Eroi moderni: Ken Saro-Wiwa


La vera prigione (di Ken Saro-Wiwa)
Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un'intera generazione
E' il poliziotto che corre all'impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L'inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E' questo
E' questo
E' questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.


In ricordo di Ken Saro-Wiwa
di Daniele Lentini, 8/11/2005

Sono passati ormai dieci anni da quando il drammaturgo ogoni, attivista ambientalista e candidato al premio Nobel per la pace, Ken Saro-Wiwa, fu ucciso (insieme ad altri otto attivisti) dall'allora governo militare della Nigeria. Nonostante tutto, il movimento nonviolento che egli contribuì a costruire in difesa dei diritti del proprio popolo e per opporsi alle compagnie petrolifere e ai generali al potere, continua ancora oggi la sua lunga lotta di resistenza.

Ken Saro-Wiwa e gli altri otto attivisti lottavano contro i danni ambientali provocati in Nigeria dalla Shell che dal 1958 estrae petrolio nel territorio del delta del fiume Niger.

Gli Ogoni sono un popolo di pescatori-agricoltori che hanno da sempre mantenuto un buon equilibrio con un ambiente estremamente delicato, costituito da un intreccio di corsi d’acqua a forte salinità data la vicinanza del litorale, in cui si sviluppano foreste di mangrovia. Il delicato ecosistema è stato distrutto dall’attività estrattiva, un inquinamento da crimine provocato da centinaia di perdite di greggio dai pozzi e dalla rete di condutture in superficie (tra il 1976 e il '91, nel delta del Niger, si sono contate ben 3mila perdite di greggio: una media di quattro ogni settimana, per un totale di 2,1 milioni di barili di petrolio dispersi nell’ambiente circostante), completamente arrugginite e usurate, (la logica richiederebbe per lo meno l’interramento dei tubi degli oleodotti, ma evidentemente tutto ciò potrebbe essere troppo dispendioso per le compagnie petrolifere) dalle fughe di gas (prodotto secondario dell’estrazione di petrolio) che viene lasciato bruciare così da illuminare sinistramente la notte nel mentre si liberano miasmi asfissianti: tutto ciò ha provocato la morte di tutte le specie ittiche della zona, di buona parte della fauna e l’inquinamento del suolo coltivabile, distruggendo il sistema produttivo alla base della sopravvivenza di questi popoli che non si vedono restituito il maltolto né sotto forma di risarcimento, né sotto forma di vantaggi indiretti: ci sono poche scuole, nessun ospedale, nessun acquedotto e neppure l'elettricità. La disoccupazione riguarda il 70% degli abitanti della zona.

Il governo nigeriano ha per decenni ignorato le proteste dei gruppi etnici minoritari. Ad un certo punto, vedendo che le loro legittime rivendicazioni non portavano a nulla, decisero di iniziare una lotta di resistenza arrecando danni alle proprietà petrolifere, promuovendo manifestazioni, provocando la chiusura di alcune installazioni, in alcuni casi arrivando anche al sequestro di lavoratori impiegati nelle varie compagnie. Queste reagirono duramente, chiedendo al governo di intervenire. Fu mandato l'esercito per reprimere le mobilitazioni popolari e per uccidere i manifestanti, bruciare i villaggi e deportare i loro abitanti nella foresta.

Nel 1990 fece la sua comparsa sulla scena politica Ken Saro-Wiwa, presidente di un'organizzazione per i diritti delle minoranze africane e fondatore del Movimento per la sopravvivenza della popolazione Ogoni (Mosop). Egli era fermamente convinto che esistessero forme costruttive ed efficaci di protesta contro il governo militare in carica e la compagnia Shell. Saro-Wiwa era uno strenuo difensore della nonviolenza attiva, aveva una buona esperienza nell'organizzare le mobilitazioni di massa, oltre che essere un formidabile conferenziere.

Con il sostegno di pochi altri membri della comunità Ogoni, fu capace di organizzare il suo popolo. Andò da una comunità all'altra rivolgendosi alle persone, ascoltando i loro bisogni e chiedendo che cosa avrebbero voluto fare. Così, sotto la leadership del Mosop, gli Ogoni cominciarono una campagna di resistenza. Prepararono una carta dei diritti, formulando poche ma chiare rivendicazioni: il riconoscimento della loro autonomia politica all'interno della federazione nigeriana; la fine di ogni tipo di emarginazione dal potere politico; le forme di riparazione da parte della Shell e dello stesso governo federale in ragione del degrado ambientale subito e della drastica distruzione delle loro principali fonti di vita; un sistema di ridistribuzione più equa delle entrate derivanti dall'estrazione e vendita del petrolio.

Il Mosop presentò questa carta al gen. Ibrahim Babangida, a quel tempo al potere. Questo alto ufficiale era conosciuto come un fine diplomatico, simpatico e furbo; infatti fu capace di dialogare con i rappresentanti degli Ogoni, senza però concedere nulla. Quando il Mosop prese atto che le discussioni avute col governo non avrebbero portato ad alcun risultato, decise di rivolgersi direttamente alla Shell, sottoponendole una serie di richieste e organizzando contro questa multinazionale parecchie dimostrazioni pacifiche. In occasione dell'anno dei popoli indigeni, promosso dalle Nazioni Unite, il Movimento guidato da Saro-Wiwa organizzò una marcia contro le politiche del governo e quelle della Shell, a cui parteciparono circa 300mila Ogoni. Non era cosa di poco conto vedere che, in una manifestazione di tale portata, non ci fosse stato alcun atto di violenza o di vandalismo.

Il Mosop arrivò persino a lanciare, con successo, un'azione di boicottaggio durante le presidenziali, sostenendo che la Costituzione nigeriana non tutelava i diritti degli Ogoni e quindi non era rappresentativa di questo popolo. Con l'andare del tempo, alcuni aderenti del Movimento cominciarono a interrogarsi sulla scelta nonviolenta del gruppo, in quanto, a loro parere, tale metodo non pareva molto efficace. Il governo, intanto, stava cercando di corrompere qualche suo membro, questo mentre Saro-Wiwa e altri dirigenti del Mosop finivano in carcere o erano agli arresti domiciliari. Vennero loro sequestrati anche i passaporti, impedendo così che lasciassero la Nigeria per conferenze o eventi internazionali a cui erano stati invitati.

Tuttavia, nonostante la forte opposizione del governo, i principali attivisti del Mosop continuarono nella loro attività nonviolenta. Lanciarono una campagna internazionale che conquistò anche il sostegno di importanti gruppi ambientalisti, come Greenpeace , o di Organizzazioni non governative (Ong) vicine a Amnesty International . Così il “caso Ogoni” fu preso in carico dalla Lega delle nazioni non rappresentate, una Ong con sede in Olanda. Nel 1993 nasceva dal Mosop una costola più militante: il Consiglio giovanile nazionale del popolo Ogoni (Nycop), che raggruppava uomini tra i 18 e i 40 anni. Quattro leader conservatori che erano stati corrotti dal governo per screditare il Movimento, facevano ora riferimento proprio al Nycop. Intanto Babangida era stato sostituito da un nuovo regime sanguinario: quello del gen. Sanni Abacha. Il petrolio era troppo importante per l'economia nigeriana per usare la diplomazia nei riguardi degli oppositori. Tutte le comunità del delta del Niger sul cui territorio erano stati scavati i pozzi, erano in attesa di vedere quale sarebbe stata la reazione del nuovo potere alle richieste degli Ogoni. Se fossero state soddisfatte, anche loro avrebbero presentato una carta dei diritti.

Il 21 maggio 1994, Saro-Wiwa doveva intervenire e prendere la parola durante una manifestazione locale, quando la polizia lo mise agli arresti domiciliari. La gente che intanto si era radunata, lo aspettava; la tensione era altissima. In quella occasione, i quattro capi conservatori furono uccisi dalla folla. Non è ancora chiaro chi furono i veri istigatori del delitto. Sta di fatto che pur non essendo presenti, Saro-Wiwa e altri militanti del Mosop furono arrestati “per aver incoraggiato la gente a compiere quell'omicidio”, così sostenne il governo. Il giorno seguente, senza che ci fosse alcun riscontro concreto, i nove accusati furono gettati in prigione, sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani e condannati alla pena di morte per impiccagione. Non ci fu per loro alcuna possibilità di ricorrere in appello. Il 10 novembre del 1995, tra la sorpresa e lo shock della comunità internazionale, furono giustiziati. La terra della comunità Ogoni fu invasa, i villaggi bruciati e fu fatta strage della popolazione. Molti si rifugiarono negli Stati vicini, come il Benin, dove trovarono ospitalità nei campi profughi. La terra degli Ogoni fu pattugliata giorno e notte dai soldati, furono erette delle barriere per ostacolare il libero movimento delle persone e per terrorizzare la gente rimasta. La lotta di questo popolo catturò l'interesse della comunità internazionale e portò a delle sanzioni severe contro la Nigeria che venne tra l'altro sospesa dal Commonwealth . Le stesse Nazioni Unite imposero delle sanzioni fino a quando in quel Paese non fu instaurato un governo democratico. Il ruolo che la Shell ebbe in tutta la vicenda e le esecuzioni che seguirono, portarono a una campagna internazionale di boicottaggio dei suoi prodotti.

Saro-Wiwa credeva fermamente nella lotta degli Ogoni, così come nella nonviolenza. Nella sua dichiarazione finale, davanti al tribunale militare che stava per emettere la sentenza capitale, egli disse, in quello che, per noi, oggi costituisce il suo testamento:

"Signor Presidente, tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale. Non siamo sotto processo solo io e i miei compagni. Qui è sotto processo la Shell. Ma questa compagnia non è oggi sul banco degli imputati. Verrà però certamente quel giorno e le lezioni che emergono da questo processo potranno essere usate come prove contro di essa, perché io vi dico senza alcun dubbio che la guerra che la compagnia ha scatenato contro l'ecosistema della regione del delta sarà prima o poi giudicata e che i crimini di questa guerra saranno debitamente puniti. Così come saranno puniti i crimini compiuti dalla compagnia nella guerra diretta contro il popolo Ogoni".

Continua...

lunedì 6 aprile 2009

CI HA SCOSSI TUTTI...

Ce lo ricordiamo tutti, il terremoto del 1997... ognuno ha dipinto l'evento con colori diversi, suggeriti dai propri ricordi e dalle proprie emozioni. Io per esempio ero una bambina, non ero spaventata dalle scosse sismiche e non mi rendevo conto della gravità della situazione. Ero solo un pò confusa e vagamente inquieta, ma tutto sommato contenta di condividere la vita in roulotte con la mia famiglia e i miei tre amici d'infanzia... questa volta però, nemmeno i bambini sono stati risparmiati dalla drammaticità della situazione. Molti sono rimasti vittime di questo spietato assassino sotterraneo, tutti gli altri si porteranno dentro le cicatrici di questa notte di distruzione. Un centinaio di morti, decine di dispersi, decine di migliaia di sfollati e innumerevoli edifici lesionati... dati che purtroppo sono in continuo mutamento, ai quali non si può ancora dare una dimensione precisa. Scrivo per testimoniare la mia solidarietà, e la solidarietà di tutti gli umbri, agli abruzzesi colpiti da questa nuova tragedia sismica, che sorpassa per numero di vittime e di sfollati quella nostrana del 97.
Continua...

domenica 5 aprile 2009

Rosaria Capocchione, la cronista della camorra

Non solo per la sua inchiesta dal titolo “L’oro della camorra” edita dalla Bur e di recente uscita, ma per i 30 anni di cronaca nera sulle orme dei Casalesi che Rosaria Capacchione vive ora sotto scorta. Davanti ad una gremita Sala dei Notari ha raccontato oggi con semplicità della sua professione in una terra "senza futuro".

Prima ancora che Saviano nascesse c’era già Rosaria, la cronista della camorra. L’unica ad osare in una terra dove il coraggio civile si paga a caro prezzo. La sua condanna a morte è stata annunciata dall’organizzazione criminale campana. Perché tanto accanimento nei suoi confronti? ha chiesto Bianca Berlinguer, nell’intervista svoltasi nel pomeriggio in un'affollatissima Sala dei Notari del Palazzo dei Priori di Perugia. “Una volta scrivevo soltanto io della camorra, si notava anche perché sono una donna. C’è da dire poi che io ho sempre fatto il bastian contrario, cambiavo i titoli alle veline se lo ritenevo opportuno. Quello che per me era frutto di semplice ragionamento qualcuno lo ha interpretato come sintomo della presenza di un informatore da dentro, di un doppiogiochista” spiega Rosaria, una donna alta, robusta, dallo sguardo franco.

In Campania ci sono regole del gioco per tutti. Un poliziotto non deve arrestare un camorrista con i figli in braccio. Una cronista può parlare dell’arresto, è normale, ma soltanto di quello. Invece Rosaria si è permessa di informare la cittadinanza del dissequestro dei beni di Schiavone. Era l’agosto di un lontano ’91. E non è bastato frapporre le ferie a quella notizia, al suo ritorno la redazione era in subbuglio. Dopo quell’articolo, infatti, i beni di “Sandokan” erano stati risequestrati.

Non ci pensa a cosa accadrà domani Rosaria. Le minacce di morte non l’aveva messe in contro, dice, “ma neanche il contrario”. La scorta l’ha ottenuta perché il suo nome era stata accostato a quello di altri due scortati, lo scrittore Saviano e il magistrato Raffaele Cantone. Tutti e tre rischiano la vita per la loro onestà e la dedizione al lavoro in una terra dove, secondo la giornalista, nell’imprenditoria ci sono più collusi che ricattati. Fare il socio della camorra sembra convenga. Anche in Umbria ci sarebbero numerosi imprenditori che usufruiscono di questa condizione, una via di mezzo tra la vittima e il socio in affari. Ma l’Umbria è vicina alla Campania. Il caso "eclatante", invece, è arrivato con Aldo Bazzini, l’imprenditore del nord condannato in primo grado. Lui dice di non aver mai saputo, ma è stato accertato che aveva stretto un accordo alla pari con i camorristi, riferisce Rosaria.

Ammette di aver avuto paura la cronista, ma poi le possibilità erano solo due: o si cede o ci si abitua a conviverci. Rosaria ha preferito continuare a fare il suo lavoro perché la sua terra, racconta, oggi non ha futuro. E'stato fatto l'errore di sottovalutare l’organizzazione criminale che tiene sotto la sua morsa una terra intera e la sua gente. Il paragone giusto è Corleone. Al momento, tuttavia, la politica e le istituzioni non affrontano la camorra, denuncia Rosaria, “basta che non si vedano i morti in terra”. E magari si fanno ronde per arrestare gli scippatori.

Ma la cosa peggiore è l’abitudine. In Campania si conoscono perfettamente gli imprenditori collusi. Basterebbe non comprare i loro prodotti. Una sorta di disobbedienza civile, anonima e sicura, la cui efficacia è fuori dubbio. Invece tanti continuano ad acquistare “merce contraffatta” o prodotti la cui provenienza è arcinota. Dopo la pensione vuole andarsene dall'Italia, la giornalista del Mattino, fino ad allora vuol continuare a fare il suo lavoro, come ha sempre fatto e mette in guardia: “se un giorno il mio lavoro dovesse essere quello del desk, io lascio. La cosa più bella è l’incontro con le persone. Se non lo posso più fare cambio lavoro.”

di Isabella Rossi


Continua...

sabato 4 aprile 2009

"Corno d'Africa Somalo", di Pablos Parigi



Leggi la poesia

Introduzione
La catastrofe umanitaria di un paese dimenticato, nella rappresentazione individuale di una madre che perde il proprio figlio. Pablos Parigi racconta la tragedia del popolo somalo, che dal 1991 sopporta le terribili ferite di una guerra civile senza fine. I media hanno rimosso gli stenti di una terra falcidiata da una lotta fratricida, in cui si fronteggiano nell’odio uomini dallo stesso sangue. A contendersi il potere, le truppe filogovernative sostenute da Etiopia e Stati Uniti, le fazioni mussulmane che compongono le Corti Islamiche e i signori della guerra che imperversano indisturbati nel paese. E come sempre in questi casi, è la popolazione civile a subire il peso disumanizzante della guerra. Attentati, esecuzioni sommarie, abbandoni forzati delle proprie abitazioni. Malattie, povertà estrema, fame. Un quadro cupo oramai fin troppo noto, da cui ogni conflitto nel pianeta sembra non poter trascendere. Dalla Somalia ogni anno, migliaia di profughi tentano una disperata fuga, imbarcandosi - attraverso il golfo di Aden - in zattere fatiscenti ed insicure. Salima aveva 19 anni quando scappò dalla sua Mogadiscio in fiamme. 19 anni appena, e una vita già segnata dal dolore. Un mortaio le portò via marito e primo figlio, lasciandola sola con un bimbo in grembo prossimo alla nascita. Cercò la salvezza verso nord, come tanti trovò spazio in una delle mille carrette del mare, che tutti i giorni salpano in vista delle coste yemenite. Il figlio ebbe in destino di venire al mondo nel momento peggiore, il suo pianto di infante si rivelò fatale. Udito dal trafficante di uomini che conduceva la nave, fu strappato in un istante dalle braccia della madre ancora esausta per il parto. E senza alcuna esitazione, gettato in mare...La storia di Salima è la storia di un intero popolo che muore ogni giorno nell’indifferenza generale. Pablos Parigi la riporta alla nostra anima, in versi delicati e commuoventi…

Corno d'Africa Somalo
Vivo da diciannove lunghi anni
Nella guerra, inferno della città
Mogadiscio, macerie e danni
Tra eserciti di differenti nazionalità.

Di giorno una lotta per la sopravvivenza
tra mortai e granate, maledette mitragliatrici
spari dagli scheletri di palazzi e violenza
esco per cercare del pane, mi nascondo ai nemici.

Amore, ce l’ho fatta, oggi mangeremo
Apro la porta…polvere dalla camera…
Dio, il tetto caduto ma ora dove andremo
Amore, mi hai lasciata, la vita una chimera

Salima diciannove anni nella guerra
Ora la sua famiglia è tra le macerie maciullata
Aggredita dalle Corti Islamiche, terra
Tormentata che nessuno governa, abbandonata.

Fuggo sola con il mio bambino in corpo
su oscure barche di trafficanti, Caronte
moderno drogato cervello dal gin distorto
“Taci! Pezzente!” Accoltellato e giù dal ponte.

Un giovane uomo voleva acqua per pietà
Non ha sentito ragioni quel trafficante
L’ha guardato e sulla testa…tla tla
Sangue schizzato tra la gente spaventata delirante.

Ecco il mare dolce mi addormenta
Il mio piccolo sente l’odore fino dentro
(Dio!) le contrazioni…una tormenta
arriva il neonato lo sento lo sento!



Piangi figlio per il mondo intorno
Vedi il mare azzurro…qual spettacolo
puoi sentire da un angolo del Corno
Mio bambino…troppo presto nato, piccolo

“Donna! Basta cosa succede la vicino?”
dal pianto l’ubriaco è spaventato, accecato
l’ira lo tormenta, e strappa il bambino
l’afferra come un pallone, nel mare calciato

Ahh…

Ancora una notte e un giorno intero
Ho viaggiato senza più la mia anima
La costa yemenita…non mi pare vero
Diciannove anni ora è sola Salima.

Il trafficante ammara quei clandestini
e corre verso un altro viaggio duro
con la coscienza nel gin, conduce i destini
di altri uomini nel golfo di Aden scuro.

Salima ora senza nessuno,
anni ventuno
Pensa a quel mare che il suo neonato
ha abbracciato.


Grazie a Fausto Biloslavo e Alixandra Fazzina… che se non avessero raccontato questa storia io non avrei potuto viverla e scrivere una poesia…poca cosa per denunciare le tremende atrocità commesse dall’uomo-danaro, per mano di un altro uomo senza coscienza.

Pablos Parigi


Continua...