domenica 13 luglio 2008

Per gli italiani è incubo precarietà. A Napoli si muore di lavoro a 17 anni

da Liberazione del 13/07/2008

Stefano Bocconetti

Hanno detto bugie. Tutti. O almeno tutti quelli che siedono in Parlamento. E su quelle hanno costruito strategie, alleanze, un governo. Con la più forte maggioranza della storia repubblicana. E ancora, su quelle bugie s'è costruita anche la cultura politica dell'opposizione parlamentare. In ogni caso, bugie. Dati falsi. Vediamoli, allora. Dunque, per più di un anno - diciamo da quando gli scricchiolii del governo Prodi sono diventate vere e proprie frane e s'è cominciato a parlare di elezioni anticipate - hanno raccontato che questo paese aveva un solo incubo: l'immigrazione. Che nel loro vocabolario significava criminalità diffusa, microcriminalità, questione rom, campi nomadi. Hanno scomodato anche qualche sociologo che un po' frettolosamente aveva spiegato che la sinistra - una «sinistra moderna» - non avrebbe dovuto sottovalutare la questione sicurezza. Considerata la priorità da tutti, compreso il blocco sociale che tradizionalmente ha sempre guardato a sinistra. Ecco, tutto questo era semplicemente falso. Una bugia. La verità, attraverso una lunga, complicata indagine-sondaggio condotta in tutti i centri sopra i 10 mila abitanti, la racconta ora il Censis. Ed è tutta un'altra storia: questa ci racconta che il primo, quasi unico problema degli italiani è il lavoro. E' il lavoro che non c'è, è il lavoro che anche quando c'è è precario. E' al nero. E' il lavoro che non risponde nè alla propria formazione, nè alla propria aspirazione. E' il lavoro senza diritti. Un'altra storia, insomma, che ci racconta di come la paura, la paura vera sia - per due persone su tre - quella di restare senza un impiego. O di restare precari a vita. La paura del migrante, quando c'è, viene dopo. Molto dopo.
Uno studio - che sarà alla base di un convegno a Roma del "World Social Summit", a settembre - ci regala un'altra fotografia di questo paese. Più lontana dai temi della campagna elettorale ma più vicina alla cronaca di tutti i giorni. Dove il lavoro che manca, soprattutto al Sud, costringe tanti ad accettare qualsiasi violazione pur di portare a casa qualche euro. Costringe tanti ad accettare lavori pericolosi, dove si muore. Quello studio fotografa un paese che assomiglia di più all'Italia. Che assomiglia di più a Napoli. Dove ieri un ragazzo di diciassette anni - un ragazzo di Scampia - è stato costretto a lavorare di sabato mattina, per montare impianti di aria condizionata, negli appartamenti di chi può permetterseli. Un ragazzo che non tornerà più a casa. All'improvviso ieri, verso mezzogiorno, è precipitato da una specie di impalcatura, dal quinto piano del palazzo. Un volo di venti metri, uno schianto. E' morto sul colpo. In una città soffocata dall'afa.
Questo accade in questo paese. E questo racconta lo studio del Censis. Un lungo elenco di numeri, dati, statistiche. E si viene così a scoprire che sessantasei persone, sessantasei famiglie su cento pensano che le vere emergenze siano quelle collegate al tema del lavoro.
Emergenza che significa tante cose, che si traduce in altri dati. Si viene così a sapere che un laureato su due - il 50% - accetta un lavoro dequalificato per il timore che persa un'occasione non se ne ripresenti una seconda. E insieme a questa paura c'è la denuncia. Su una situazione che più o meno tutti conoscono ma di cui troppo poco si parla: quella per cui un lavoratore su quattro oggi ha un impiego precario. O addirittura al «nero».
Di più. L'incubo del lavoro - che non c'è, o è stagionale - diventa la sola ossessione al Sud. L'85,9 % delle persone intervistate lo considera il primo problema. Il vero, unico problema. Percentuale che significativamente scende - ma solo di un po' - al centro, il 72,5 per cento, fino a diventare la preoccupazione «solo» del 40% nelle ricche aree del Nord-Est.
Scavando ulteriormente nei dati, nelle risposte, si scopre che ben l'11,9 per cento di chi dichiara di avere un'occupazione in realtà è legato da contratti a termine: interinali, stagionali, e via dicendo. Ci sono addirittura ancora tanti contratti di apprendistato. Cosa ancora più grave, un altro 12 % dice semplicemente di lavorare nel sommerso. In nero. Senza contributi, senza nulla. Messe insieme queste due categorie di precari, fanno un esercito di cinque milioni e 800mila lavoratori. Un occupato su quattro, insomma, non può dirsi sicuro sul proprio futuro. Un esercito in continua crescita: in appena quattro anni, i lavoratori precari sono aumentati dell'11 e tre per cento. Un esercito che continuerà a crescere. Dice ancora il Censis: «Le dimensioni del fenomeno appaiono in prospettiva destinate a svilupparsi ulteriormente, considerato che sono proprio i settori a maggiore spinta, servizi e terziario in primis, quelli in cui i fenomeni in questione appaiono più significativi». Saranno sempre di più, insomma, i senza sicurezza per il futuro.
Futuro, come sanno anche i sassi ormai, che non può garantire neanche un titolo di studio. Ed è questa forse la parte dell'indagine più nuova, che svela i dati meno conosciuti, meno prevedibili. Il Censis racconta infatti che un laureato su due fa un lavoro che richiede competenze molto, molto più basse di quelle acquisite all'università. Il 50% dei giovani laureati, insomma, è costretto ad accettare quella che si chiama «sottoccupazione». Lo fa, anche qui, per paura di restare senza nulla.
Questi sono i problemi degli italiani. Che stridono non solo con gli slogan della passata campagna elettorale - per curiosità: la questione immigrazione, nelle priorità degli intervistati, viene otto punti dietro il problema lavoro - ma anche con i dati ufficiali. Quelli che indicano una crescita, anche se impercettibile, del numero degli occupati. Nuovi posti forse ma, come si è visto, quasi esclusivamente a tempo, quasi esclusivamente lavori precari. E addirittura, nel mondo del precariato, crescono i contratti assolutamente senza alcuna garanzia, come quelli a «progetto». Che possono durare anche solo una settimana. Perché le cifre ci dicono che questa «categoria» - l'ultima dei precari in scala gerarchica - è aumentata del due e due per cento.
Questa è l'Italia. La politica italiana racconta, invece, un altro paese. Anche quando finge di accorgersi delle vere emergenze. Le ultime battute, infatti, non possono che essere per Veltroni. Da due mesi s'è occupato di Rete4, o delle leggi ad personam varate dal governo di destra. Ieri, improvvisamente ieri, in concomitanza con i dati del Censis, s'è accorto della questione sociale, dell'emergenza sociale in italia. L'ha fatto dentro uno strano discorso in cui, come sempre, ha messo insieme la questione sicurezza, lamentando gli scarsi fondi messi a disposizione delle forze di polizia, e il disagio sociale. Mettendo insieme il tema sicurezza e il disagio di pezzi di questo paese che non ce la fanno più ad arrivare neanche alla seconda settimana, che vanno al lavoro senza sapere se torneranno a casa. Che non possono progettare nulla perché non hanno un posto fisso.
Anche Veltroni sembra essersene alla fine accorto. Salvo poi riproporre l'intero armamentario del piddì: l'aumento dei salari attraverso gli straordinari detassati - cosa che la destra sta per varare -, la fine del contratto nazionale per legare gli incrementi alla produttività. Cioè soldi in più solo a chi lavora di più. Per finire con l'idea di aumentare di qualcosa la retribuzione dei precari. Pagati qualcosa di più, ma sempre precari. Formule che sono parte del problema, non la soluzione. No, la fotografia del Censis invoca qualcos'altro. Ma purtroppo quel «qualcos'altro» ancora non c'è.

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