La signora Frola o mente o è pazza. Il signor Ponza o mente o è pazzo. Qual’è la verità? Massimo Castri mette in scena ancora una volta la celebre commedia pirandelliana che nel 1980 gli valse il premio Ubu come miglior regista. Così è (se vi pare), la commedia manifesto che anticipa quella problematica esistenziale al centro della poetica e della filosofia dello scrittore, poeta e drammaturgo italiano: l’inconoscibilità del reale.
Nella messa in scena di Castri la ricerca della realtà oggettiva è ansiosa, convulsa, melodrammatica, grottesca. Ma esiste una realtà oggettiva? "Sì i giorni della settimana, i giorni dell'anno." Eppure la ricerca continua e la giovane compagnia teatrale riesce ad imprimere alla scena una grande energia. Una freschezza che contrasta volutamente con l’atmosfera stagnante e polverosa dei salotti di una borghesia decadente, avulsa dalla realtà e perennemente impegnata nel soddisfacimento delle proprie curiosità morbose.
I personaggi, incalzati dalla frenesia, che la brama del “sapere” gli impone, sembrano disegnati dalla matita di Georg Grosz. Entrano ed escono, come se fossero telecomandati. La loro è un’individualità aguzza e corale, quella di marionette che con gran ritmo calpestano, sbattono, chiudono e aprono porte, sempre controllate da un unico insensato desiderio: conoscere la verità.
E tanto più questa si allontana, per un perfetto gioco di rimandi simmetrici e inattaccabili, tanto maggiore è la febbre che spinge i frequentatori del buon salotto a sfogliare uno ad uno i veli dell’arcano. Alla supposta crudeltà del signor Ponza si oppone la possibilità del suo esatto contrario. Per la suocera il genero sta compiendo il più squisito atto di umanità: il mantenimento di un’illusione che le impedisce di crollare in mille pezzi. Tuttavia, lucido, intelligente e scaltro è l’argomentare di colei, che lungi dall’essere pazza, si professa autrice dello stesso salvifico gesto: mantenere viva, in accordo con la figlia, la finzione per il bene del genero.
Entrambi, suocera e genero, hanno ragione, entrambi torto. Ma la fascia nera che cinge il loro braccio significa la stessa cosa: lutto. Quale morte si stia piangendo è facilmente intuibile dalle parole della misteriosa donna che per ultima calca la scena: “Io sono colei che mi si crede e per me nessuna.” E’ la realtà oggettiva ad essere morta, la stessa che l’espressionismo, che inneggiava alla valorizzazione della realtà emotiva, dichiarò per sempre artisticamente superata.
Nella messa in scena di Castri la ricerca della realtà oggettiva è ansiosa, convulsa, melodrammatica, grottesca. Ma esiste una realtà oggettiva? "Sì i giorni della settimana, i giorni dell'anno." Eppure la ricerca continua e la giovane compagnia teatrale riesce ad imprimere alla scena una grande energia. Una freschezza che contrasta volutamente con l’atmosfera stagnante e polverosa dei salotti di una borghesia decadente, avulsa dalla realtà e perennemente impegnata nel soddisfacimento delle proprie curiosità morbose.
I personaggi, incalzati dalla frenesia, che la brama del “sapere” gli impone, sembrano disegnati dalla matita di Georg Grosz. Entrano ed escono, come se fossero telecomandati. La loro è un’individualità aguzza e corale, quella di marionette che con gran ritmo calpestano, sbattono, chiudono e aprono porte, sempre controllate da un unico insensato desiderio: conoscere la verità.
E tanto più questa si allontana, per un perfetto gioco di rimandi simmetrici e inattaccabili, tanto maggiore è la febbre che spinge i frequentatori del buon salotto a sfogliare uno ad uno i veli dell’arcano. Alla supposta crudeltà del signor Ponza si oppone la possibilità del suo esatto contrario. Per la suocera il genero sta compiendo il più squisito atto di umanità: il mantenimento di un’illusione che le impedisce di crollare in mille pezzi. Tuttavia, lucido, intelligente e scaltro è l’argomentare di colei, che lungi dall’essere pazza, si professa autrice dello stesso salvifico gesto: mantenere viva, in accordo con la figlia, la finzione per il bene del genero.
Entrambi, suocera e genero, hanno ragione, entrambi torto. Ma la fascia nera che cinge il loro braccio significa la stessa cosa: lutto. Quale morte si stia piangendo è facilmente intuibile dalle parole della misteriosa donna che per ultima calca la scena: “Io sono colei che mi si crede e per me nessuna.” E’ la realtà oggettiva ad essere morta, la stessa che l’espressionismo, che inneggiava alla valorizzazione della realtà emotiva, dichiarò per sempre artisticamente superata.
Isabella Rossi
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