domenica 1 febbraio 2009

L'instancabile e grottesca ricerca del reale

La signora Frola o mente o è pazza. Il signor Ponza o mente o è pazzo. Qual’è la verità? Massimo Castri mette in scena ancora una volta la celebre commedia pirandelliana che nel 1980 gli valse il premio Ubu come miglior regista. Così è (se vi pare), la commedia manifesto che anticipa quella problematica esistenziale al centro della poetica e della filosofia dello scrittore, poeta e drammaturgo italiano: l’inconoscibilità del reale.

Nella messa in scena di Castri la ricerca della realtà oggettiva è ansiosa, convulsa, melodrammatica, grottesca. Ma esiste una realtà oggettiva? "Sì i giorni della settimana, i giorni dell'anno." Eppure la ricerca continua e la giovane compagnia teatrale riesce ad imprimere alla scena una grande energia. Una freschezza che contrasta volutamente con l’atmosfera stagnante e polverosa dei salotti di una borghesia decadente, avulsa dalla realtà e perennemente impegnata nel soddisfacimento delle proprie curiosità morbose.

I personaggi, incalzati dalla frenesia, che la brama del “sapere” gli impone, sembrano disegnati dalla matita di Georg Grosz. Entrano ed escono, come se fossero telecomandati. La loro è un’individualità aguzza e corale, quella di marionette che con gran ritmo calpestano, sbattono, chiudono e aprono porte, sempre controllate da un unico insensato desiderio: conoscere la verità.

E tanto più questa si allontana, per un perfetto gioco di rimandi simmetrici e inattaccabili, tanto maggiore è la febbre che spinge i frequentatori del buon salotto a sfogliare uno ad uno i veli dell’arcano. Alla supposta crudeltà del signor Ponza si oppone la possibilità del suo esatto contrario. Per la suocera il genero sta compiendo il più squisito atto di umanità: il mantenimento di un’illusione che le impedisce di crollare in mille pezzi. Tuttavia, lucido, intelligente e scaltro è l’argomentare di colei, che lungi dall’essere pazza, si professa autrice dello stesso salvifico gesto: mantenere viva, in accordo con la figlia, la finzione per il bene del genero.

Entrambi, suocera e genero, hanno ragione, entrambi torto. Ma la fascia nera che cinge il loro braccio significa la stessa cosa: lutto. Quale morte si stia piangendo è facilmente intuibile dalle parole della misteriosa donna che per ultima calca la scena: “Io sono colei che mi si crede e per me nessuna.” E’ la realtà oggettiva ad essere morta, la stessa che l’espressionismo, che inneggiava alla valorizzazione della realtà emotiva, dichiarò per sempre artisticamente superata.

Isabella Rossi

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