giovedì 9 aprile 2009

Eroi moderni: Ken Saro-Wiwa


La vera prigione (di Ken Saro-Wiwa)
Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un'intera generazione
E' il poliziotto che corre all'impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L'inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E' questo
E' questo
E' questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.


In ricordo di Ken Saro-Wiwa
di Daniele Lentini, 8/11/2005

Sono passati ormai dieci anni da quando il drammaturgo ogoni, attivista ambientalista e candidato al premio Nobel per la pace, Ken Saro-Wiwa, fu ucciso (insieme ad altri otto attivisti) dall'allora governo militare della Nigeria. Nonostante tutto, il movimento nonviolento che egli contribuì a costruire in difesa dei diritti del proprio popolo e per opporsi alle compagnie petrolifere e ai generali al potere, continua ancora oggi la sua lunga lotta di resistenza.

Ken Saro-Wiwa e gli altri otto attivisti lottavano contro i danni ambientali provocati in Nigeria dalla Shell che dal 1958 estrae petrolio nel territorio del delta del fiume Niger.

Gli Ogoni sono un popolo di pescatori-agricoltori che hanno da sempre mantenuto un buon equilibrio con un ambiente estremamente delicato, costituito da un intreccio di corsi d’acqua a forte salinità data la vicinanza del litorale, in cui si sviluppano foreste di mangrovia. Il delicato ecosistema è stato distrutto dall’attività estrattiva, un inquinamento da crimine provocato da centinaia di perdite di greggio dai pozzi e dalla rete di condutture in superficie (tra il 1976 e il '91, nel delta del Niger, si sono contate ben 3mila perdite di greggio: una media di quattro ogni settimana, per un totale di 2,1 milioni di barili di petrolio dispersi nell’ambiente circostante), completamente arrugginite e usurate, (la logica richiederebbe per lo meno l’interramento dei tubi degli oleodotti, ma evidentemente tutto ciò potrebbe essere troppo dispendioso per le compagnie petrolifere) dalle fughe di gas (prodotto secondario dell’estrazione di petrolio) che viene lasciato bruciare così da illuminare sinistramente la notte nel mentre si liberano miasmi asfissianti: tutto ciò ha provocato la morte di tutte le specie ittiche della zona, di buona parte della fauna e l’inquinamento del suolo coltivabile, distruggendo il sistema produttivo alla base della sopravvivenza di questi popoli che non si vedono restituito il maltolto né sotto forma di risarcimento, né sotto forma di vantaggi indiretti: ci sono poche scuole, nessun ospedale, nessun acquedotto e neppure l'elettricità. La disoccupazione riguarda il 70% degli abitanti della zona.

Il governo nigeriano ha per decenni ignorato le proteste dei gruppi etnici minoritari. Ad un certo punto, vedendo che le loro legittime rivendicazioni non portavano a nulla, decisero di iniziare una lotta di resistenza arrecando danni alle proprietà petrolifere, promuovendo manifestazioni, provocando la chiusura di alcune installazioni, in alcuni casi arrivando anche al sequestro di lavoratori impiegati nelle varie compagnie. Queste reagirono duramente, chiedendo al governo di intervenire. Fu mandato l'esercito per reprimere le mobilitazioni popolari e per uccidere i manifestanti, bruciare i villaggi e deportare i loro abitanti nella foresta.

Nel 1990 fece la sua comparsa sulla scena politica Ken Saro-Wiwa, presidente di un'organizzazione per i diritti delle minoranze africane e fondatore del Movimento per la sopravvivenza della popolazione Ogoni (Mosop). Egli era fermamente convinto che esistessero forme costruttive ed efficaci di protesta contro il governo militare in carica e la compagnia Shell. Saro-Wiwa era uno strenuo difensore della nonviolenza attiva, aveva una buona esperienza nell'organizzare le mobilitazioni di massa, oltre che essere un formidabile conferenziere.

Con il sostegno di pochi altri membri della comunità Ogoni, fu capace di organizzare il suo popolo. Andò da una comunità all'altra rivolgendosi alle persone, ascoltando i loro bisogni e chiedendo che cosa avrebbero voluto fare. Così, sotto la leadership del Mosop, gli Ogoni cominciarono una campagna di resistenza. Prepararono una carta dei diritti, formulando poche ma chiare rivendicazioni: il riconoscimento della loro autonomia politica all'interno della federazione nigeriana; la fine di ogni tipo di emarginazione dal potere politico; le forme di riparazione da parte della Shell e dello stesso governo federale in ragione del degrado ambientale subito e della drastica distruzione delle loro principali fonti di vita; un sistema di ridistribuzione più equa delle entrate derivanti dall'estrazione e vendita del petrolio.

Il Mosop presentò questa carta al gen. Ibrahim Babangida, a quel tempo al potere. Questo alto ufficiale era conosciuto come un fine diplomatico, simpatico e furbo; infatti fu capace di dialogare con i rappresentanti degli Ogoni, senza però concedere nulla. Quando il Mosop prese atto che le discussioni avute col governo non avrebbero portato ad alcun risultato, decise di rivolgersi direttamente alla Shell, sottoponendole una serie di richieste e organizzando contro questa multinazionale parecchie dimostrazioni pacifiche. In occasione dell'anno dei popoli indigeni, promosso dalle Nazioni Unite, il Movimento guidato da Saro-Wiwa organizzò una marcia contro le politiche del governo e quelle della Shell, a cui parteciparono circa 300mila Ogoni. Non era cosa di poco conto vedere che, in una manifestazione di tale portata, non ci fosse stato alcun atto di violenza o di vandalismo.

Il Mosop arrivò persino a lanciare, con successo, un'azione di boicottaggio durante le presidenziali, sostenendo che la Costituzione nigeriana non tutelava i diritti degli Ogoni e quindi non era rappresentativa di questo popolo. Con l'andare del tempo, alcuni aderenti del Movimento cominciarono a interrogarsi sulla scelta nonviolenta del gruppo, in quanto, a loro parere, tale metodo non pareva molto efficace. Il governo, intanto, stava cercando di corrompere qualche suo membro, questo mentre Saro-Wiwa e altri dirigenti del Mosop finivano in carcere o erano agli arresti domiciliari. Vennero loro sequestrati anche i passaporti, impedendo così che lasciassero la Nigeria per conferenze o eventi internazionali a cui erano stati invitati.

Tuttavia, nonostante la forte opposizione del governo, i principali attivisti del Mosop continuarono nella loro attività nonviolenta. Lanciarono una campagna internazionale che conquistò anche il sostegno di importanti gruppi ambientalisti, come Greenpeace , o di Organizzazioni non governative (Ong) vicine a Amnesty International . Così il “caso Ogoni” fu preso in carico dalla Lega delle nazioni non rappresentate, una Ong con sede in Olanda. Nel 1993 nasceva dal Mosop una costola più militante: il Consiglio giovanile nazionale del popolo Ogoni (Nycop), che raggruppava uomini tra i 18 e i 40 anni. Quattro leader conservatori che erano stati corrotti dal governo per screditare il Movimento, facevano ora riferimento proprio al Nycop. Intanto Babangida era stato sostituito da un nuovo regime sanguinario: quello del gen. Sanni Abacha. Il petrolio era troppo importante per l'economia nigeriana per usare la diplomazia nei riguardi degli oppositori. Tutte le comunità del delta del Niger sul cui territorio erano stati scavati i pozzi, erano in attesa di vedere quale sarebbe stata la reazione del nuovo potere alle richieste degli Ogoni. Se fossero state soddisfatte, anche loro avrebbero presentato una carta dei diritti.

Il 21 maggio 1994, Saro-Wiwa doveva intervenire e prendere la parola durante una manifestazione locale, quando la polizia lo mise agli arresti domiciliari. La gente che intanto si era radunata, lo aspettava; la tensione era altissima. In quella occasione, i quattro capi conservatori furono uccisi dalla folla. Non è ancora chiaro chi furono i veri istigatori del delitto. Sta di fatto che pur non essendo presenti, Saro-Wiwa e altri militanti del Mosop furono arrestati “per aver incoraggiato la gente a compiere quell'omicidio”, così sostenne il governo. Il giorno seguente, senza che ci fosse alcun riscontro concreto, i nove accusati furono gettati in prigione, sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani e condannati alla pena di morte per impiccagione. Non ci fu per loro alcuna possibilità di ricorrere in appello. Il 10 novembre del 1995, tra la sorpresa e lo shock della comunità internazionale, furono giustiziati. La terra della comunità Ogoni fu invasa, i villaggi bruciati e fu fatta strage della popolazione. Molti si rifugiarono negli Stati vicini, come il Benin, dove trovarono ospitalità nei campi profughi. La terra degli Ogoni fu pattugliata giorno e notte dai soldati, furono erette delle barriere per ostacolare il libero movimento delle persone e per terrorizzare la gente rimasta. La lotta di questo popolo catturò l'interesse della comunità internazionale e portò a delle sanzioni severe contro la Nigeria che venne tra l'altro sospesa dal Commonwealth . Le stesse Nazioni Unite imposero delle sanzioni fino a quando in quel Paese non fu instaurato un governo democratico. Il ruolo che la Shell ebbe in tutta la vicenda e le esecuzioni che seguirono, portarono a una campagna internazionale di boicottaggio dei suoi prodotti.

Saro-Wiwa credeva fermamente nella lotta degli Ogoni, così come nella nonviolenza. Nella sua dichiarazione finale, davanti al tribunale militare che stava per emettere la sentenza capitale, egli disse, in quello che, per noi, oggi costituisce il suo testamento:

"Signor Presidente, tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale. Non siamo sotto processo solo io e i miei compagni. Qui è sotto processo la Shell. Ma questa compagnia non è oggi sul banco degli imputati. Verrà però certamente quel giorno e le lezioni che emergono da questo processo potranno essere usate come prove contro di essa, perché io vi dico senza alcun dubbio che la guerra che la compagnia ha scatenato contro l'ecosistema della regione del delta sarà prima o poi giudicata e che i crimini di questa guerra saranno debitamente puniti. Così come saranno puniti i crimini compiuti dalla compagnia nella guerra diretta contro il popolo Ogoni".

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