
I numeri della violenza in Umbria
Secondo l’Istat (dati aggiornati al 2006) in Umbria il 28,6 per cento delle donne di età compresa tra i 16 e 70 anni ha subito nel corso della propria vita violenza fisica o sessuale. Tra il 2003 e il 2008 il servizio Telefono Donna del Centro Pari Opportunità della Regione ha accolto 1544 richieste di sostegno, di cui il 67,8 per cento legato a violenza e maltrattamento, sempre nello stesso periodo il Centro Pari Opportunità ha tenuto 2861 colloqui di accoglienza per l’uscita dalla violenza. L’analisi dei dati realizzata dal Centro per il periodo 2003-2007 ci dice che l’87,6 per cento delle violenze è avvenuto nell’ambito della famiglia.
Resistere, meglio ancora: "tigna!"
Cifre allarmanti che a volte generano scetticismo. Ma chi sta sul campo sa bene che si tratta solo della punta dell’iceberg. I numeri riguardanti le violenze non denunciate rappresentano ancora il dato più eclatante in Umbria e in Italia. Ora la parola d’ordine, ha sottolineato Maria Rita Lorenzetti, è solo una: “resistere”. Che si traduce ancora meglio con “tigna”, ha chiosato la presidente, termine dialettale che esprime al meglio il concetto di “resistenza attiva e combattiva”.
Mai più violenze, Mille Azioni e Interventi Per Impedire Ulteriori violenze
E le donne, dell’associazionismo umbro e delle organizzazioni informali, infatti, non si sono arrese. E’ anche grazie a loro che le istituzioni umbre hanno riconosciuto la grave rilevanza di tale fenomeno entro i confini regionali e deciso di rinforzare le barricate contro la violenza domestica. Con Mai più violenze, Mille Azioni e Interventi Per Impedire Ulteriori violenze, un progetto partito dalla Regione Umbria con l’appoggio di Damiano Stufara, assessore regionale alle Politiche Sociali, l’Umbria fa un primo concreto passo avanti nel contrasto a tale fenomeno. Il progetto regionale che ha guadagnato il terzo posto su 17 prevede un finanziamento complessivo di 232mila euro, di cui 150mila (quota massima finanziabile) provenienti dal Ministero e la restante parte dalla Regione, dalle Asl, dai Comuni e dalla Provincia di Perugia. Il suo aspetto più caratterizzante è l’obbiettivo di formare “una rete delle reti” fra soggetti istituzionali, associazionismo e organizzazioni informali per capitalizzare tutte le risorse in campo e aumentare la specializzazione degli operatori, in maggioranza operatrici.
Umbria, terrra di destinazione della tratta
“Mai più violenze” rappresenta un buon inizio, ma il resto del lavoro è ancora da fare. Antonella Duchini, Sostituto Procuratore della Repubblica Direzione Distrettuale Antimafia, è un osservatore “privilegiato” della realtà locale e ricorda che il territorio dell’Umbria è anche il luogo di destinazione finale della tratta di donne provenienti dall’ex blocco sovietico e dall’Africa. Qui ci sono organizzazioni che procurano ingressi e che “smistano” le schiave nei locali notturni. Tuttavia un comun denominatore fra quelle donne, spesso schiave per necessità di un lavoro, e le donne vittime di violenza domestica c’è. In entrambi i casi accettano violenza e coercizione come una prassi normale perché sono sottoposte ad una sudditanza economica.
Madri ed economicamente dipendenti le vittime più frequenti
Se la dipendenza economica in Italia è per una donna ancora motivo di rinuncia a far valere i propri diritti nel lavoro come in famiglia, l’essere madre è in assoluto la causa prima del protrarsi delle dinamiche che la vedono vittima di maltrattamenti domestici. La paura di vedersi sottrarre i propri figli è tale da costringere le donne a subire ad oltranza. E' per questo che “la prima forma di resistenza”, secondo Antonella Duchini, “è l’indipendenza economica. Occorre un posto dove le donne possano andarsene portando via i propri figli”. Al convegno sono interventute anche Beatrice Lilli, che ha letto un brano dal suo libro-testimonianza “Rose Rosse: 17 anni di violenza domestica” e Barbara Spinelli, autrice del libro “Femminicidio”.
di Isabella Rossi
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