Sensibilizzare e prevenire la violenza alle donne, che ha radici culturali in Umbria come in Italia, è importantissimo, ma del tutto insufficiente di fronte ad una scioccante realtà: i maltrattatori se la cavano con pene irrisorie e tornano a colpire.
Cosa vuol dire maltrattamento? L'articolo 572 del codice di procedura penale fa un riferimento, quanto meno vago a tale reato producendo di fatto una non definizione. Può signficare commettere atti di violenza fisica, morale, mentale, economica. Nella stragrande maggioranza dei casi, ha dichiarato Antonella Duchini, Sostituto Procuratore della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia, "la donna è indotta a subire, sminuendo la violenza subita, per mancanza di indipendenza economica".
Al convegno tenutosi ieri per la presentazione di "Mai più violenze" il progetto regionale che ha ottenuto un finanziamento ministeriale piazzandosi al terzo posto su 17 partecipanti, queste parole sono cadute su un terreno fertile. Molte delle donne, provenienti da associazioni o organizzazioni informali, si scontrano quotidianamente con questa amara verità: la denuncia della violenza in famiglia è un atto di estremo coraggio per una donna, spesso compiuto quando è troppo tardi. Ma perchè è così difficile denunciare il maltrattante? Per far sì che la violenza domestica "sommersa" emerga è fondamentale capire i motivi di questa reticenza.
E proprio la prospettiva di un magistrato può dare notevole contributo alla comprensione del fenomeno. L’incertezza delle pene e la lunghezza dei tempi della giustizia a fronte di una convivenza forzata con il maltrattante possono essere, purtroppo, un valido motivo di reticenza a sporgere denuncia. I magistrati, d’altro canto, sono oberati di lavoro, ha spiegato il Sostituto Procuratore. 4000-5000 procedimenti all'anno gravano sulle loro spalle. E la precedenza va ai processi con detenuti e quelli che riguardano le grandi operazioni: droga, corruzione, tratta. E il maltrattamento in famiglia scivola giù in fondo alla lunga lista dei crimini, benché la sua diffusione ne giustificherebbe posizioni di grande rilievo. Poi c’è la questione delle pene irrisorie. Una pena di 6 mesi può significare una pena a 4 mesi, per patteggiamento o rito abbreviato. Sospensione condizionale, semilibertà, semidetenzione, affidamento ai servizi sociali per pene inferiori ai 4 anni ricorrono spesso in questi casi.
Di fatto il maltrattatore non teme l’azione giudiziaria ed è per questo che continua a delinquere. Per non parlare delle condanne ad un anno per stalking. Il persecutore con ogni probabilità non vedrà il cielo a strisce, ma sarà a piede libero in men che non si dica. Proprio per questo reato, a fronte dell’ insufficienza delle pene, c’è la difficoltà a produrre prove sufficienti. Stati d’ansia e paura generati nelle vittime non sono sempre oggettivamente ravvisabili. E sempre per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia, ricorda Antonella Duchini, fondamentali sono le intercettazioni ambientali. Affrontare il processo con la sola dichiarazione della donna, infatti, è molto rischioso. Occorrono testimonianze, referti medici, prove che rendano oggettivo ciò che si consuma nell’intimità delle quattro mura domestiche. E i maltrattatori sono come killer seriali, la loro è una violenza ciclica che aumenta ed esplode quando realizzano l’inadeguatezza dell’azione giudiziaria.
Cosa vuol dire maltrattamento? L'articolo 572 del codice di procedura penale fa un riferimento, quanto meno vago a tale reato producendo di fatto una non definizione. Può signficare commettere atti di violenza fisica, morale, mentale, economica. Nella stragrande maggioranza dei casi, ha dichiarato Antonella Duchini, Sostituto Procuratore della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia, "la donna è indotta a subire, sminuendo la violenza subita, per mancanza di indipendenza economica".
Al convegno tenutosi ieri per la presentazione di "Mai più violenze" il progetto regionale che ha ottenuto un finanziamento ministeriale piazzandosi al terzo posto su 17 partecipanti, queste parole sono cadute su un terreno fertile. Molte delle donne, provenienti da associazioni o organizzazioni informali, si scontrano quotidianamente con questa amara verità: la denuncia della violenza in famiglia è un atto di estremo coraggio per una donna, spesso compiuto quando è troppo tardi. Ma perchè è così difficile denunciare il maltrattante? Per far sì che la violenza domestica "sommersa" emerga è fondamentale capire i motivi di questa reticenza.
E proprio la prospettiva di un magistrato può dare notevole contributo alla comprensione del fenomeno. L’incertezza delle pene e la lunghezza dei tempi della giustizia a fronte di una convivenza forzata con il maltrattante possono essere, purtroppo, un valido motivo di reticenza a sporgere denuncia. I magistrati, d’altro canto, sono oberati di lavoro, ha spiegato il Sostituto Procuratore. 4000-5000 procedimenti all'anno gravano sulle loro spalle. E la precedenza va ai processi con detenuti e quelli che riguardano le grandi operazioni: droga, corruzione, tratta. E il maltrattamento in famiglia scivola giù in fondo alla lunga lista dei crimini, benché la sua diffusione ne giustificherebbe posizioni di grande rilievo. Poi c’è la questione delle pene irrisorie. Una pena di 6 mesi può significare una pena a 4 mesi, per patteggiamento o rito abbreviato. Sospensione condizionale, semilibertà, semidetenzione, affidamento ai servizi sociali per pene inferiori ai 4 anni ricorrono spesso in questi casi.
Di fatto il maltrattatore non teme l’azione giudiziaria ed è per questo che continua a delinquere. Per non parlare delle condanne ad un anno per stalking. Il persecutore con ogni probabilità non vedrà il cielo a strisce, ma sarà a piede libero in men che non si dica. Proprio per questo reato, a fronte dell’ insufficienza delle pene, c’è la difficoltà a produrre prove sufficienti. Stati d’ansia e paura generati nelle vittime non sono sempre oggettivamente ravvisabili. E sempre per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia, ricorda Antonella Duchini, fondamentali sono le intercettazioni ambientali. Affrontare il processo con la sola dichiarazione della donna, infatti, è molto rischioso. Occorrono testimonianze, referti medici, prove che rendano oggettivo ciò che si consuma nell’intimità delle quattro mura domestiche. E i maltrattatori sono come killer seriali, la loro è una violenza ciclica che aumenta ed esplode quando realizzano l’inadeguatezza dell’azione giudiziaria.
di Isabella Rossi
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