venerdì 9 gennaio 2009

La vertenza di Gualdo Cattaneo: centrale a carbone o modello di sviluppo Sagrantino?



Intervista completa a Enrico Cerquiglini e Raul Mantini
Comitato per l'Ambiente di Gualdo Cattaneo

Partiamo innanzitutto da alcune informazioni generali sulla centrale a carbone Pietro Vannucci: da quando opera, quanti lavoratori impiega, se è una centrale di piccole o di grandi dimensioni, quale bacino serve.
E.C.
La centrale nasce negli anni ’50 e fino al 1988-89 ha funzionato ad olio pesante. Successivamente c’è stata una riconversione a carbone, che la popolazione ha cercato di ostacolare in tutti i modi, raccogliendo circa 2000 firme. Ci fu però una completa sordità da parte delle forze politiche a questa azione popolare dal basso e così passò questa trasformazione a carbone. Già allora presentava l’anomalia di essere l’unica centrale, tra le 13 a carbone in Italia, ad essere situata, anziché sul mare, all’interno del territorio. Negli anni, ci sono stati poi diversi tentativi che i comitati che sono sorti hanno dovuto letteralmente fronteggiare. Si è partiti con un tentativo di costruire una discarica sul retro della centrale (non è mai capito se fosse per le ceneri, perché poi sull’Enel non è stata mai diretta. Le iniziative venivano dai privati, non direttamente dall’Enel). Dopo c’è stato il tentativo di bruciare CdR (Combustibile da Rifiuti n.d.r.), poi polveri animali. Ogni tanto veniva fuori una qualche innovazione di questo tipo che fortunatamente i comitati sono riusciti a stoppare. L’ultima in ordine di tempo è stata questa idea delle biomasse che avrebbero dovuto letteralmente stravolgere il volto non solo del territorio ma della centrale stessa; anche perché con il termine biomasse non si parlava soltanto di resti della produzione agricola, di falciature e di potature, ma ci rientrava anche il combustibile derivante da rifiuti, in quanto una normativa – tutta nostra – li aveva inseriti in qualcosa che poteva essere, in qualche maniera, riproducibile nel tempo.

Questo progetto relativo alle biomasse era un progetto di riconversione della centrale o era un vero e proprio ampliamento?
E.C.
Doveva servire una percentuale della produzione. Ma questa percentuale significava centinaia di migliaia di tonnellate di biomasse che neanche l’intero territorio dell’Italia Centrale era in grado di produrre (figuriamoci la zona del gualdese o del gianese).
R.M. Riguardava una produzione di circa 22 MW di biomasse. Ora insigni studiosi d’Europa ─ in Italia abbiamo Gianni Tamino ─ hanno dimostrato in maniera incontrovertibile che una centrale a biomasse ha senso soltanto in un contesto di filiera corta, con una pezzatura di 1-2 MW al massimo. Reperire biomassa per 22 MW significava dovere avere a disposizione un’area talmente vasta per cui il bilancio energetico tra il consumo per il reperimento della biomassa e il trasporto stesso ai bruciatori della centrale, sarebbe stato negativo. Quindi il nostro sospetto fortissimo era che, dietro al tentativo di parziale conversione a biomasse, vi fosse celata la volontà di fare realizzare un impianto per bruciare rifiuti. Ai sensi di legge, un impianto autorizzato a bruciare biomasse è automaticamente anche autorizzato a bruciare rifiuti.

Con tutti i relativi problemi di inquinamento…
R.M.
Esattamente. La storia ci insegna che, a Cutro in Calabria, in seguito all'emergenza rifiuti, hanno legalmente bruciato CdR in una centrale a biomasse. A Bando d'Argenta, nel Ferrarese, hanno illegalmente bruciato rifiuti nella locale centrale a biomasse. C’è dunque un’ampia casistica. Ritornando poi alla prima domanda che hai fatto, questa è una centrale che è composta da due gruppi da 75 MW per un totale di 150 MW, quindi è una piccolissima centrale. Come diceva Enrico, è l’unica centrale a carbone situata nell’entroterra e dà lavoro ad una quarantina di persone interne ─ di cui pochissime del territorio ─ e a circa 20-30 autotrasportatori. Orbene, negli ultimi anni si è consolidato nel territorio un modello di sviluppo alternativo ed ecosostenibile, che è basato sull’agricoltura di pregio e sul turismo che da esso deriva, oltre che dall’aspetto conseguente del mercato immobiliare di pregio. La persistenza di un impianto come questo, che è un impianto insalubre di categoria 1 ai sensi di legge, non può che rappresentare un ostacolo ad un simile modello di sviluppo. È impensabile mantenere Sagrantino e centrale a carbone contemporaneamente, è impensabile continuare a far convivere olio d’oliva DOP e centrale a carbone. A Gualdo Cattaneo, è ora di capire che o si fa il Sagrantino e l’olio o si fa altro.

Inoltre, aldilà delle motivazioni economiche che sono certamente importanti, penso che questa centrale crei gravi problemi di carattere ambientale. A questo proposito, facendo alcune ricerche su internet, abbiamo trovato dei documenti abbastanza in contrasto tra di loro. Da una parte ci sono alcuni rapporti dell’APAT che segnalano una notevole concentrazione nell’aria e nell’acqua di materiali nocivi (in diversi casi, con livelli molto superiori alle soglie consentite); dall’altra c’è un monitoraggio dell’Arpa del 2006 che – testuali parole ─ afferma: nel corso dell’anno 2006 [si] evidenzia una buona qualità dell’aria […] con tutti i parametri entro i limiti e sempre al di sotto delle soglie di valutazione. Come stanno allora effettivamente le cose?
R.M.
Per quello che sappiamo noi, sono stati effettuati due biomonitoraggi ambientali con api e licheni, patrocinati e finanziati dal Ministero dell’Ambiente. Da questi due biomonitoraggi risultano livelli tutt’altro che trascurabili di metalli pesanti quali mercurio, cromo, nichel, vanadio, cadmio e soprattutto arsenico. È chiaro che le leggi possono ammettere o non ammettere soglie minime o soglie massime: noi però siamo ancora qui ad aspettare che qualcuno venga a dimostrarci che 167 kg di arsenico, 72 kg di mercurio o 1462 tonnellate di ossidi di zolfo non abbiano alcun effetto sulla salute. Che ci dimostrino l’effettiva innocuità di queste emissioni (emissioni dichiarate dal gestore stesso della centrale). È chiaro che le leggi sono soggette a cambiamento, spesso sappiamo chi fa le leggi e sappiamo per chi le fa. Noi siamo anche disposti a credere che il gestore dell’impianto sia sempre ligio al rispetto delle normative vigenti, ma ciò non significa che il rispetto delle normative sia automaticamente conforme alle soglie di sicurezza. Per quanto ci riguarda, tutti gli oncologi che abbiamo consultato ─ in primis il prof. Fedi di Terni ─ ci hanno confermato il fatto che non esistono soglie minime di sicurezza. Veronesi dice che non esistono soglie minime per le sigarette, per quale motivo dovrebbero esistere per l’inquinamento industriale?

Esistono delle indagini sullo stato di salute della popolazione del comprensorio?
E.C.
Indagini che siano state fatte dagli enti preposti non esistono. Qualcuno ci ha risposto che la nostra è una popolazione troppo piccola per poter fare un’indagine seria sull’incidenza di alcune malattie. Però l’esperienza ─ in una comunità che conta circa 5-6 mila persone ─ ci dice che ci sono troppi casi di malattie e di leucemie che si stanno verificando nel territorio. Non credo che sia normale che una forma di leucemia piuttosto rara, con un’incidenza di circa un caso su 100 mila persone, si sia manifestata in cinque casi in circa un anno. Non abbiamo dati scientifici per dimostrare la correlazione, ma troppe coincidenze fanno sorgere legittimi sospetti.
R.M. Senza considerare poi – integro quanto espresso da Enrico – che non esistono soltanto delle leucemie sul territorio. Ultimamente si è anche verificato un aumento dei casi d’infarto; persone insospettabili, mai state cardiopatiche, non dedite all’alcool o al tabagismo. Ragazzi di 36 anni ma anche signori di una settantina d’anni (la medicina ci insegna che la soglia critica per l’infarto è dai 25 ai 50 anni e che morire d’infarto a 70 anni è una cosa molto strana). Abbiamo casistiche d’infarto che ci lasciano molto perplessi. Abbiamo avuto e continuiamo ad avere casi di leucemia, anche fulminanti, che nel giro di pochi giorni si portano via la gente. Adesso noi ci guardiamo bene da formulare un’ipotesi causa-effetto. Vero è che le autorità dovrebbero quanto meno approfondire questo aspetto molto serio del territorio. Il Comitato ─ che ha un rappresentante nella Commissione Ambiente del comune di Gualdo Cattaneo – ha fatto pressioni al sindaco, nella sua qualità di primo ufficiale sanitario e di primo ufficiale di governo, affinché venisse nominata una commissione permanente di studi sul problema. In questi giorni si sta formalizzando una collaborazione tra il Comune di Gualdo Cattaneo e l’Istituto Nazionale Tumori che, nella persona del prof. Federico Valerio, effettuerà uno studio dedicato sul territorio per cercare di capire se esiste un nesso causa-effetto tra presenza di questo impianto e insorgenza delle malattie.

Hai parlato del rapporto con le istituzioni. Ci sono delle voci istituzionali e di governo che supportano la vostra causa?
R.M.
Dal mondo politico, aiuto finora ci è giunto soltanto da Oliviero Dottorini, dei Verdi Civici di Perugia. È stato l’unico che, a livello regionale, si è adoperato per la causa di Gualdo Cattaneo. Per quanto riguarda il mondo istituzionale, noi riconosciamo il fatto che l’amministrazione comunale si è mossa alle nostre sollecitazioni. Dobbiamo però sottolineare il fatto che un’amministrazione comunale dovrebbe essere il locomotore di simili iniziative e non il rimorchio. Fino adesso, è stata il rimorchio, è venuta nel nostro stesso binario, perché non sono stupidi; però un’amministrazione comunale degna di tal nome avrebbe per prima dovuto prendere le redini della situazione. Per quanto riguarda invece le altre forze politiche, se da una parte c’è un certo torpore, un fare-non fare (non si sa bene che cosa vogliono fare e quali posizione vogliono prendere), altre forze politiche radicate sul territorio che nel corso degli anni hanno comunque sempre rappresentato la minoranza, hanno sposato la causa degli autotrasportatori locali. Questo ovviamente è bene che lo gente lo sappia, che una parte della politica locale – senza fare nomi o dare indicazioni – si è schierata tout court con gli autotrasportatori, ignorando le istanze di chi sollevava legittimi dubbi e legittimi sospetti.

Venendo invece a parlare del Comitato, abbiamo visto che oltre alla parte negazionista, quella che dice cioè che bisogna smantellare la centrale a carbone in quanto arreca gravi danni alla salute dei cittadini e all’ambiente, c’è anche una parte propositiva che dice che il bacino di Gualdo Cattaneo può diventare sede di produzione di energia elettrica pulita (leggevamo per esempio che c’erano proposte di riconversione della centrale ad una impianto che sfrutti l’azione combinata del gas naturale e del solare oppure la possibilità di utilizzare i Monti Martani per l’eolico). Sono questi progetti concretamente realizzabili nella zona?
R.M.
A proposito di questo il sindaco di Giano dell’Umbria Morbidoni ha detto no all’eolico per insistere sul sì alla centrale. Questi sono i misteri della fede! Noi ci siamo sempre dichiarati più che pronti a valutare la possibilità di una conversione dell’impianto per esempio a solare termodinamico. Non tutti sanno che il premio Nobel Rubbia è andato in Spagna, a Sanlucar La Mayor, vicino Siviglia e ha fatto un impianto a specchi solari a sali fluidi che la stessa ENEL sta sperimentando a Priolo Gargallo nel siracusano e che è una centrale ad emissioni zero. Si chiama Progetto Archimede ed è un sistema che funziona a specchi solari e a sali fluidi. Perché non fare una cosa del genere anche a Gualdo Cattaneo, tant’è che nel territorio esistono fonti di sviluppo alternativo con l’agricoltura di pregio? Una cosa del genere si sposerebbe perfettamente con il territorio. Un’altra cosa interessante potrebbe essere l’eolico, non il macroeolico con pale da 120 metri, ma con pale da 20-30 metri al massimo. Non è vero che i comitati civici sono il fronte del no: noi siamo – e lo rivendichiamo con orgoglio – il fronte del “Sì, ma…”. Sì, purché sia rispettoso della morfologia del territorio e della sua integrità; perché questa terra è nostra, questo lo ribadiamo e lo ripeteremo sempre.
E.C. Basta dire che siamo il movimento del NO. Noi siamo i movimenti del “Basta”, basta di decidere le cose che passano sopra la testa di tutti. Ci sono possibilità nel nostro territorio di produrre energia elettrica, come gli impianti solari fotovoltaici a terra. Ogni due ettari producono più di 1 MW di corrente. Quindi non ci stiano a prendere in giro, qui non c’è la volontà politica, non è vero che non c’è un’alternativa: noi di alternative ne abbiamo, ne proponiamo e siamo pronti a discuterne. Certo è che se ci si arrocca a difesa del carbone, non c’è alcun tipo di dialogo. Noi diciamo basta con le strutture che sono oramai archeologiche: questa credo che sia la seconda centrale più vecchia d’Italia dopo La Lanterna di Genova. Basta. Lo sviluppo che ha prodotto la centrale si è esaurito negli anni: questo impianto poteva essere valido negli anni ’50-’60, negli anni della migrazione, quando migliaia di persone nel territorio sono partite per la Svizzera, per il Belgio, la Francia. Ora sembra che il comune e il territorio abbiano individuato le sue linee sviluppo che prescindono dalla produzione tradizionale di energia elettrica, con mezzi come l’olio pesante in precedenza e il carbone adesso…

A proposito di quello che state dicendo, visitando il vostro sito internet, siamo rimasti colpiti da due cose in particolare. La prima è che voi non vi limitate a dire no alla centrale di Gualdo Cattaneo, ma fate proposte concrete per un ripensamento radicale dell’attuale modello di sviluppo. La seconda cosa è invece la presenza di continui riferimenti che ad altre cause simile alla vostra (come ad esempio la centrale di Civitavecchia), quasi a voler significare che solo in una logica di rete è possibile provare a dare delle proposte alternative e di cambiamento…
R.M.
Assolutamente sì. Il nostro Comitato è nato nel ’94 ma ha intensificato i lavori soltanto a partire dall’Aprile del 2007, quando alla trasmissione “Anno Zero” del 5 Aprile furono invitati i No Coke di Tarquinia e Civitavecchia. Lì noi abbiamo visto una popolazione che con le unghie e con i denti stava difendendo il proprio territorio. Il giorno dopo ci siamo messi in contatto con Gianni Ghirga (Comitati dei Medici per l’Ambiente e la Salute del Lazio, n.d.r.) e da lì è nata la rete nazionale dei movimenti per il no al carbone (che quest’estate, obtorto collo, hanno incaricato il sottoscritto di coordinare tutto il movimento). Con noi ci sono i No Coke di Civitavecchia e Tarquinia, c’è Genova, c’è Brindisi, c’è Porto Tolle; siamo in contatto anche con alcuni elementi della centrale di Ottana in Sardegna. Adesso il movimento No al Carbone in Italia è una realtà: abbiamo fatto rete e non solo ci limitiamo – come dicevi prima – a dire “no al carbone”, ma proponiamo tutta una serie di alternative reali ed ecosostenibili che sono già sistemi commerciabili nel mondo evoluto. (non vediamo per quale motivo non debbano esserle anche nel Bel Paese, noi che siamo l’Arabia Saudita delle energie rinnovabili e che invece continuiamo a produrre energia elettrica con il carbone). Vorrei aggiungere un’altra cosa. Il grande problema, in questo paese, è la disinformazione, di questo ce ne siamo resi conto quando abbiamo iniziato a fare rete. Finché in Italia, nei talk show e nei salotti televisivi, si fa parlare Chicco Testa, che dovrebbe stare zitto, e si fa tacere Carlo Rubbia, che invece dovrebbe parlare, è chiaro che da una simile situazione non può scaturire, a livello di informazione, nulla di buono.

Sempre a questo proposito, quanto è importante concretamente l’aiuto e la solidarietà degli altri movimenti territoriali dell’ Umbria?
R.M.
E’ fondamentale. Noi siamo l’unico comitato che si occupa di carbone in Umbria, però abbiamo la solidarietà e la collaborazione degli amici [della questione] Rocchetta che stanno difendendo le risorse idriche, con gli amici di Bettona che stanno lottando contro il sistema delle lagune per i liquami dei maiali o quelli del No Inceneritore di Terni. Volendo trarre un minimo comune denominatore, siamo persone che lottano per difendere ciò che a loro appartiene, ognuno secondo le problematiche che ha nel proprio territorio. Facendo quindi massa critica, siamo arrivati in Consiglio Regionale a far vedere al signor Bottini che i territori non si arrendono: con noi c’erano Bettona, Città di Castello, Terni, Gualdo Tadino, etc.etc. Soltanto facendo massa critica, fai capire a questi signori ─ che hanno una sensibilità per l’ambiente molto discutibile ─ che l’ambiente e il territorio sono vanno tutelati e non sono cose che vanno sfruttate.

Un ultima domanda che facciamo a tutti, visto che il nostro è un gruppo formato da ragazzi giovani. Quanto incide la partecipazione giovanile all’interno del vostro Comitato? Riescono i ragazzi a dare un contributo significativo per il buon esito della vostra vertenza?
E.C.
La questione giovanile è una questione seria. Noi stiamo assistendo purtroppo ad un cambiamento piuttosto rapido della società e i giovani, se vogliamo, sono coloro che hanno subito di più in questi anni le storture del sistema mediatico italiano. Essi tendono molto spesso a prendere per vero ciò che viene detto in televisione, chiunque esso sia, dal tronista di Maria de Filippi, a Zichichi o Mike Buongiorno. Quindi c’è un approccio non sempre critico e cosciente. Ci sono dei giovani all’interno del comitato, purtroppo non sono la maggioranza; spesso viene a mancare proprio quella forza che è tipica della gioventù. Questo credo che sia piuttosto negativo non solo per il comitato ma per tutto il sistema Italia. Purtroppo i giovani da una parte vengono emarginati perché il nostro è un paese in cui la gerontocrazia domina e quindi si sentono esclusi; dall’altra si autoescludono. Ci troviamo in una situazione che è abbastanza critica, non tanto per le lotte che stiamo portando avanti ma proprio per la democrazia. Una cosa importante che bisognerebbe che i giovani incominciassero a discutere è il futuro energetico di questo paese. Da una parte nei paesi più avanzati – vedesi la Germania – quando è passato il referendum No al Nucleare, si è parlato di uno smantellamento delle centrali quando però le fonti alternative sarebbero state in grado di sostituire circa un 20% della produzione energetica. E in Germania si sono mossi in questa direzione. Adesso possono procedere, come sembra stiano procedendo, allo smantellamento delle centrali nucleari e stanno andando verso un’energia che, tra virgolette, può anche costare più del carbone, ma che ha un rispetto per l’ambiente che il carbone non ha assolutamente. In Italia invece ci stiamo muovendo nella direzione opposta. Stiamo cercando di sfruttare il combustibile diciamo “più abbondante” che si trova sul mercato, ma anche quello che si porta dietro tutta una serie di inquinanti che possono avere degli impatti devastanti su un paese come l’Italia che si basa essenzialmente sulle culture pregiate. Noi avremo anche delle forme d’industria che sono rinomate nel mondo, ma ciò per cui viene conosciuto il Made in Italy è spesso l’alimentazione, i nostri prodotti alimentari. Con il carbone non so neanche capire quanti residui della produzione energetica finiscano dentro, in questi prodotti di qualità. I giovani probabilmente dovrebbero ripartire da questo: purtroppo la logica italiana, che ha caratterizzato il boom economico fino ai giorni nostri, è quella di tenere bassi i salari e il costo delle fonti energetiche. Abbiamo preso sempre il peggio del mercato internazionale per produrre energia e abbiamo sempre tenuto i salari più bassi dell’Europa Occidentale. È inconfrontabile, oggi come oggi, il salario di un operaio italiano con quello di un operaio tedesco. Sicuramente se la crisi verrà sentita, verrà sentita molto prima dall’operaio italiano che da quello tedesco. Stessa cosa dicasi per le fonti energetiche. Da altre parti, sono 30 anni che stanno lavorando per superare il nucleare. E noi, a distanza di 30 anni, ci ritroviamo a riproporre un nucleare non solo fallimentare ma che addirittura dovrebbe andare a sostituire quelle che sono le fonti rinnovabili. In Italia, il paese del sole, si produce meno dell’1% dell’energia solare. Questa è una cosa tendenzialmente ridicola, e il fatto che i giovani non ne vogliano nemmeno discutere di credo che sia una cosa estremamente grave.

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