martedì 6 gennaio 2009

Intervista a Padre Giulio Albanese

Da Missione Oggi del 31 maggio 2008
Umbria Radio inBlu



Antonio Caterino Un cordiale saluto agli ascoltatori di Umbria Radio. Antonio Caterino in studio per questo nuovo appuntamento di Missione Oggi. Questa mattina è collegato telefonicamente con noi Padre Giulio Albanese, un ospite di eccezione. Buongiorno, benvenuto Padre Giulio.

Padre Giulio Albanese Buongiorno a tutti

Antonio Caterino Padre Giulio Albanese è un missionario ma è anche un noto giornalista, un grande esperto di Africa. È stato il fondatore e il direttore per molti anni della Misna, l’Agenzia Missionaria Internazionale. Attualmente però ricopre il ruolo di direttore presso due riviste missionarie. Padre Giulio, attualmente di che cosa si occupa?

Padre Giulio Albanese Attualmente sono il direttore delle riviste missionarie delle POM, delle Pontificie Opere Missionarie italiane. In sostanza si tratta di un ventaglio di pubblicazioni che ha lo scopo di promuovere l’animazione missionaria nel contesto della Chiesa italiana, nelle nostre comunità parrocchiali. L’intento da una parte è quello di risvegliare l’interesse nei confronti della missione ad gentes, dall’altra – un po’ come succede direi in tutte le pubblicazioni missionarie ─ l’intento dichiarato è anche quello di dare voce a chi non ha voce. In altre parole, raccontare quelle storie, quei fatti, quegli accadimenti che solitamente rimangono nel cassetto.

Antonio Caterino E certamente, come in tutte le riviste missionarie, si dà spazio a tanti aspetti che attualmente sono trascurati. E questo è forse il punto d’interesse centrale di tutte le riviste missionarie: le riviste missionarie che partano dalla necessità e forse dall’esigenza di descrivere luoghi e posti poco raccontati dai media. Lei che è stato per tanti anni in Africa, che cosa può dirci a proposito dell’Africa? Quali tabù può sfatare adesso?

Padre Giulio Albanese Diciamo subito che le pubblicazioni di punta, le due ammiraglie di punta delle Pontificie Opere Missionarie, sono Popoli e Missione, che è una rivista indirizzata soprattutto ad un pubblico adulto e Il Ponte d’Oro, che è una rivista per ragazzi con l’intento di promuovere lo spirito dell’universalità e quindi anche dell’educazione alla mondialità. Il discorso di fondo qual è? È che noi viviamo in un mondo villaggio globale dove tutto sembra schizzare via alla velocità della luce. La verità è che sappiamo poco o niente di quello che accade a Timbuctu o a Dar es Salaam. Questo è dovuto ad una serie di condizionamenti che sono legati, per certi versi, ad un certo modo di fare giornalismo in Italia. Lo si voglia o no il giornalismo nostrano è affetto da una sorta di provincialismo, per cui i fatti e gli accadimenti di casa nostra sembrano sempre prendere il sopravvento. Ecco, il giornalismo missionario, quello che cerchiamo di esprimere attraverso le nostre pubblicazioni, è proprio quello di aiutare la gente ad uscire fuori le mura, a capire che abbiamo soprattutto un destino comune, noi e loro, cercando di andare aldilà dei soliti stereotipi, luoghi comuni. Lei citava prima l’Africa. Noi parliamo dell’Africa come se fosse una sorta di realtà molto uniforme, un continente piatto e che è metafora di tutte le disgrazie e gli accidenti che avvengono nel nostro povero mondo. Ora io credo che le riviste missionarie, da questo punto di vista, aiutino ad andare aldilà di questi pregiudizi, proprio perché le Afriche – io preferisco parlare al plurale anziché al singolare, anche perché è un continente tre volte l’Europa – non solo hanno delle straordinarie potenzialità, soprattutto a livello di comunità cristiane e di società civile, ma perché poi le Afriche, contrariamente a quello che solitamente si scrive, non sono assolutamente povere; semmai sono impoverite. Le Afriche non chiedono assolutamente la nostra beneficenza di noi ricchi epuloni che ce ne stiamo spaparazzati di fronte ad una mensa imbandita; le Afriche chiedono giustizia. Un esempio ancora più concreto – proprio per dare maggiore sostanza a quello che sto dicendo – riguarda il flusso dei soldi, dei cosiddetti denari: sono molti di più i soldi che le Afriche danno a noi di quelli che noi diamo a loro. La Giornata Missionaria Mondiale che abbiamo appena celebrato è un’occasione per vivere la dimensione della solidarietà nei confronti delle giovani chiese, di coloro anche che sono nel bisogno e nella necessità. Ma spesso ci si dimentica che, proprio a causa di meccanismi iniqui ─ oggi si parla di bolla speculativa, di globalizzazione ingovernabile e selvaggia ─ la verità è che molte delle ricchezze del sud del mondo, delle Afriche in particolare, vengono davvero depredate. E sta di fatto che questi paesi non solo continuano a pagare gli interessi di un debito che avrebbero assorto chissà da quanto tempo, ma la cosa incredibile è che le materie prime, le ricchezze di questo continente, petrolio in primis, sono davvero deprezzate. La verità è che vi è bisogno davvero di giustizia economica e che questo certamente è uno degli aspetti che non viene preso in considerazione, proprio perché uno si sente con la coscienza a posto sparando una raffica di sms, aiutando questa o quella organizzazione, pensando in questo modo di aver messo mano al portafoglio e dunque alla propria coscienza. Il mondo missionario, le riviste missionarie, ci fanno capire che la solidarietà cristiana esige molto di più, non solo da parte delle nostre classi dirigenti, indipendentemente dai colori politici; perché si tratta di capire che abbiamo un destino comune e che vi è comunque una sproporzione tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. Ma credo che questo discorso abbia anche una valenza personale per quanto concerne proprio l’assunzione di nuovi stili di vita; perché lo si voglia o no, nonostante quella che è la recessione economica che attanaglia non solo il nostro paese, ma direi in senso lato il villaggio globale, comunque vi è un abisso che continua a separare i ricchi dai poveri. Dunque come Cristiani dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione il nostro modus vivendi, il nostro stile di vita. C’è un rapporto che è stato pubblicato recentemente dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite che, come sapete, si interessa delle questioni agroalimentari. Ebbene, emerge che la produzione di cibo nel nostro pianeta è tale da poter sfamare 12 miliardi e mezzo di persone. Il che significa che, se vi fosse giustizia ed equità, vi sarebbe doppia razione per tutti. Perché dico questo? Perché è importante che questo tipo di informazione passi, che si prenda coscienza del fatto che molte volte purtroppo sappiamo poco o niente o se sappiamo qualcosa, spesso quel messaggio viene distorto. Per cui alla fine cosa succede? Che la verità rimane nel cassetto, come dicevo prima. Dunque vivere la dimensione missionaria significa avere proprio una coscienza aperta sul mondo; e le riviste missionarie sono davvero in questo senso una finestra aperta sul nostro povero mondo. Parafrasando la vecchia pellicola di Stanley Cramer, davvero viviamo in un pazzo, pazzo mondo che ha bisogno di redenzione.

Antonio Caterino La cultura missionaria è importante perché bisogna diffonderla. Parlando anche con altri missionari, il problema è che noi Cattolici, noi Cristiani, che assecondiamo un certo stile di vita che poi è contrario alla stessa religione, dovremmo capire che il vivere cristianamente è molto diverso da quello che poi mettiamo in pratica.

Padre Giulio Albanese Papa Paolo VI, in una bellissima esortazione apostolica del ’75, l’Evangeli Nuntianti, ricordava che nel nostro tempo, più che di maestri e di dottori e di personaggi che sanno parlar bene, c’è bisogno innanzitutto e soprattutto di testimoni. E credo che in fondo la missione, soprattutto nel Nord del mondo, nella vecchia Europa, abbia bisogno proprio di questa testimonianza che abbia la capacità di rendere credibile il Vangelo. Anche perché ─ non dimentichiamolo ─ le vecchie chiese cominciano davvero ad avere bisogno delle giovani chiese, non solo per quanto concerne il clero, ma proprio per rivitalizzare lo spirito. In questi giorni si è parlato molto delle persecuzioni nello stato indiano dell’Orissa, delle persecuzioni in generale che colpiscono le comunità cristiane (per esempio sul versante medio orientale: pensiamo alla questione irachena). Ma quello che a volte ci sfugge come Cristiani della vecchia Europa è che noi comunque, se siamo davvero Cristiani e rileggiamo attentamente quello che è scritto nel capitolo 5 del Vangelo di Matteo (nel discorso della montagna, nel preambolo a tutto quel discorso che il messaggio forte del Vangelo, vale a dire le Beatitudini), ebbene ci confrontiamo con un mondo capovolto di Dio. E questo è qualcosa di meraviglioso ma per certi versi anche di disarmante, perché Gesù peraltro dice: “Beati i perseguitati”. Ora, noi certamente questa frase facciamo fatica a metabolizzarla: la cosa incredibile è che i perseguitati sono fortunati, e questo naturalmente può meravigliare qualcosa. Ma in effetti la persecuzione è beatitudine perché consente ai Cristiani di vivere la militanza. La verità invece è che, quando si vive in una situazione di eccessivo benessere o comunque di tranquillità e si rimane nella darsena del proprio piccolo mondo, ecco che allora che nolente o volente l’esperienza di fede si affievolisce. Guardando proprio all’apostolo Paolo (siamo nel pieno di questo anno paolino indetto dal Santo Padre per ricordare la nascita del grande apostolo dei Gentili), Paolo da persecutore della Chiesa è diventato perseguitato. Ora si tratta, da questo punto di vista, di recuperare l’adrenalina, la voglia, l’entusiasmo di gridare dai tetti la buona notizia. Questo è quello che è lo spirito, l’essenza di quello che è lo sforzo e l’impegno in senso lato dell’editoria missionaria. E naturalmente quello delle nostre pubblicazioni, quelle delle Pontificie Opere Missionarie.

Antonio Caterino E con questa bella chiacchierata con Padre Giulio Albanese, si conclude qui questo appuntamento di Missione Oggi. Da Antonio Caterino un grazie a tutti voi e l’augurio di un buon proseguimento di ascolto.

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