domenica 5 ottobre 2008

Un mondo di tutti: Souhila

Incontriamo Souhila ai giardini pubblici di Bastia, seduti su una panchina sotto un bel sole di metà settembre. Algerina di 17 anni e mezzo, è arrivata in Italia a 13.
La vita in Algeria scorreva tra scuola e casa. In aula, maschi e femmine insieme come qui in Italia, dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 17 per seguire lezioni di arabo, matematica, storia, geografia, inglese, francese e 3-4 ore a settimana di religione.
Avendo entrambi i genitori già in Italia, nell’ultimo anno di permanenza nella sua amata patria, prima di raggiungerli, Souhila ha provveduto a portare avanti la gestione domestica della famiglia con l’aiuto della nonna.
Arrivata in Italia il 17 aprile 2004 in una giornata di pioggia, come lei ci ricorda, l’impatto con un mondo tutto nuovo è stato molto duro, e la prima settimana è rimasta praticamente chiusa in casa. Frequentando la scuola (quasi alla fine del secondo anno scolastico delle medie) con l’aiuto di una professoressa ha iniziato a conoscere la lingua italiana. Tuttavia l’integrazione con i coetanei restava e resta tuttora problematica, soprattutto per la limitata apertura mentale verso “l’altro” da parte di molti italiani, giovani e non solo.
Elemento che ha ulteriormente rappresentato una difficoltà nell’integrazione è rappresentato dalla sua scelta, presa in piena autonomia, di indossare il velo (hijab che copre orecchie, nuca e capelli lasciando il volto scoperto) all’età di 14 anni. Questa decisione, alla quale Souhila attribuisce un elevato valore significativo come senso di appartenenza e condivisione dei principi della religione islamica, è stata oggetto di battute, a volte anche moralmente offensive, da parte di alcune compagne di classe, portandola ad un malessere interno che l’ha condotta alla difficile scelta di togliere il velo. Rimane comunque in lei la volontà di rimetterlo quanto prima, riconoscendo in esso un segno di protezione e di pudore, sulla base dei precetti dell’Islam, che caratterizza la donna musulmana pura.
Souhila cerca di vivere in modo intenso il rapporto con la propria fede, avendo al contempo la fortuna di avere alle spalle una famiglia perfettamente in grado di capire e condividere le esigenze di una ragazza che si trova in contesto culturale e valoriale diverso rispetto a quello in cui è cresciuta, consentendole quindi una flessibilità di comportamenti, pur nel rispetto delle linee guida dell’Islam.
Tutto questo non le permette tuttavia di vivere pienamente il proprio credo, avvertendo soprattutto limiti nelle infrastrutture e nella possibilità di condividere collettivamente importanti momenti dell’Islam, come può essere il mese del Ramadan. Nonostante la comunità musulmana nella zona sia numericamente consistente, la Moschea più vicina è quella di Ponte Felcino, che anche Souhila e la famiglia frequentano. In merito alla nota vicenda che ha coinvolto l’ex Imam della moschea Mostapha El Korchi, Souhila, che ne conosce la moglie e la famiglia, esprime dubbi sulla reale sussistenza delle accuse di una vicenda troppo facilmente dimenticata.
Interessante argomento di discussione è stato la figura della donna nell’Islam, e del rapporto uomo-donna. Anche in questo caso dalle parole di Souhila si evidenzia una generale e diffusa disinformazione da parte dell’opinione pubblica nostrana. In particolare emerge lo stereotipo della condizione della donna sottomessa ad un maschilismo estremo derivante dalla religione islamica, che si manifesta sia nel velo, come prima ricordato, sia nella disoccupazione della moglie/madre musulmana. La realtà dei fatti che ci delinea Souhila è sensibilmente differente. In modo particolare, il fatto, oggettivo, che poche donne lavorino è il risultato principalmente di una scelta volontaria della donna stessa, che attribuisce un grande e rilevante valore all’attività domestica familiare e all’allevamento diretto dei propri figli. Souhila, che condivide questo valore e che al tempo stesso lavora saltuariamente come cameriera, si dimostra comunque attenta nel ritenere che debbano essere presi in considerazione anche tutta una serie di altri aspetti (ad esempio la capacità della famiglia di vivere o meno con un unico reddito) per poter elaborare un pensiero in merito alla questione.
Nel rapporto uomo/donna riconosce che una ragazza è più limitata nelle libertà rispetto ad un ragazzo. Ci spiega infatti che in Algeria tendenzialmente l’uomo si può permettere maggiori libertà di comportamento (tipo uscire fino a tardi la sera) che invece la donna non può consentirsi. Confrontando l’uomo arabo e quello occidentale, non riconosce molte differenze, sebbene l’eccessiva libertà occidentale può tradursi in una degenerazione di vizi. Altro aspetto interessante è dato dal fatto che, nella tradizione araba, l’amicizia uomo-donna è “inconcepibile” (ferma restando la maggiore o minore apertura mentale della singola persona, che esula dal contesto religioso o culturale), mentre lei qui in Italia ha avuto modo di contraddire questa limitazione.
Parliamo infine con Souhila dell’evoluzione dell’Islam nel suo Paese, anche a fronte del nuovo scenario post 9/11. Sull’episodio e soprattutto sull’evoluzione dei fatti derivanti dagli atti terroristici esprime incertezze, senza sbilanciarsi, pur riconoscendone un effetto pesante sull’immagine dell’Islam che si traduce nella paura del musulmano. Per quanto riguarda l’Algeria ritiene che il suo paese sia riuscito a superare le tensioni derivanti da sanguinosi anni di guerra civile, riuscendo al contempo a garantire una modernizzazione dell’Islam senza comprometterne i valori basilari, a differenza della vicina Tunisia che ha intrapreso una laicizzazione estrema arrivando a vietare il velo, misura che lei reputa ingiusta. L’Islam algerino viene quindi più sentito, sebbene i giovani tendano a praticarlo meno, senza per questo degenerare in forme fondamentaliste o estreme.
Dopo 4 anni di vita in Italia chiediamo quali siano secondo lei i valori che il mondo occidentale dovrebbe assorbire da quello arabo, e viceversa. Dimostrando una mentalità aperta all’integrazione, ritiene che in Occidente si dovrebbe far imparare a scuola la lingua araba per consentire di superare la disinformazione e consentire di capire e conoscere meglio una cultura e una religione spesso ignorata. Viceversa non ha trovato elementi da esportare verso il mondo arabo.

Incontro sicuramente ricco di spunti e di riflessioni. Confrontandolo con il precedente incontro con Shirin, abbiamo due visioni opposte dell’Islam, la prima laica e distaccata, in questo caso fortemente sentita. Ne deriva una visione radicalmente opposta sia dei contenuti di merito della religione sia soprattutto nella concezione della figura femminile. Rimane comunque fondamentale ricollocare i due interventi su un piano prima di tutto culturale anziché religioso. Ciò ci consente di comprendere come l’uso e/o l’abuso di stessi concetti della religione da parte di coloro che si fanno interpreti e portatori della cultura possa dare una visione totalmente opposta di una stessa cosa. Senza la volontà di esprimere una preferenza per l’una o l’altra visone, si vuole semplicemente ribadire l’importanza e l’assoluta necessità di essere in grado di saper distinguere e non confondere religione e cultura al fine di non attribuire all’una meriti o demeriti dell’altra.

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