giovedì 16 ottobre 2008

UN MONDO DI TUTTI: SHIRIN

Qualche tempo fa, alcuni di noi (Giacomo, Alessio e Moira) che si sentono particolarmente toccati dai problemi relativi all’integrazione degli immigrati, hanno incontrato e intervistato una giovane studentessa iraniana, Shirin (amica di Fede, il quale ce l'ha fatta conoscere), in Italia da quattro anni. La ragazza si è laureata in Iran in letteratura italiana, ed è poi venuta in Italia per proseguire i suoi studi iscrivendosi alla facoltà di economia. Il suo progetto iniziale contemplava l’Italia solo come una fase temporanea della sua vita, poiché Shirin sente di dover tornare in Iran, a lavorare e a dare il suo contributo per una società migliore.
Ci sentiamo subito toccati dalla spontaneità e dalla naturalezza di Shirin, che con occhi ridenti e una grande forza nelle parole ci regala un’intervista che si snoda da sola, e che meriterebbe di essere trascritta per intero ma che abbiamo preferito riassumere, per renderla più breve e più leggibile al pubblico.

Interrogando Shirin sul viaggio che dall’Iran l’ha portata qui, la ragazza ci risponde così: “dal punto di vista degli aspetti burocratici ci hanno fatto girare tantissimo da un ufficio all’altro, considerando che la lingua la parlavo malissimo e capivo poco, ho avuto difficoltà… ero con mia sorella, poi quando lei ha visto tutte queste cose qua è voluta tornare!”
Durante il lungo pellegrinaggio che portava Shirin di ufficio in ufficio, la ragazza veniva trattata come una fuggitiva, non come una semplice studentessa venuta in Italia per frequentare l’Università e farsi un futuro. La sua nazionalità sembrava incidere sul comportamento che gli impiegati avevano con lei, che spesso la consideravano un parassita venuta in Europa per vivere sulle spalle degli altri. Per Shirin, che non conosceva ancora bene l’italiano, è stato difficile dare spiegazioni e difendersi. Lentamente, e con grande difficoltà, la lingua italiana divenne meno misteriosa e Shirin se ne appropriò benissimo, anche grazie all’aiuto degli amici e in particolare di una “coinquilina con cui dividevo la camera, italiana, che mi ha aiutato tanto. Mi correggeva mentre parlavo, mi spiegava ciò che non capivo.”


In Italia, Shirin non cerca di frequentare a tutti i costi i suoi connazionali, ma anzi dice di non conoscere quasi nessun iraniano e di avere in compenso molti amici italiani. “sinceramente conosco pochissimi persiani. Lo che ce ne sono tanti, li vedo. Ma non mi piaceva fare una cosa chiusa fra persiani mentre vivo in Italia, perciò non è che li cerco tanto…” Shirin ha infatti paura di ritrovarsi intrappolata in una comunità chiusa e difficilmente penetrabile, da dove una volta entrata sarebbe quasi impossibile uscire. Certamente sa che la comunità è molto solidale quando si tratta di aiutare un connazionale, ma Shirin se ne tiene lo stesso alla larga, temendo la logica del clan… “Anche perchè o fai parte di tutto, o ne stai fuori, non puoi approfittare solo delle cose positive. O devi entrare del tutto o ti lasciano fuori. Devi sempre essere in contatto con loro, devi sempre uscire con loro e tutto il resto… e poi quando non fai queste cose devi spiegare il perchè, e a me non andava…” Shirin preferisce scegliere i suoi amici senza essere condizionata dalla loro nazionalità, e le viene più facile integrarsi nella società italiana piuttosto che entrare nella comunità iraniana della zona, dove le persone (legate dal senso di appartenenza ad una nazione comune) sviluppano amicizie “obbligate” e contribuiscono così alla tessitura di una salda rete di rapporti che, a volte, blocca l’iniziativa personale.

In Iran la giovane Shirin era molto attiva nel movimento universitario che analizzava la politica e la religione ufficiale e cercava di far circolare fra i giovani un’informazione diversa, nella speranza di colpire il sistema con l’unica arma che gli studenti hanno a disposizione, la diffusione della cultura. Ciò era molto rischioso in un paese come l’Iran, nel quale “qualsiasi cosa che vada contro la politica e la religione ufficiale viene considerata illegale”.
“Eravamo un gruppo di giovani che aveva tanti dubbi sulla religione, dunque ci riunivamo e leggevamo dei testi religiosi per poi discuterne” naturalmente l’analisi critica dei testi religiosi era un problema fondamentale per Shirin e i suoi compagni, che tuttavia non riuscivano a procurarsi tutti i testi necessari poiché nella Repubblica Islamica il controllo dell’informazione è molto ferreo, e molti testi (sacri come profani) vengono censurati. La Repubblica si definisce Islamica, ma “la religione viene usata come uno strumento e lo rigirano come vogliono”
Gli universitari creavano seri problemi al potere, le università sono sempre state un luogo brulicante di idee clandestine, e Shirin può testimoniare che “gli studenti in Iran sono il gruppo più attivo e più critico nei confronti della politica. È un fenomeno che è cominciato un po’ dopo la Rivoluzione Culturale, perchè gli studenti sono sempre stati più liberi e ribelli rispetto alla società.” Non solo gli studenti, ma anche molti professori si opponevano al potere ufficiale tenendo lezioni che trattano di attualità, incoraggiando discussioni e sostenendo manifestazioni. Ultimamente però è diventato sempre più pericoloso scendere in piazza a manifestare, e le università sono molto più sorvegliate che in passato. Molti professori con idee “sovversive” vengono licenziati, o addirittura imprigionati. Shirin ci dice che “Il più grande sciopero studentesco risale a nove anni fa, e hanno ammazzato un sacco di gente, ne hanno arrestata ancora di più… e ci sono tantissimi studenti di cui non si sa più nulla, non si sa dove siano finiti”
La politica interna di Ahmadinejad tende a voler controllare le attività degli studenti (e della gente in generale) con la paura. “Ahmadinejad ha deciso che adesso, anche per una cosa piccola, c’è la pena di morte. Visto che la pena di morte ora è permessa, dipende dalla politica decidere se utilizzarla o meno… ciò serve per creare paura tra la gente” oltre alla pena di morte, dopo la Rivoluzione nella legislazione iraniana è stata introdotta ufficialmente la sharia, che viene applicata più o meno rigorosamente a seconda dei casi e dei magistrati che li seguono.

La politica post-rivoluzionaria si accanisce in modo particolare contro le donne. Dopo l’apparente tolleranza che il regime dello scià aveva avuto nei loro confronti, le donne dell’Iran vengono oppresse dalle leggi e dalla religione. Shirin ci dice che nella concezione di Islam che è stata adottata dal regime iraniano, la donna è vista come un essere inferiore, una creatura fragile e maligna che l’uomo ha il diritto di possedere e di tenere sotto controllo. La legge è apertamente schierata dalla parte dell’uomo, tanto che “Secondo il Corano la vita di una donna vale metà della vita di un uomo, quindi per essere condannato dalla legge per stupro devi violentare almeno due donne…”


Parlando della Rivoluzione Culturale, Shirin ci ha spiegato che l’ultimo scià (Mohamed Reza Pahlavi) aveva cominciato ad intraprendere una politica di apertura nei confronti dell’Occidente. Secondo Shirin però, lo scià non aveva completamente ragione nel voler imitare i costumi occidentali… “Non è che io sia tanto d’accordo nemmeno con lo scià, perchè comunque secondo me gli italiani devono rimanere italiani, gli americani devono rimanere americani… e i persiani devono rimanere persiani. Il mondo è bello così, con le sue differenze. È giusto prendere certe cose dagli altri paesi, ma non tutto.”… “Anche perchè fare un indistinto copia e incolla sarebbe impossibile. Anche se guardiamo solo l’Europa, vediamo che i francesi non sono come gli italiani, gli italiani non sono come i tedeschi…”

La Rivoluzione Culturale, avvenuta nel ’79, era sostenuta da molte categorie di persone che si distinguevano tra loro per idee e progetti. Fra loro c’erano lavoratori, studenti, oppositori politici dello scià, fondamentalisti islamici. Questi ultimi presero il sopravvento sugli altri e arrivarono al potere con l’ayatollah Khomeyni, che prima di allora era pressoché sconosciuto, poiché allontanato con l’esilio in Iraq dallo scià Reza Pahlavi (padre di Mohamed Reza) a causa del suo militarismo clandestino nell’ambito del fondamentalismo religioso. Fra l’altro, Khomeyni era uno degli organizzatori di diverse congiure fallite ai danni dello scià. Shirin parla di Khomeyni come di “una persona stupida. Ha parlato male della legge che concedeva il voto alle donne, e dunque lo hanno esiliato in Iraq” Tornò poi a guidare la Rivoluzione fiancheggiato dai mullah, che hanno progressivamente accresciuto il loro potere nel paese. Secondo Shirin “In questi ultimi tempi i mullah hanno cambiato il loro ruolo. Prima erano lì per aiutare la gente, un po’ come i preti. Ora sono diventati dei politici”
Dopo la Rivoluzione, la gente cominciò a rendersi conto che il paese stava lentamente cadendo nelle mani dei fondamentalisti, ma non ebbe tempo di reagire che già era cominciata la guerra contro l’Iraq e tutti avevano altro di cui occuparsi. I fondamentalisti si erano avveduti dello scontento generale e “avevano bisogno di una cosa per indebolire la gente… e cosa c’è di meglio di una guerra? Quando c’è una guerra con un altro paese, tutti lasciano perdere i conflitti interni e vengono a difendere il paese dai nemici esterni.” Così cominciò, nell’80, la sanguinosa guerra fra Iran e Iraq che si protrarrà fino all’88 (conosciuta in Iran anche come la “Guerra Imposta”). Una guerra “imposta” quindi, appoggiata dall’Occidente, il quale traeva i suoi profitti dallo scontro di due potenze petrolifere mondiali. Shirin ci dice che “lo scià era molto forte nel controllare il prezzo del petrolio. Infatti negli anni Settanta è aumentato tantissimo e questo non piaceva all’Occidente…”… “sotto lo scià facevamo paura a tutto il Medio Oriente perchè avevamo tante armi. Eravamo diventati ricchi e avevamo un grande esercito con tante armi… per questo lo scià ha provato ad aumentare il prezzo del petrolio. E secondo me tutto il conflitto è cominciato da qui”
L’Occidente era quindi spaventato all’idea che l’Iran diventasse una potenza economica capace di controllare il mercato mondiale del petrolio, e una guerra contro l’Iraq avrebbe indebolito l’egemonia iraniana in Medio Oriente. Difatti “Saddam prendeva quasi tutte le sue armi finanziate dagli Stati Uniti” e da molte altre potenze occidentali, quali la Francia, la Germania, l’Argentina e il Brasile. L’Iran aveva anche lui i suoi accordi finanziari (era protetto per esempio dalla Cina)…

Nonostante l’avversità nei confronti della politica iraniana, Shirin sostiene che non è per questi motivi che ha lasciato il suo paese. “Io sono venuta qui solo per studiare e per tornare a cambiare le cose nel mio paese. Io ho sempre creduto che se fuggi dal problema il problema non viene mai risolto… infatti secondo me chi rimane e combatte fa una cosa grande… il risultato che si ottiene è un’altra cosa. Non possiamo essere sicuri del risultato che otterremo, ma comunque combattere è importante. Secondo me chi rimane per cambiare le cose può far qualcosa di positivo. Poi secondo me non è vero che non ci si riesce mai, anche perchè ho conosciuto tante persone che potevano scappare dal paese e sono rimaste, magari anche in situazione di crisi… insomma per me sono sempre stati dei modelli molto importanti”…
Per Shirin, il vero cambiamento può venire soltanto dalla gente “Solo un cambiamento che viene da dentro, mai un cambiamento che viene da fuori del paese può aiutare” solo chi vede le cose dall’interno può trovare una soluzione concreta ai problemi dell’Iran, nemmeno gli iraniani che stanno troppo a lungo lontani dalla loro patria non hanno idea di come vadano le cose. Ci sono molte organizzazioni politiche iraniane negli Stati Uniti che credono nel ripristino dell’epoca dello scià, epoca che per Shirin è scaduta da tempo e non potrà mai tornare. Quegli iraniani che invocano il ritorno dello scià non sanno nulla dell’attualità del loro paese, non si rendono conto di quanto le cose siano cambiate. Questo perchè i mezzi di informazione non danno una reale immagine dell’Iran, ma ne danno un’immagine distorta, fasulla. In Italia si sa poco o niente riguardo all’Iran, l’ignoranza è così diffusa che “la maggior parte degli italiani pensa che l’Iran è un paese arabo…”

Per quanto riguarda le valutazioni sul sistema universitario e le differenze fra quello iraniano e quello nostrano, si deve dire che l’ opinione di Shirin è fondamentalmente critica verso l’Italia, anche se, a livello personale, lei ci ha confessato di aver incontrato una certa gentilezza e disponibilità. Questo purtroppo non è accaduto nell’ esperienze compiute frequentando la facoltà di Economia, da lei scelta come indirizzo di studio.
“Problemi tuoi.Quando hai deciso di venire a studiare in un altro paese dovevi considerare tutte le difficoltà che avresti potuto incontrare.”Questa é una delle risposte più emblematiche che si è sentita dire nel momento in cui ha cercato supporto nei docenti al fine di migliorare la sua capacità di comprensione delle lezioni che tenevano. Anche durante i primi esami sostenuti ha avuto modo di riscontrare nuovamente questa stessa superficialità ed indifferenza. Insomma, da questa posizione negativa è emerso che, secondo lei, in Iran l’istruzione universitaria sia maggiormente organizzata ed, in linea di massima, più facilmente accessibile dal punto di vista economico. Oltre tutto sono previsti dei limiti di tempo entro i quali è obbligatorio aver conseguito la laurea, ed esistono organismi universitari appositamente istituiti per il controllo e la vigilanza del comportamento dei docenti, i quali quindi sono generalmente più disponibili in quanto maggiormente responsabilizzati.
Per quel che attiene alle differenze principali fra i due popoli, iraniano ed italiano, si può dire che Shirin abbia praticamente posto l’accento cruciale sul rapporto che nei due paesi si ha, generalmente, con le istituzioni, con la classe politica dirigente e con gli organi di informazione. In Iran, secondo lei, c’è molta più diffidenza rispetto al comportamento medio degli italiani, il quale le sembra essere lassista ed abitudinario.In sintesi c’è uno stimolo minore ad andare ad analizzare quello che viene proposto dall’alto quotidianamente, ed il bisogno di ricercare fonti alternative ed il confronto con quello che accade all’estero risulta essere meno sentito nel nostro paese. Shirin peraltro afferma che questo sia naturale, in quanto nel suo paese trasmettono programmi radiofonici e televisivi sugli Stati Uniti, sull’ Inghilterra ed in generale sui paesi occidentali, per poi metterli a confronto con la situazione iraniana e dire, in fine, fondamentalmente tutte bugie, cercando di manipolare la realtà a favore degli interessi dello Stato. Secondo lei, inoltre, la mancanza di un effettivo senso critico e di una vera e propria volontà di analisi, confronto e dialogo non è presente solo negli spettatori, ma pure nel “mondo” di chi dovrebbe fare informazione e procurare, nel miglior modo possibile, gli strumenti idonei ad una osservazione più obiettiva e meno condizionata. Per fare un esempio, durante il primo anno della sua vita in Italia, vide alla televisione un sevizio giornalistico che parlava di Teheran (città di 15 milioni d’abitanti) inquadrando un’immensa distesa desertica, quando paradossalmente la città è posizionata in una zona montuosa.
Degno di essere riportato è, poi, il suo pensiero sulla figura della donna in Italia, ed in generale in occidente, la quale è caratterizzata da una posizione di contrarietà. In primis, la sua critica è rivolta verso quella logica, che porta le donne a sembrare esclusivamente un oggetto da copertina in tutto e per tutto funzionale ai bisogni del sesso maschile. Anche da ciò emerge, per contrapposizione, il fatto che in Iran questo tendenziale sfruttamento dell’immagine femminile non si riscontra assolutamente, e non solo semplicemente in virtù del contesto religioso e culturale, ma, soprattutto, perché sussistono espliciti impedimenti legislativi in tal senso.
Per chiudere, ritornando sul discorso delle aspirazioni future, ci dice”Io credo che, per la realizzazione di questa mia speranza, la chiave irrinunciabile sia la conoscenza, la cultura, la quale sola può salvare dall’ignoranza e quindi, molto probabilmente, dalla miseria e dal degrado. In particolare la mia aspirazione è sempre stata conseguire una laurea universitaria, per poi acquisire una cattedra in un ateneo iraniano. Ora ho visto che, comunque, è molto “rischioso” fare programmi a lungo termine, a maggior ragione se ti trovi all’estero, perché non sai mai cosa ti può accadere nel mezzo e chi potresti conoscere durante tale esperienza. Quello che resta indiscusso è che non vorrò mai “tagliare i ponti” con la mia terra di origine, l’Iran, dove sicuramente, prima o poi, farò ritorno.”

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