martedì 14 ottobre 2008

Giovani insegnanti nella scuola italiana: una specie in via d'estinzione

Chi segue le peripezie del nostro blog, avrà sicuramente notato come in questa ultima settimana il sottoscritto abbia rotto le scatole assai con vari articoli relativi alla riforma Gelmini della scuola. È chiaro che nel parlare della questione sono in palese conflitto di interessi, in quanto riporto nel blog – quindi in uno spazio aperto a tutti e che dovrebbe concernere tematiche di interesse comune – problematiche riguardanti specificatamente la mia professione. La pubblicazione di questo mio post risulta ancora più indegna se teniamo conto di quale categoria mi sto accingendo a difendere. Gli insegnanti, questi individui spregevoli che lavorano solo 18 ore a settimana, i cui spropositati guadagni dissanguano le casse dello stato alimentate dalle nostre tasse; era ora che qualcuno li tagliasse come si deve, questi parassiti; per fortuna che Silvio c’è…

L’opera meritoria intrapresa dal Ministro della Pubblica (D’)Istruzione Giulio Tremonti (e dalla sua simpatica valletta Mariastella Gelmini) si realizzerà ricorrendo ad una strategia articolata, che prevede l’accorpamento delle scuole in un numero ridotto di poli, la riduzione del monte orario previsto per ogni indirizzo, il superamento delle attività di co-docenza con insegnanti specializzati (di laboratorio, di lingue, etc.), il taglio drastico degli istituti serali e chi più ne ha più ne metta. Il Ministro, chiunque esso sia, amorevolmente ci spiega che tali tagli non sono dovuti solo ad esigenze di bilancio, ma ad alti principi sociali e pedagogici. Ad esempio, nel giustificare la volontà di chiudere tutti gli istituti con meno di 300 alunni, lo schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione afferma che la polverizzazione sul territorio di piccole scuole non risulta funzionale al conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici, in quanto non consente l’inserimento dei giovani in comunità educative culturalmente adeguate a stimolarne le capacità di apprendimento e di socializzazione. E io che pensavo che lo facessero solo per non sganciare un euro…sono proprio un malpensante.

Morale della favola, quando fra tre anni il decreto sarà a pieno regime, più di 87 mila insegnanti (corrispondenti a circa il 11-12% della attuale classe docente italiana) si ritroveranno letteralmente con le braghe a terra. A questi dobbiamo aggiungere altri cospicui tagli che riguarderanno il personale ATA (circa 45 mila tra bidelli, segretari, collaboratori di vario genere seguiranno la stessa sorte). In sintesi, entro tre anni 132 mila persone saranno a spasso e dovranno cercarsi un nuovo lavoro. Il piano programmatico parla di possibilità di riconversione professionale dei docenti e [del loro] utilizzo in compiti diversi dall’insegnamento; la qual cosa mi fa molto sorridere, perché suppongo sarà necessario elargire vaste risorse finanziarie per farci imparare (e si sa che gli insegnanti sono duri di comprendonio) un lavoro diverso da quella che volevamo fare. Se fate una gita in quel di Assisi, probabilmente mi avrete come guida turistica. Alla vostra destra potete ammirare lo splendido scenario della Basilica di San Francesco…

Il decreto Gelmini aggredisce drasticamente un intero ambito professionale, creando ansia e preoccupazione in tutti gli insegnanti della scuola italiana. Tuttavia esiste una categoria che uscirà dal ciclo riformatore con le ossa ancora più rotte degli altri. Quale? La risposta su, non è affatto difficile. I documenti non parlano, se non in maniera molto vaga, di criteri meritocratici e questo significa che ad essere colpiti saranno soprattutto i precari e i giovani. Già in questo anno scolastico sono state sospese le SSIS, le scuole di specializzazione che danno l’abilitazione all’insegnamento. Non che ne abbia nostalgia, assolutamente, visto che la logica che ne impregnava anche i muri certamente non poteva dirsi finalizzata alla formazione dei futuri docenti; che le SSIS fossero uno dei tanti scandalosi sistemi di potere del nostro paese, con cui elargire favori e finanziamenti ad amici e ad amici di amici, è una questione ben nota e la loro chiusura non scatenerà mai la scesa in piazza di orde popolari furiose. Tuttavia la fine delle SSIS sta a significare che – almeno nei prossimi anni – non verranno fatte più nuove assunzioni nel mondo della scuola. Un neolaureato al momento ha possibilità pari a zero di trovare lavoro nel campo dell’insegnamento. E anche i ragazzi che hanno avuto la “fortuna” di conseguire l’abilitazione e di rientrare nelle graduatorie, si trovano comunque con una bella spada di Damocle sulla testa; gli immediati tagli della mannaia tremontgelminiana riguarderanno soprattutto i più giovani, che sono quelli messi peggio in graduatoria a causa della scarsa anzianità. In assenza di criteri di merito, i giovani saranno i primi ad essere “epurati”.

Già oggi la classe docente italiana si caratterizza per avere una lunga “esperienza”. L’età media degli insegnanti si attesta sui 50 anni, con una presenza insignificante (intorno allo 0,6 %) della componente under 30. La gavetta nel precariato risulta piuttosto lunga e mediamente un docente può aspirare a diventare professore di ruolo intorno ai 40 anni. La riforma non farà altro che dilatare nel tempo questi dati, spingendo molti “sbarbatelli” anche motivati ad insegnare, ad intraprendere invece altre strade. I giovani nella scuola sono una specie in via d’estinzione: nessuno sembra essersene accorto, nessuno fa niente per invertirne la tendenza.

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