martedì 14 ottobre 2008

Montgomery, 1955




Martin Luther King, I have a dream


Ultimamente troppo spesso assistiamo ad episodi di grave intolleranza contro immigrati e stranieri. Ricorderemo tutti il fatto di Milano in cui un giovane ragazzo di colore italiano, Abdul William Guibre, è stato massacrato a sprangate per aver rubato forse solo una scatola di biscotti. Seguono gli episodi di Castel Volturno, con la strage di 6 extracomunitari, di Roma, con il pestaggio di un giovane cinese, di Parma, con il presunto pestaggio da parte della locale polizia municipale del giovane Emmanuel Bonsu, e ci arriva da Varese in questi giorni la notizia di una quindicenne marocchina picchiata ed insultata per aver osato non lasciare il suo posto dell’autobus ad una coetanea bianca. Quest’ultimo episodio non può non riportare alla nostra mente la vicenda di Rosa Luois Parks, l’attivista statunitense afroamericana di Montgomery (Alabama) divenuta famosa per aver rifiutato nel lontano 1955 di cedere il posto dell’autobus ad un bianco.
E’ davvero lontano quel 1955? L’America di ieri, quella del Ku Klux Klan e di Martin Luther King, è davvero così lontana dall’Italia di oggi? Non voglio certo paragonare le azioni del KKK con quelle di ragazzini o adulti italiani, ma al di là delle azioni restano le motivazioni e le intenzioni che spingono persone a compiere certe gesti. A questo punto sarebbe quindi opportuno chiedersi se le motivazioni e le intenzioni che supportarono certi episodi nel profondo Sud statunitense sono le stesse che sono oggi alla base dei fatti di casa nostra. Di fronte a questi episodi subito ci viene detto che sono fatti isolati, che l’Italia è tollerante e che gli italiani non sono razzisti. D’altro lato si parla di clima di intolleranza legato a dinamiche semifasciste.
E’ chiaro che la questione richieda un’analisi socio-culturale ben più complessa. Resta comunque il fatto, a mio giudizio, che le dinamiche di certi episodi, legate ad un determinato clima politico – intendo soprattutto la questione della sicurezza – sembrano presupporre come legittimata una forma di giustizia arbitraria e soggettiva, nel caso in cui questa sia rivolta verso gli immigrati stranieri, fonte dei mali e dei malesseri italiani. L’Italia secondo me non è razzista, ha solo una paura, presunta, derivante da una diffusa ignoranza, non conoscenza dell’altro. Nel sentire parlare degli stranieri come una minaccia e nello sviluppare verso di loro forme di intolleranza più o meno manifeste, dimentichiamo di ricordare come minimo tre cose. In primo luogo dimentichiamo che fino a una trentina di anni fa noi italiani siamo stati per oltre un secolo un popolo di emigranti – e quindi di immigrati nei paesi di destinazione – subendo sulla nostra stessa pelle forme di intolleranza ingiustificata. In secondo luogo dimentichiamo con troppa facilità che quei neri o albanesi che ci pagano lauti affitti per “vivere” in un buco o quelle romene o ucraine che puliscono il culo ai nostri vecchi non hanno solo doveri, ma anche diritti. Dimentichiamo infine soprattutto che gli stranieri, gli immigrati o gli extracomunitari sono in primo luogo esseri umani che hanno preso la difficile scelta di abbandonare il proprio paese e spesso di stare lontano dalle proprie famiglie per ragioni non certamente futili o superficiali.
Sta a noi tenere lontano dall’Italia quel 1955.

1 commento:

Amadrugada ha detto...

Lo scrittore argentino Borges scriveva: "non sono sicuro di essere argentino... perchè non ho né sangue né un cognome italiano" possiamo quindi davvero sentirci diversi dagli immigrati che ora vengono da noi, se noi stessi fino a poco tempo fa andavamo a bussare alle porte delle Americhe e del Nord Europa? La memoria umana è davvero così breve? Ricordiamoci che "straniero" non è un insulto, e che da qualche parte siamo tutti stranieri.