lunedì 4 agosto 2008

Intervista a Padre Raimondo Ottavio

Da Missione Oggi del 26 aprile 2008

Umbria Radio inBlu



Antonio Caterino Un cordiale saluto agli ascoltatori di Umbria Radio, Antonio Caterino in studio per questo nuovo appuntamento di Missione Oggi. Questa mattina siamo in collegamento telefonico con Padre Raimondo Ottavio, direttore della Editrice Missionaria Italia. Buongiorno Padre Raimondo, è un piacere averla collegata per telefono con Umbria Radio.

Padre Raimondo Ottavio Buongiorno a tutti coloro che ci ascoltano, buona giornata.

Antonio Caterino Oggi, con Padre Raimondo, volevamo parlarvi di Don Milani e della chiesa di Don Milani.

Padre Raimondo Ottavio E mi sembra un tema quanto mai attuale. Giorni fa leggevo una frase di un altro prete contemporaneo di Don Milani ─ Don Primo Mazzolari ─ una frase in cui questo uomo che ha vissuto nel Polesine scriveva: “ Il Cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Fare la pace è la sua vocazione. ” La nostra vocazione è fare pace. In un mondo diviso, in un mondo in cui ci sono tanti abissi e tante lontananze, il Cristiano è l’uomo della vicinanza. E sembra che questa frase Don Primo Mazzolari la abbia scritta apposta per definire la personalità di Don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana. Don Lorenzo Milani, profeta del rinnovamento. È il titolo di un nuovo libro della EMI. Lo ripeto, La Chiesa di Don Milani, profeta del rinnovamento. Molti di noi conosciamo Don Milani soprattutto come insegnante, come maestro. Ma prima di tutto Don Milani è uomo di fede. Un giorno ha scritto queste parole in una sua lettera, parlando di sé stesso (anche se scriveva al plurale): “Noi la Chiesa non la lasceremo mai, perché non possiamo vivere senza i suoi sacramenti, senza il suo insegnamento. Non potrei vivere nella Chiesa neanche un minuto se dovessi viverci di un atteggiamento difensivo o disperato. Io ci vivo e ci parlo e ci scrivo con la più assoluta libertà di parola, di pensiero, di metodo e di ogni altra cosa. Non ho alcuna fretta di portare i giovani alla Chiesa.” È fantastico quello che stiamo per leggere, come lo è altrettanto quello che abbiamo appena letto da questa lettera: “Non ho alcuna fretta di portare i giovani alla Chiesa, perché so che cascheranno da sé nelle sue braccia appena si saranno accorti di essere delle povere creaturine ignare del futuro e di tutte, piccole e sporche; creaturine buone solo a far porcherie, a vantarsi, a pensare a sé stesse.” È un linguaggio forse particolare, è il linguaggio di Don Lorenzo Milani che parlava pane al pane. E in questa citazione che sto per terminare, continua: “Quel giorno dove vuoi che si rivolgano questi giovani? al marxismo, al liberalismo, al protestantesimo, all’ateismo? Si rivolgeranno lì dove si assolvono i peccati e si promette – anzi si assicura – il perdono di Dio e la vita eterna. ” Ho voluto riportare questo lungo brano di una lettere di Don Milani scritta nel 1959 ad una signora di Milano, Francesca Inchino, per dare un piccolo saggio della ricchezza di questo libro, La Chiesa di Don Milani, profeta del rinnovamento. Due anni dopo, nel 1961, lo stesso Don Milani scriverà: “Di sbagli nella Chiesa ce ne sono, ma la Chiesa è madre; e se uno ha la madre brutta o che ha sbagliato, chi se ne frega? È sempre la madre.” Grazie amici di questi momento che mi avete concesso per condividere con voi la ricchezza di questo libro. Ma se mi permettete, sempre sul tema della pace (ricordando la frase di Don Mazzolari: il Cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Non basta essere in pace, bisogna essere di pace, costruire di pace), vorrei citare un altro libro della EMI, il titolo è I nomi della pace. E termina con una poesia molto bella che vi leggo volentieri:

Asia, Africa, Europa
non importa da dove tu venga
purché sia un luogo dove si coltivi la Pace.

Bianco, nero, giallo
non importa il tuo colore
purché il tuo colore sia dipinto di Pace.

Cristiano, ebreo, musulmano
non importa qual è la tua religione
purché preghi per la Pace.

Tamburo, tromba, corno
non importa qual è il tuo strumento
purché suoni musica di Pace.

Palma, acacia, baobab
non importa qual è il tuo albero
purché tu lo eregga a simbolo di Pace.

Vecchio, giovane, uomo, donna
chiunque tu sia
purché custodisca la Pace
e di pace ovunque tu possa infiorare
la madre terra in cui vivi.

Mi sembra molto bella. È un libro scritto soprattutto per i ragazzi, per gli adolescenti. Una bambina africana abbandona il suo villaggio e nella sua solitudine fa amicizia con un grande albero; e questo albero che ha le fronde molto alte ─ attraverso il vento ─ percepisce i sussurri di guerra e di pace che ci sono nel mondo e invita questa ragazza a diventare donna di pace. Ed è l’invito e l’augurio che io faccio a ciascuno di voi.

Antonio Caterino Padre Raimondo, la pace è un tema molto attuale. Io penso che, soprattutto in questi anni, l’umanità lentamente si stia abituando all’idea della guerra. Noi accendiamo la televisione e i telegiornali ci mostrano guerre dovunque, in Africa, in Asia; centinaia di guerre. Sfogliamo un giornale e continuiamo a vedere guerre dovunque. E poi alla fine, magari dopo cena, accendiamo la TV e decidiamo di guardare un film di guerra. Oppure al sabato pomeriggio, scegliamo al cinema di vedere un film di guerra. Non è che per caso ci stiamo abituando alla guerra e stiamo dimenticando la sua tragicità e la sua drammaticità.

Padre Raimondo Ottavio Credo di sì. Guarda, questa domanda è quanto mai opportuna perché tocca ciascuno di noi. Stiamo dentro ad una realtà che è una cultura della guerra, della violenza. Per me il vero problema non è il pericolo di abituarsi alla guerra. Il problema è di riuscire a togliere le radici di questa cultura, di questo bisogno di contrapposizione, di violenza e di guerra. E le radici che portano a questo atteggiamento, a mio modo di vedere, sono tre. Primo, la cultura della competitività. La competitività a cosa ci porta? All’affanno di cercare cose, a differenza della convivialità del vivere con l’altro. In questa ricerca continua e affannosa di cose, ecco che l’altro può diventare un disturbo. E allora viene eliminato. Quello che importa è non perdere le cose, non perdere i beni. Secondo idolo ─ possiamo chiamarlo così ─ che ci porta alla violenza e alla guerra è la cultura del profitto a tutti i costi; il profitto che ci fa dimenticare la gratuità e che ci fa dimenticare il dono. La ricerca del profitto porta ad emarginare e ad eliminare l’altro perché mi impedisce questo profitto, questo accumulare le cose. Terzo, la radice del possesso, del voler possedere. Abbiamo dimenticato che le cose non sono fatte per essere possedute ma per essere usate; ecco che allora si capisce il perché di un mondo dominato dalla competitività, dal profitto e dal possesso. C’è questa tendenza, a livello istituzionale come a livello individuale, di lottare, di scontrarsi con l’altro e di eliminare l’altro. La guerra può essere vinta nella misura in cui cresciamo nella capacità di vivere con l’altro, di scoprire la bellezza della gratuità e del dono, la bellezza della condivisione delle cose attraverso l’uso. Gandhi – e concludo – scriveva poco prima di morire questa frase: “ Chi può rubare ad un uomo che dorme sopra il sole? ” Ecco, io ho paura dell’altro, l’altro diventa un nemico nella misura in cui io non so dormire sotto il sole, ossia essere uomo libero; nella misura in cui cerco competitività, profitto e possesso. Come missionario – in questa trasmissione missionaria – dobbiamo ricordare che la vita o è vita per tutti o non lo è per nessuno; il futuro sarà futuro per tutto o non lo sarà per nessuno. E questo futuro passa solo attraverso la cultura della pace, dove le persone vengono prima delle cose. Grazie.



Di Padre Raimondo Ottavio, leggi anche la riflessione sullo stato dell'informazione.

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