domenica 31 gennaio 2010

Socialmente Giovani aderisce a Net1News

Da qualche giorno un piccolo banner bianco compare in alto a destra sulla pagina principale del nostro sito. Socialmente Giovani ha aderito a Net1News, un progetto per un nuovo modello di organizzazione delle informazioni sul web. Net1news (o Nettuno) è la prima net news attiva in Italia, uno strumento che intende dare visibilità a tutta una serie di piccoli blog che producono informazione "dal basso" (citizen journalism). Il portale aggregherà le notizie dei vari blog, dividendole per categorie e zone geografiche e fornirà sulle sue pagine brevi riassunti degli articoli, rimandando il lettore ai blog "originali" per la lettura completa. L'obiettivo dichiarato è quello di creare un canale pubblicitariamente appetibile e suddividere gli introiti con i siti e i blog partecipanti in maniera proporzionale al successo riscosso dai contenuti.

Ecco un video di presentazione del progetto:



Qui una demo di quella che sarà la prima pagina del sito, pronto per l'uscita tra pochi giorni. Per avere invece maggiori informazioni, visitate il blog www.net1news.blogspot.com.

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sabato 30 gennaio 2010

MARGHERITA HACK e CURZIO MALTESE a Perugia




In allegato l'invito all'incontro con MARGHERITA HACK e CURZIO MALTESE a Perugia, al Teatro Pavone, martedì 2 febbraio, alle ore 21, in occasione della presentazione dell'ultimo libro della HACK "Libera scienza in libero stato". L'iniziativa è organizzata dall'Associazione Banana Republic ed altri.

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mercoledì 13 gennaio 2010

l'Italia agli italiani... o il mondo agli esseri umani?


“Se fossimo al paese loro, non avremmo tutte le libertà che hanno loro da noi!” “vengono qua per delinquere, perché qua possono farlo in pace mentre al loro paese verrebbero puniti duramente!” “prima di tutto vengono gli italiani!” “l’Italia agli italiani!”…
Questi i commenti che molto spesso (troppo spesso) sento a proposito della sempre più forte presenza di immigrati in Italia. Commenti che si annidano nelle pagine dei giornali, che proliferano in televisione, che compaiono sulle labbra o negli occhi della gente comune. Commenti ai quali è molto difficile rispondere, perché provocano un tale livello di sconforto che la prima reazione è quella di sentirsi impotenti, quasi come se non riconoscessimo più il nostro Paese (che tanto ha sofferto appena mezzo secolo fa, sparpagliando i suoi figli ai quattro angoli del mondo) quando punta il dito contro l’ultimo arrivato.
Non mi sono mai chiesta se sia possibile una convivenza pacifica fra persone di religione, razza, lingua e culture diverse. È evidente che la cosa è possibile, a patto che esistano le condizioni materiali (possibilità di lavoro, di assistenza sanitaria, di educazione scolastica…) per poter permettere a entrambi le parti una vita dignitosa. In assenza di queste condizioni, si va a scavare uno squilibrio che espone l’immigrato al pericolo dello sfruttamento e della malavita, creando in lui un senso di disperata frustrazione che può culminare talvolta in pura violenza. Questa violenza però, viene strumentalizzata da chi di mestiere per mettere sul volto dell’immigrato (l’immigrato reo in particolare e qualsiasi immigrato in generale) una maschera di “criminale spietato ed efferato”, fornendo così un brillante prodotto mediatico in grado di appassionare tutti e di nutrire una campagna elettorale permanente in nome della “difesa degli italiani dal pericolo straniero!”. La verità, è che la maggior parte di questi “criminali spietati ed efferati”, la maggior parte di questi barbuti terroristi arabi e di questi temibili assassini albanesi lavora per mantenere le famiglie, per mandar soldi a casa e i figli a scuola. E sempre di più lavora per poter tornare, non per restare.
Mi sono chiesta invece di quali libertà essi godono da noi (se si esclude quella di lavorare in nero 12 ore al giorno per un salario molto spesso inferiore a quello delle 8 ore di un italiano). Mi sono chiesta come si possa condannare un’intera categoria costituita da milioni di persone per qualche episodio di violenza perpetrata da mani straniere. Mi sono chiesta secondo quale ragione debbano prima venire gli italiani, e soprattutto continuo a chiedermi chi sono questi italiani. Stiamo parlando di quel popolo formatosi dall’incontro, dallo scontro (e dall’integrazione) di molte realtà diverse, di quel popolo sballottato fra il dominio dei Papi e quello di potenze straniere? Stiamo parlando dello stesso popolo che oggi si divide in “padani” e “terroni”? Lo stesso popolo che da più di un secolo cerca la sua identità nazionale, perdendola di continuo nei suoi regionalismi e nei suoi micro- patriottismi? E in che modo la presenza di immigrati potrebbe minacciare “l’identità” di questo popolo? Le moschee non gettano in ombra le chiese. L’intolleranza, invece, può gettare ombra sia sulle moschee che sulle chiese, rendendole entrambe simboli di uno scontro di estremismi bieco e frustrato, vicino all’isterismo collettivo.
Un’integrazione giusta ed equilibrata permette invece una compenetrazione fra culture diverse, nel rispetto delle leggi che vigono nel Paese di accoglienza. Solo così possiamo evitare che eventi quali quelli di Rosarno si ripetano nella loro tristissima essenza. È sconvolgente ciò è che potuto succedere sotto gli occhi dello Stato e quelli (molto più vigili) dell’ndrangheta. Cittadini italiani esasperati, prede facili per la campagna di odio nei confronti dell’immigrato, che fronteggiano i neri schiavi dell’ndrangheta, esasperati a loro volta dalla miseria. Chi può distribuire le colpe, in questa situazione disperata? Chi può biasimare un cittadino italiano che ha paura, chi può biasimare un immigrato sfruttato e calpestato nella sua dignità? Le colpe, come troppo spesso accade, scivolano dalle spalle dei veri responsabili per andare a gravare su quelle degli innocenti. Dietro la violenza ingiustificabile (SIA da parte degli immigrati CHE da parte degli italiani) si celano colpevoli più grandi, che non verranno puniti perché non si sono sporcati le mani col fango della battaglia. L’ndrangheta, la mafia nigeriana che con essa collabora affiatata per quanto riguarda il traffico di droga, le molto più discrete catene di distribuzione nei supermercati (che non si fanno scrupoli a comprare e rivendere arance raccolte da schiavi), il silenzio complice della politica (regionale e nazionale)… tutto questo non viene preso abbastanza in esame, poiché grazie al fantastico diversivo dell’immigrato tutto il resto può essere comodamente taciuto.
Credo che la convivenza sia non solo possibile, ma necessaria. L’Italia, in questo momento, ha molti problemi reali e molti nemici immaginari. Attenzione però, perché questi nemici immaginari fanno presto a diventare realtà, quando non si fa altro che parlare di loro, quando invece che aiutarli ad integrarsi li si guarda con un sospetto che è già la metà della loro condanna all’emarginazione. L’altra metà se la costruiranno da soli, attraverso la chiusura esasperata nella loro comunità e la mancanza di contatti con il mondo esterno.
Non si può negare che l’immigrazione sia un problema. È vero che l’Italia non può permettersi di accogliere tutti indistintamente, ma non è nemmeno accettabile che vi siano state navi cariche di migranti rimandate indietro senza essere state soccorse dalla guardia costiera italiana. Non è rispedendo i clandestini al luogo di partenza (che potrebbe essere il deserto libico, dove verranno senz’altro abbandonati dalle autorità incuranti del fatto che potrebbero morire nel tentativo di fare ritorno a casa), non è instaurando il “reato di clandestinità”, non è infliggendo ai clandestini l’orrore dei CIE e dei CPT che si risanerà la piaga dell’immigrazione. L’immigrazione è un problema che va risolto alla base, nei paesi d’origine di coloro che fuggono, con l’aiuto di reali politiche internazionali concretamente votate alla risoluzione del problema. Finché questo non accade, qualcuno deve prendersi cura dei migranti, perché sono una delle categorie più a rischio che il nuovo millennio trascina nelle sue correnti, e al tempo stesso sono una risorsa preziosa (e non solo pericolosa) che, se maneggiata con cura, può arricchire immensamente il patrimonio culturale dei paesi che li accolgono. Certo bisogna ridimensionare la portata di questo flusso migratorio, per poter permettere a tutti coloro che entrano in Italia di poterci vivere dignitosamente, ma bisogna soprattutto spezzare questa “cultura della paura” che avvelena i rapporti tra immigrati e autoctoni, per debellare il rischio di una tempesta e per favorire un’integrazione reale, pacifica e fruttifera.

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domenica 10 gennaio 2010

Il sasso nell'acqua

Con l'intenzione di non allentare l'attenzione sul tema dell'acqua pubblica, soprattutto alla luce dei recenti provvedimenti che impongono ai comuni italiani di privatizzare i servizi di gestione dell'acqua, riportiamo l'appello lanciato al termine del 64esimo convegno giovani promosso dalla Pro Civitate Christiana e da Pax Christi. Il convegno, dal titolo significativo "Il sasso nell"Acqua", si è tenuto ad Assisi tra il 27 e il 30 Dicembre 2009 e ha avuto tra i relatori P. Alex Zanotelli, noto padre comboniano impegnato nelle battaglie di ripubblicizzazione dell'acqua.

Noi, riuniti ad Assisi per il 64esimo convegno giovani(27-30 dicembre 2009), promosso dalla Pro Civitate Cristiana, dal titolo "Il sasso nell'acqua", dopo tre giorni di dibattiti e di confronto sul tema dell'acqua, desideriamo lanciare un nostro messaggio.

Noi crediamo che l'acqua sia vita! La vita nasce dall'acqua: l'acqua è il cuore stesso della vita. L'uomo è acqua che cammina, che pensa. Per questo noi affermiamo che l'acqua è un diritto fondamentale dell'umanità, come ribadito da Benedetto XVI, nella sua enciclica "Caritas in veritate", che proclama l'accesso all'acqua «come diritto universale di tutti gli esseri umani senza distinzioni né discriminazioni».

Noi affermiamo che l'acqua è essenziale per la vita di ogni uomo e di tutti gli esseri viventi. L'uomo è custode delle risorse idriche, che devono essere garantite a tutte le creature. A tutte le donne e a tutti gli uomini devono essere assicurati l'accesso all'acqua e la quantità utile a garantirne la vita di almeno 50 litri al giorno, come sancito dall'Onu. La mancanza di accesso all'acqua provoca vittime in tutto il mondo. Si tratta di un diritto delle generazioni future. L'acqua è una risorsa limitata. Solo una minima parte dell'acqua del pianeta è dolce e la maggior parte è contenuta nei ghiacciai, oggi sotto minaccia di sparire per il surriscaldamento terrestre.

L'acqua non deve essere sprecata e va preservata nella sua qualità. L'acqua disponibile deve essere gestita in modo equilibrato, anche a garanzia delle generazioni future. Noi affermiamo, proprio qui dalla città di Francesco, uomo di Pace, che l'accaparramento delle risorse idriche genera conflitti e che le future guerre verranno combattute per l'acqua. Noi affermiamo che la gestione pubblica dell'acqua è fonte di democrazia e garanzia di pace tra i popoli. Noi affermiamo che le politiche dell'acqua devono essere improntate al rispetto dei principi enunciati e cioè devono scegliere la via della gestione pubblica delle risorse idriche; devono sottrarre l'acqua alle leggi del mercato e del profitto, a livello locale, nazionale e globale, anteponendo alle pressioni delle multinazionali il grido dei poveri.

Per questo noi condanniamo la decisione del Parlamento italiano del 19/11/09 di privatizzare l'acqua: è un atto gravissimo che noi riteniamo immorale. Per questo noi chiediamo che l'acqua rimanga gestita esclusivamente e direttamente dalle comunità locali, che hanno da sempre diritto di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile. Chiediamo a tutti i cittadini italiani di sollecitare la convocazione del Consiglio comunale per dichiarare l'acqua un bene di non rilevanza economica e aprire così la strada alla gestione pubblica diretta da parte dei Comuni, escludendo la spa tra i modelli di gestione dell'acqua. Noi chiediamo al governo italiano di escludere l'acqua dall'art. 15 166/09 e di riconoscere l'acqua come diritto fondamentale degli esseri viventi. Noi chiediamo a tutte le confessioni religiose e particolarmente alla Cei una presa di posizione chiara sull'acqua. Noi chiediamo alla società civile di compattarsi per un sempre maggiore impegno nella difesa del diritto all'acqua. Diamoci tutti da fare per salvare Sorella Acqua.


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