lunedì 19 ottobre 2009

Serge Latouche, il profeta della decrescita economica


di Isabella Rossi

Una folla di fan entusiasti ha invaso martedì scorso palazzo Donini. A Perugia, nel corso delle celebrazioni capitiniane 2008-2009 promosse dalla Regione Umbria, l’attesissima e seconda visita ufficiale - dopo quella del 1993 - di Serge Latouche, economista francese e profeta della “decrescita serena”. Non poche le analogie tra il pensiero di Aldo Capitini, il filosofo perugino ideatore della “Marcia della Pace”, e quello del professore emerito di Scienze Economiche, come ha sottolineato Luciano Capuccelli, presidente della Fondazione Aldo Capitini. Ma la lectio su “la decrescita come uscita dalla crisi” è partita con un’amara constatazione: “Assistiamo in diretta al crollo della civiltà occidentale. Per l’impero romano ci sono voluti secoli, per noi sono meno di trent’anni.” La crisi finanziaria scoppiata nel 2008 è, secondo Latouche, il frutto di una crisi economica globale iniziata molto tempo prima. “Già nel 1974 era in atto la crisi del fordismo. La vita del capitalismo si è protratta attraverso la bolla speculativa, e ora la crescita non è più possibile”. L’utopia dello sviluppo infinito, inaugurata dal Saggio sulla ricchezza delle nazioni (1776, ndr) di Adam Smith, è stata smentita nei fatti: “l’arricchimento ha riguardato solo una ristretta cerchia di borghesi, non i contadini né gli artigiani”. A partire dal 1850 è stata l’adozione del sistema termoindustriale, a rendere concreta l’utopia della crescita infinita proseguita, dopo la seconda guerra mondiale, con lo sfruttamento dei pozzi di petrolio. “Potenti schiavi meccanici al servizio dell’uomo” e una fede cieca nella crescita non hanno potuto evitare lo scontro con la realtà. Ma come è stato possibile tenere in vita l’utopia collettiva dello sviluppo infinito? Il meccanismo su cui si basa, ha illustrato l’economista, ha tre capisaldi: il marketing, il credito e l’obsolescenza programmata. Attraverso la pubblicità, soprattutto televisiva, “che fa girare 500 miliardi all’anno di dollari”, si è avuta la colonizzazione dell’immaginario collettivo, la tragica trasformazione dell’homo sapiens in “bestia consumans”. Gli effetti collaterali sono l’inquinamento spirituale, visivo ed acustico, e una fuorviante immagine del femminle. E’ proprio grazie all’incoraggiamento al credito ad ogni costo che le famiglie statunitensi si sono indebitate fino all’eccesso, ma “nel 2007 il sistema è crollato”. L’obsolescenza programmata trova un emblematico esempio nelle migliaia di cellulari buttati, perché resi obsoleti dalle tendenze programmate, contenenti un metallo raro, il coltan, “per il quale si è fatta una guerra nel Congo”. Un totalitarismo soft, quello della società dei consumi, secondo Latouche, ma pur sempre un totalitarismo. Ancora più drammatica la situazione dell’ambiente: “anche evitando di bruciare petrolio alla fine del secolo ci saranno almeno due gradi di riscaldamento del pianeta”. Ma, avverte l’economista, “se tutto va bene saranno 6 gradi”. Quarant’anni fa era possibile evitare la catastrofe, “ora la possiamo solo gestire per limitarla”. E avverte Latouche, “gli immigrati dal sud del mondo non saranno migliaia, ma centinaia di milioni. Paradossalmente il minor consumo indotto dalla crisi mondiale ha avuto un effetto positivo per l’ambiente, ma la disoccupazione è una tragedia per l’uomo. Ecco perché occorre uscire da una società della crescita ed inventare altri modelli. Quello della decrescita, puntualizza Latouche, è solo uno slogan, una provocazione in grado di mettere, per così dire, il dito sulla piaga. Sobrietà dei consumi, “crescita della gioia di vivere e del benessere” contro la demonizzazione della povertà misurata, “in cui un tempo si viveva senza vergogna” . Mentre ora “ad amministrarci è la mano invisibile dei mercati finanziari”, proprio questi concetti sono estranei al pensiero unico dello sviluppo infinito, secondo cui solo il consumo è il veicolo di felicità. Rivoluzionario, dunque il progetto della decrescita, “che vuole essere soprattutto matrice di alternative, che rendano possibile la creazione di un futuro sostenibile”. Niente soluzioni chiavi in mano. Non un passpartout per ogni paese, ma principi inspiratori, “ogni schema deve essere calato sul luogo”. Ad esempio “raccolta differenziata al posto dell’inceneritore” cita il professore incassando un applauso dai presenti, o produrre e consumare a chilometri zero. Utopie? Non per Latouche, che nel frattempo un suo programma per la Francia l’ha già stilato, “riuscendo addirittura ad essere eletto”. Inutile, dunque cercare di liquidare il suo progetto culturale con facili etichette. La sua forza maggiore, proprio come è accaduto per Capitini, la trae dal basso, dall’inspirazione della consapevolezza e della coscienza di ogni singolo individuo, a cui instancabilmente fa appello.

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