giovedì 11 giugno 2009

Referendum del 21 giugno: ma per cosa si vota?


tratto da www.thepopuli.com (in corsivo, alcune integrazioni)

Tutti dovrebbero votare ma pochi ne parlano. Si tratta del referendum che si terrà il prossimo 21 giugno e che riguarda la modifica di alcune parti dell’ultima legge elettorale, meglio conosciuta come porcellum. Vediamo allora cosa si chiederà agli italiani attraverso i tre quesiti proposti.

Il primo ed il secondo hanno lo stesso concetto di base. Sia alla Camera che al Senato verranno impedite coalizioni di liste, mentre potranno presentarsi solo delle liste di partito uniche, a cui verrà poi assegnato il premio di maggioranza. Ad esempio: oggi abbiamo il Pdl che si è alleato con la Lega Nord, oppure il Partito democratico alleato con l’Italia dei Valori. Bene, queste coalizioni si sono presentate nel 2008, ed il premio di maggioranza è stato attribuito alla coalizione di centro destra. Con tale premio, al momento del calcolo dei seggi da attribuire in Parlamento, una parte di tali seggi è sottratta dal calcolo proporzionale, per essere attribuita alla coalizione che vince le elezioni, rafforzandone la sua maggioranza parlamentare. La differenza sostanziale tra i due rami del Parlamento è che alla Camera la ripartizione dei seggi (e quindi del premio) avviene su base nazionale, mentre al Senato su base regionale.

Cosa succederebbe allora se passassero i due quesiti referendari? Il premio di maggioranza non verrebbe dato più alla coalizione ma al singolo partito; inoltre anche la soglia di sbarramento (ovvero la percentuale minima di voti per accedere al Parlamente) verrebbe calcolata non più sulla coalizione bensì sulla lista. Questa sarà del 4% alla Camera e dell’8% al Senato (quest'ultima calcolata a livello regionale).

La principale ed intuibile conseguenza è questa: i partiti si “fonderanno” in un unico schieramento per avere più forza elettorale, dato che il premio sarà dato al Pdl o al Pd e non ai partiti “satellite”, i quali esponenti, per essere rappresentati, dovranno confluire nei partiti maggiori (è il caso di Alleanza Nazionale, che è confluita nel Pdl).

Interessante il terzo quesito, ovvero il divieto di candidature multiple in più (anche tutte) circoscrizioni. Oggi chiunque, sfruttando la propria notorietà, può candidarsi presso tutte le circoscrizioni: ovviamente, se sarà eletto, ne potrà scegliere solo una e rinunciare alle altre; se vince nella circoscrizione nord, per fare un esempio, e se ha già vinto in quella sud, dovrà scegliere quale seggio occupare(sono stato eletto al nord o al sud?). Ma il problema è un altro: a seconda della scelta che compie, il neo-eletto dispone anche del destino degli altri candidati nelle altre circoscrizioni, dove vinceranno i primi candidati “non eletti” che subentreranno al suo posto, dato che ha rinunciato. Si tratta di un fenomeno patologico in Italia: 1/3 dei parlamentari è stato scelto, oggi, da chi è già stato eletto e non dagli elettori.

Pro e contro. Se al referendum vincerà il “Si”, come dicono alcuni esponenti, lo scenario politico nazionale sarà diverso. Si andrà sempre più verso un sistema bipartitico. Solo due partiti “di massa”, il Pdl ed il Pd; per gli altri ci sarà poca scelta: confluire o tentare di superare la soglia di sbarramento. Il pluralismo politico non ne beneficerà. È anche vero che, in tal modo, non potrà più accadere che un partito rappresentato per lo “zero-virgola-talmente-poco” faccia cadere un governo.

Pdl e Pd sono favorevoli: la loro base elettorale ne garantirà un’egemonia sia da una parte che dall’altra. I contrari. Partiti come la Lega Nord, ovviamente, sono contrari a tale scelta, poiché perderebbero definitivamente il loro potere elettivo, dato dal numero di seggi ottenuti, sul Pdl. Un solo partito avrà la possibilità di governare autonomamente.

Gli astenuti. Molti sostengono che bisogna far mancare il quorum, quindi non andare a votare. Se vince il “Si”, sarà probabile un ritorno alle urne con la nuova legge elettorale. Per Pancho Pardi, politico e scrittore, si tratterà di un “suicidio dell’opposizione”: se è vero che Silvio Berlusconi ed il suo partito hanno un’alta percentuale di consensi, ed alla luce del fatto che già oggi riescono a governare con una maggioranza indisturbata, un ulteriore premio di maggioranza, oltre alla possibilità di governare praticamente da solo, metterebbe a serio rischio il sistema democratico. Per il Pd si tratta di un rischio che bisogna correre. Ma se per rischio si intende che una formazione politica autonoma ed indipendente possa arrivare anche al 60% dei seggi e, quindi, poter governare con un’ampia autonomia che può anche non curarsi dell’opposizione?

Una cosa è certa: molta gente, per altro non biasimabile, non conosce ancora i quesiti del referendum ma soprattutto non è in grado di scegliere. Perché non organizzare un dibattito su questo allora, magari senza i politici e con la presenza di esperti. Quel vecchio concetto di informare l’opinione pubblica, in pratica.

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