venerdì 15 maggio 2009

Note sull'immigrazione clandestina: intervista a Gabriele Del Grande





Trascrizione dell'intervista

Gabriele Del Grande, tu sei il curatore del blog www.fortresseurope.blogspot.com, un osservatorio su internet che si occupa espressamente del fenomeno dell’immigrazione clandestina. Ci puoi descrivere brevemente questo progetto?
Il sito è nato nel gennaio del 2006 da una semplice idea, quella di documentare le vittime dell’immigrazione lungo le frontiere dell’Unione Europea. Un lavoro di documentazione fatto negli archivi della stampa internazionale; dopodiché, dal 2006 a oggi, si sono accumulati una serie di reportage frutto di vari viaggi lungo le frontiere sud dell’Europa e soprattutto si è sviluppata una rete di associazioni, di giornalisti e di informatori che, da ogni angolo della frontiera, ci segnalano le situazioni che si vengono a verificare.

Questo tuo incontro avviene in un momento particolare in cui, a più livelli, è evidente un attacco nei confronti dei diritti degli immigrati senza permesso di soggiorno (ad esempio i recenti tentativi con cui si vorrebbero costringere medici e presidi scolastici a denunciare gli immigrati clandestini o alla vicenda degli immigrati rispediti in Libia senza che venisse fatto alcun tipo di accertamento medico o giuridico: fatto definito da Maroni come “storico” ). In tale contesto peraltro, si denota un arretramento culturale della popolazione italiana che sembra mostrarsi favorevole a questo tipo di interventi e manifesta sempre una maggiore intolleranza nei confronti degli stranieri che vivono nel nostro paese. Qual è la tua opinione a proposito e come pensi che si possa cercare di invertire la tendenza a questo tipo di atteggiamento?
Una domanda da un milione di dollari! Innanzitutto bisognerebbe capire di cosa stiamo parlando perché Maroni parla di passaggio storico nel contrasto dell’immigrazione clandestina come se l’immigrazione clandestina passasse per Lampedusa. Non c’è niente di più falso. L’immigrazione clandestina non passa da Lampedusa: l’immigrazione clandestina è in realtà un primo passo del percorso migratorio di tutti gli immigrati che oggi in Italia hanno il permesso di soggiorno. Che cosa voglio dire? Voglio dire che abbiamo una legge in Italia sull’immigrazione che rende impossibile assumere uno straniero anche quando questo entri in Italia in modo regolare con visto turistico. E quindi che cosa succede (sono cose documentate dai dati del Viminale)? Succede che si arriva in Italia nel 90% con il visto turistico, il visto scade, si entra nella clandestinità, si trova un lavoro in nero e poi di anno in anno ci si regolarizza con questi decreti flussi che vengono emanati da tutti i governi. Lo stesso Maroni, lo scorso anno, ha chiesto l’ingresso di 170 mila lavoratori stranieri: più di cinque volte i circa 36 mila che sono arrivati, nello stesso anno, a Lampedusa. Questo significa che il ministro Maroni, per ogni persona che arriva a Lampedusa, ne chiede altre cinque. Questi sono i dati, queste sono le proporzioni. L’immigrazione clandestina non passa da Lampedusa: 30 mila persone l’anno sono veramente una piccola cifra rispetto ai 4 milioni di immigrati che vivono nel nostro paese. Bisognerebbe capire prima che cosa è la clandestinità e come rendere possibile alle persone di fare quel viaggio in modo regolare; non sui barconi a rischio della vita, ma con il visto sul passaporto e con un comodo viaggio in aereo come facciamo noi quando andiamo a sud. Poi ci sono le questioni dei rifugiati politici: un terzo di chi arriva a Lampedusa viene riconosciuto, da apposite commissioni, come rifugiato politico (come persona cioè verso la quale ci sono degli obblighi internazionali di protezione, scritti nelle convenzioni dell’ONU ma anche – attenzione - all’articolo 10 della nostra Costituzione).

Nel tuo sito, nel parlare delle rotte dell’immigrazione clandestina verso l’Europa, denunci una situazione generale assolutamente drammatica. Solo per dare un dato, dal 1988 a oggi sono state documentate quasi 10000 persone annegate nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico verso le Canarie. Le istituzioni europee si stanno adoperando per limitare questo fenomeno? E quanto gli interessi geopolitici nei paesi di transito dell’immigrazione clandestina (come Libia o Algeria ad esempio) costituiscono un freno per dare una reale risposta a questo tipo di problema?
Diciamo che le vittime, ad oggi, sono ormai quasi 14 mila e sono solo quelle documentate; il che significa che possono essere molte di più (anche dieci volte tanto). Nessuno è in grado di sapere con certezza quello che avviene in alto mare. L’Europa che cosa sta facendo? L’Europa in realtà sta aggravando il problema. Che cosa voglio dire? Voglio dire che l’intensificarsi dei pattugliamenti lungo le rotte che geograficamente erano le rotte più brevi, cioè dal Marocco verso l’Andalusia, dalla Tunisia a Lampedusa, dalla Turchia alla Grecia, hanno fatto sì che quelle rotte non si sono affatto fermate ma si sono semplicemente spostate, su rotte più lunghe e più pericolose. Guardate quello che è successo ad esempio sul canale di Sicilia. Negli ultimi tre anni noi abbiamo osservato un aumento consistente delle morti in mare, passate da 350 del 2007 ad oltre 600 nel 2008 (quasi il doppio). L’aumento delle morti è legato proprio al cambiamento delle rotte: al fine di evitare quei pattugliamenti che respingono verso i porti di partenza, le rotte passano sempre più a largo: ormai si passano 3,4,5 giorni in mare, sono imbarcazioni che partono addirittura dall’Egitto. E questo come mai? Perché non si mette mano da un lato alla possibilità di viaggiare regolarmente da sud verso nord, dall’altro non si mette mano alla riapertura dei corridoi umanitari per i rifugiati (che non hanno nessun altro modo per chiedere asilo in Europa se non quello di rischiare la vita nel canale di Sicilia). Gli interessi in questi paesi, nei paesi della riva sud, rispetto al fenomeno? Più che di interesse, parlerei di disinteresse (nel senso che fino a poco tempo fa non c’era nessun interesse). Era un fenomeno che non faceva rumore, un transito: da quei paesi ci si imbarcava verso l’Europa, le organizzazioni criminali locali guadagnavano anche cifre consistenti (parliamo di un giro di affari di milioni di euro rispetto alle traversate). Quello che sta facendo oggi l’Europa è chiedere ai paesi della riva sud di contrastare il fenomeno, ovvero di arrestare - durante le retate che vengono fatte nelle capitali di questi paesi - le persone candidate a partire. Questo da un lato può avere l’effetto di ridurre il numero degli arrivi in Europa, ma dall’altro lato non si può non parlare degli effetti negativi e degli effetti collaterali. L’Europa sta cooperando con polizie e con regimi come quelli di Gheddafi, di Mubarak e di Ben Alì (personaggi decisamente poco democratici) alle cui polizie, addestrate da decenni alla tortura, affidiamo il trattamento non soltanto degli emigranti economici ma anche e soprattutto dei rifugiati politici. Dalla Libia noi abbiamo notizie di rifugiati politici eritrei (sono almeno 700) che sono detenuti da tre anni in carcere in condizioni inumane, non hanno nessuna prospettiva davanti se non quella di marcire in quelle carcere visto che in Libia non esiste nessun riconoscimento del diritto di asilo. Non basta chiedere ai paesi della riva sud di non far partire queste persone, bisognerebbe anche capire poi quale fine fanno lì.

1 commento:

Amadrugada ha detto...

Vorrei segnalare a proposito il libro di Fabrizio Gatti, "BILAL", un viaggio giornalistico che ripercorre le rotte dei migranti dal Senegal fino in Italia, passando attraverso il deserto del Sahel e il mar Mediterraneo. Sconcertante.