mercoledì 10 dicembre 2008

"Rose rosse", un centro antiviolenza salva una giovane umbra e i suoi figli

Inizia oggi la collaborazione con Isabella Rossi, giornalista della rivista on-line Umbrialeft, che periodicamente metterà a nostra disposizione alcuni dei suoi interessanti articoli. Socialmente Giovani la rigrazia per la disponibilità.



“Rose rosse” edito da Eranuova (Novembre 2008, 8 euro) è il memoriale di una donna vittima di violenza. Una testimonianza che lascia senza fiato. Non solo perché l'autrice, Beatrice Lilli, è un'umbra cresciuta e residente a Spoleto. Sorprendente è apprendere che colei che narra i fatti è una donna, nata poco prima del 68’, con una maturità scientifica di 54 su 60, con un diploma d’insegnante di ballo e l’aspirazione di laurearsi per esercitare la professione d'insegnante di educazione fisica.

Beatrice è una ragazza come tante altre. Sogna una vita migliore, sa di poter contare su se stessa. Poi, un momento di debolezza, un contesto familiare difficile, la decisione di sposarsi a soli 22 anni per fuggirne via, e tutto cambia. E’ così che inizia la spirale di violenze inaudite, di sofferenza fisica e morale che fa di Beatrice una vittima di uomini senza scrupoli. Uomini che puntualmente e inesorabilmente invocano il suo cieco e generoso perdono. Sempre, ogni volta, anche quando per lei il perdono della violenza avviene al prezzo della negazione di sé. Rose rosse, appunto.

Intanto ci sono tre figli e la speranza di riuscire a trasformare la violenza in amore. Ma i particolari agghiaccianti delle ferocie domestiche non sfuggono alla narrazione lucida e asciutta dell’autrice. Al contrario, vanno insieme alle promesse di cambiamento, così come il male assoluto, a volte, s’accompagna al bene. Non c’è contraddizione perché il limite, quel confine segnato dall’amor proprio e dall’autostima, è stato superato, troppe volte oltraggiato.

Il calvario di Beatrice non ha niente di umano, infatti. E’inaccettabile, è inguardabile come tutte le verità che non si comprendono ma che sono parte integrante della realtà italiana. Guardarle in faccia, invece, è ora più che mai indispensabile e urgente, visto che la violenza sulle donne, così come i “femminicidi”, è in aumento in Umbria e in Italia.

Ma il memoriale in questione non è soltanto la testimonianza di un calvario dato che non è la sofferenza a concludere la vicenda dell’autrice, bensì il riscatto. A 39 anni alla casa rifugio Zefiro, ad Ancona, Beatrice ha ricominciato a vivere. Ha ricevuto cure mediche, ha seguito una terapia, ha preso consapevolezza di se stessa, ha voluto che anche i suoi tre figli, che erano stati temporaneamente affidati ai servizi sociali, fossero seguiti da uno psicanalista per riuscire a rielaborare il loro difficile vissuto.

Da allora Beatrice ha anche iniziato un percorso di impegno civile e sociale contro il fenomeno della violenza sulle donne, portando la sua testimonianza alla trasmissione “Racconti di vita” su Rai3, ad un Convegno Nazionale sulla Violenza alle Donne e lavorando come volontaria al telefono donna di Terni. E tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di un centro antiviolenza che si trova nei pressi d'Ancona. Peccato che l'Umbria non ne sia ancora dotata e che tante, troppe donne umbre non abbiano mezzi per sottrarsi alla violenza domestica e ricominciare a vivere.

Il libro è stato recentemente presentato alla Sala Duchi Longobardi del Palazzo Comunale di Spoleto dall'Associazione Donne contro la guerra, con il patrocinio del Comune di Spoleto e del Centro Pari Opportunità Regione Umbria.


Isabella Rossi

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