venerdì 17 ottobre 2008

LA CLASSE... entre les murs


Eccomi di nuovo allo Zenith, ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Le strette scale che portano all’ingresso sono investite da un serpente umano di una certa lunghezza, un serpente umano che chiacchiera, che sbuffa, che si dà pacche sulle spalle e che avanza lentamente. Dopo un po’ mi arrendo all’evidenza: c’è la fila allo Zenith! Non i soliti quattro studenti, le solite cinque vecchiette, i soliti due innamorati… c’è una fila vera è propria! Guardando meglio la folla, ci si accorge che quasi tutti hanno visibilmente una faccia da professori… e quasi a conferma di ciò, ecco che mi ritrovo davanti una mia ex professoressa di matematica e un mio ex professore di storia! Li saluto, contenta di rivederli, ed entriamo nella sala cinematografica… il film che sta per cominciare è “LA CLASSE… entre les murs”, un film di Laurent Cantet basato sull’omonimo libro di François Bégadeau, professore di lettere in una scuola media di periferia di Parigi (nonché attore principale del film)… va ricordato, prima di guardare questo film (e per apprezzarne pienamente il valore), che tutti gli attori sono stati scelti nello stesso istituto dove Bégadeau insegna, non sono quindi attori professionisti e questo ci fa apprezzare ancora di più il loro talento e il loro impegno. La trama è molto semplice, anzi… sembra quasi che non ci sia una vera è propria trama, ma che il film sia piuttosto un documentario realizzato da un professore per dipingere al meglio la sua realtà.

Entrando in classe, la cinepresa si sofferma sui volti, sugli sguardi e sui gesti di ciascun studente, lasciando intravedere una realtà problematica, segnata da profonde cicatrici sociali, che però non viene mai rivelata del tutto, poiché durante tutto il film il punto di vista rimane quello del professore, che fa parte della vita dei suoi studenti senza poter però penetrare quell’invalicabile frontiera che lo separa da essi. Gli studenti, poco motivati e senza molto spirito d’iniziativa, vengono rappresentati come un turbolento e caotico gruppo di giovani che ignora le leggi della civile convivenza e ha imparato a vivere dalla strada. I genitori vengono rappresentati come illusi, come persone ignoranti che non conoscono il proprio figlio e gli mettono addosso i panni di primo della classe quando in realtà la media del loro piccolo genio non supera il 4… il film non è superficiale, poiché lascia intuire quali siano le dinamiche sociali e familiari che si nascondono dietro il comportamento dei giovani e che determinano il loro rapporto con l’autorità, ma insiste molto di più sul punto di vista di un professore deluso che cerca tuttavia di fare del suo meglio per invogliare i suoi studenti, per scatenare una reazione (una qualsiasi reazione) che possa risvegliare il loro interesse alle lezioni.

Confrontando il film con la situazione scolastica nella quale vivo, devo ammettere che ci sono alcune analogie. Di certo è differente la situazione sociale che ci circonda poiché il film rappresenta benissimo la realtà di una scuola urbana di periferia, ma non quella di una tranquilla (troppo tranquilla) scuola umbra all’ombra della Basilica di S.Francesco d’Assisi. Tuttavia, credo che ciò che accomuna le due scuole sia che parola d’ordine oggi è l’elogio del menefreghismo, dell’apatia nei confronti di tutto ciò che viene considerato “cultura”. È abbastanza frequente incontrare una concezione della scuola puramente utilitaristica e fiscale, nella quale contano soltanto i voti e manca spazio all’iniziativa, personale o di gruppo, all’inventiva, alla creatività. La paura di mettersi in mostra agli occhi dei professori e dei compagni condiziona spesso molti studenti che si sentono spinti a rientrare nei ranghi, a studiare quanto basta senza tuttavia darlo a vedere. La contestazione all’autorità non è sostenuta da motivazioni valide e il solito “NO!” non viene accompagnato da proposte alternative, ma resta sospeso nell’aria senza dare frutti. Vengono considerati “fighi” coloro che riescono ad arraffare una sufficienza senza studiare, e che poi se ne vantano davanti a coloro che (studiando o meno) al 6 non ci sono arrivati. Invece, chiunque provi ad approfondire un argomento, a studiare non solo per dovere ma anche per sete di sapere, a contestare il sistema scolastico per il suo (eccessivo) spirito didattico, a leggere un libro per interesse proprio, viene considerato uno sfigato. La contestazione al sistema è giusta e necessaria, ma se negli anni ’70 le università e le scuole venivano occupate per dare corsi alternativi, per formare lo spirito critico degli studenti, per ribellarsi alla logica del “pensare troppo fa male”, nel 2008 non esiste più (o almeno, non nella mia realtà quotidiana) una volontà di massa di cambiare e migliorare le cose, ma solo un lungo letargo durante il quale si studia solo perchè “si deve farlo”…

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