mercoledì 9 settembre 2009

Domande pretestuose sul lavoro che non c’è...

Ieri mattina, transitando in macchina dalle parti di Terni, sono stato involontario testimone di una scena drammaticamente insolita. Alcune persone, sospese a molti metri da terra senza alcuna protezione, poggiavano sul bordo di un viadotto e dislocando un lungo striscione, reclamavano il pagamento di 3 mesi di stipendio arretrati. Successivamente vengo a sapere che quei manifestanti sono dipendenti di due ditte edili del territorio, a cui l’ANAS ha commissionato (e già pagato) dei lavori di manutenzione delle strade. Oltre a non ricevere lo stipendio, gli operai sarebbero inoltre a grave rischio di licenziamento; da qui la decisione di inscenare questo estremo gesto di protesta, che sembra almeno abbia sortito l’effetto di mettere in moto le istituzioni politiche locali, per cercare di risolvere la vertenza.

Episodi come quello di Terni sono da annoverare tra i molteplici che riempiono le cronache di questi giorni. La vicenda della INNSE di Milano e dei suoi quattro operai legati alla cima di una gru per oltre una settimana ha innescato, quasi in una reazione a catena, decine di casi simili in tutta Italia, con lavoratori disposti a tutto pur di non perdere la propria occupazione. Un certo rumore, persino nei nostri anestetizzati giornale, hanno fatto anche le numerose manifestazioni dei precari della scuola: insegnanti arroccati sui tetti dei provveditorati, marce di protesta in mutande e giarrettiere, scioperi della fame e della sete, incatenamenti vari. Mi chiedo quale sarà la prossima categoria che, colpita duramente da crisi globali o da provvedimenti governativi, scenderà massicciamente in piazza…

Lavorando come insegnante precario, la questione occupazionale mi coinvolge da vicino e – non lo posso negare – genera in me una forte preoccupazione. Nella sola Umbria, i due provveditorati provinciali di Perugia e di Terni hanno messo a disposizione 380 contratti in meno (tra docenti e personale ATA) rispetto all’anno scorso. Altre stime prevedono che il bilancio definitivo dei tagli del comparto scuola sarà, per il solo a.s. 2009/2010, di circa 700 unità. E il peggio deve ancora arrivare…

In questo contesto, la crisi occupazionale non sembra neanche avere la precedenza delle priorità nelle agende dei nostri politici, poco importa siano essi di governo oppure di opposizione. Il “papi” è troppo impegnato a smantellare le istituzioni e a sbraitare contro chiunque non si allinei al pensiero unico dell’Unto del Signore. La sinistra sinistrata, d’altra parte, parla di cose assurde, incomprensibili ad una qualsiasi persona provvista di senno, si scanna su segretari, mozioni e correnti, si scinde in partitini e sottopartitini come in un processo di mitosi cellulare. In poche parole, si autocondanna alla sconfitta permanente. Sui sindacati poi, stendiamo un velo pietoso...

Finisce così che vengono a mancare gli interlocutori politici per affrontare i complessi problemi del mondo del lavoro; le cui conseguenze – dirò una banalità – sono un fardello pesante sulle spalle di tante persone. Da un punto di vista personale, ho vissuto in questi giorni molti momenti di rabbia e disorientamento. A 28 anni, credo sia arrivata l’ora di dispiegare le ali, lasciare il protettivo tetto parentale e andare a vivere per conto mio. Un progetto legittimo, quello di misurarsi con le proprie forze e cercare di costruire una vita indipendente, che però non può trovare attuazione nell’odierna situazione. Non vedo come questo sia possibile non avendo un lavoro...

E in fin dei conti, io non mi dovrei neanche lamentare. Ho ancora tutta una vita davanti, al momento sono protetto da quel grande ammortizzatore sociale che è la famiglia; i presidi, prima o poi, avranno ancora bisogno di me e in qualsiasi caso, posso sempre riconvertirmi a qualche altra forma di occupazione. Mi chiedo invece come possano sentirsi donne e uomini di 45-50 anni, che hanno lavorato per una vita, con famiglia e bambini a carico; e che all’improvviso, si sono sentiti dare il benservito senza troppi complimenti. Mi domando come potranno riqualificarsi in un mondo del lavoro quanto mai becero e competitivo, nel quale le necessità economiche e finanziarie prevalgono sempre di più sul rispetto dei valori e della dignità delle persone. Mi domando come riusciranno a superare le frustrazioni psicologiche, i sensi di colpa e di inutilità che inevitabilmente affioreranno. Mi chiedo infine se esista una soluzione a tutto ciò. Qualcuno è in grado di rispondere e proporre soluzioni, senza il rischio di finire querelati o essere tacciati di catastrofismo?

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