giovedì 16 luglio 2009

S.Elia, una poesia sul terremoto d'Abruzzo



Introduzione
A distanza di tre mesi dai terribili eventi del 6 aprile, sono nuovamente in terra di Abruzzo. Un ritorno voluto fin dai primi giorni successivi al terremoto, sulle tracce di un precedente viaggio a L’Aquila di alcuni anni fa. Quella volta arrivai al capoluogo risalendo la regione da Sulmona, imbarcatomi su di una “caffettiera” che, arrancando sui binari, attraversava terre di primordiale e selvaggia bellezza. Non avevo programmato quella visita, fu una decisione estemporanea presa alla stazione di Sulmona, incerto se tornare sulla costa o continuare nel cammino. Non sapevo nulla della città, non ne conoscevo la storia né tanto meno la tradizione, il classico viaggio all’avventura a destinazione ignota. Come a voler punire l’arroganza di un visitatore così sprovveduto, L’Aquila fu inizialmente restia a mostrare i suoi tesori. Il caldo umido e afoso di quella giornata d’estate, l’irta inerpicata al centro storico, un’irreale assenza di persone lungo le strade polverose, mi stavano facendo pentire di avere intrapreso quel viaggio. Ma mano a mano che salivo, lentamente si svelava tutto il fascino della città; bellissima, misteriosa, capace di sorprendere ad ogni angolo. E poi, cosa dire dei monumenti? La basilica di Santa Maria di Collemaggio, il forte spagnolo, le chiese del centro. Al calar del pomeriggio, un ultimo treno in partenza, ripresi la strada della stazione. Un diluvio di mezza estate prese a scrosciare impulsivo e senza ripari continuai a scendere per la via. Giunsi senza accorgermene ad una nuova meraviglia, la fontana delle 99 cannelle; lì, tra fulmini e tempeste, urlai impazzito come in un rito pagano.

Alcuni anni dopo, 6 aprile 2009, i giornali annunciano che tutto questo non c’è più. Che il sisma ha portato via ogni cosa, insieme alla vita di 308 persone. Incollato alle immagini televisive, subito mi assale il desiderio di un ritorno, a quella terra ora così colpita e martoriata. Ne ho finalmente l’occasione con gli eventi del G8, una manifestazione di protesta è organizzata contro i grandi del pianeta. Sebbene sia assolutamente critico verso le scellerate decisioni di quei potenti, il G8 è per me solo un pretesto, per tornare e vedere con i miei occhi. E mentre il serpentone scivola lungo le strade, mentre comunisti e anarchici urlano la loro rabbia al sistema, io sono lì e osservo. Osservo le case crollate, accanto agli edifici rimasti intatti; osservo le tende, e non lontane le new town in costruzione; e ancora gli sguardi della gente, le montagne dell’Appennino, il sole che picchia sopra i campi. In marcia verso L’Aquila, entriamo in uno dei tanti paesi piegati dal sisma. Siamo a S.Elia, un nome che le cronache hanno nei racconti trascurato, seppure lo scenario non sia mutato rispetto agli abitati vicini. In un attimo, mi distacco dal corteo e mi addentro all’interno del paese, divincolandomi tra le macerie ancora “vive e fumanti”. Ognuno di voi può immaginare gli stati d’animo che si vivono di fronte ad un tale genere di “spettacolo”; più difficile descrivere l’intensità di quei momenti e i sentimenti d’inquietudine che affiorano dall’anima. Nei giorni successivi, ho scritto una poesia, su quei brevi istanti eterni trascorsi a Sant’Elia. Volutamente, il componimento si concentra sugli oggetti materiali incontrati nel percorso, senza toccare la dimensione intimistica delle donne e degli uomini che nel paese vivevano. Fare altrimenti, senza aver vissuto le angosce indicibili del terremoto, sarebbe stato un atto di presunzione e di offesa. La poesia si chiama, semplicemente, Sant’Elia. Eccola, vado ora a recitarvela.

S.Elia
Case nell’ombra
di una mesta rovina
sventrate, ferite,
abbattute

Pietre disseminate
nell’arco di una collina
tegole, calcinacci,
mattoni

Squarci dilanianti
di pareti sbriciolate
lampadari, vestiti,
divani

Oggetti personali
reliquie dissacrate
a memoria di un tempo
non lontano

Soffia forte il vento
si fa spazio tra le strade
incontrastato innalza
la polvere

E ruota nel silenzio
varcando quelle frane
in cui ogni cosa, promiscua,
si confonde

Ampi viali deserti
non si sente alcuna voce
le finestre sono chiuse
e le porte

Improvvisa un’inquietudine
un urlo strozzato e atroce
il 6 aprile, la notte oscura
a Sant’Elia

Case senza più abitanti
perduti nelle tende
fantasmi che aleggiano
altrove

Il palpito del nulla
del vuoto che si estende
in un malinconico,interiore
dolore

2 commenti:

Pablos Parigi ha detto...

Toccante...sentire una voce quasi tremante commentare quelle immagini di un vissuto da poco passato dopo una visita in quei luoghi è toccante...nelle parole della poesia s'odono rumori del dopo terremoto, urla, crolli e ancora urla nella notte e poi dopo tanto clamore inutile o forse no, nel mondo, s'ode soltanto il silenzio schernito da un forte vento che sposta le polveri e le getta negli occhi delle persone rimaste, che piangono quelle perdute e quello che hanno perduto. Grazie Fede..per queste emozioni!

Anonimo ha detto...

Poesia di alto livello! Grande Fede queste paroel che hai assemblato rendono benissimo i sentimenti del dolore e della frustrazione. Sento echi di Ungaretti nei tuoi versi... Complimenti. Daniele