lunedì 8 giugno 2009

Finchè c'è guerra, c'è speranza



Ieri pomeriggio, nella noia di un sonnacchioso pomeriggio domenicale, saltavo da un canale all’altro di quello scatolone amorfo chiamato tv alla ricerca di un qualche programma non troppo stupido. Non particolarmente speranzoso a che ciò si realizzasse, mi sono invece imbattuto nel faccione nazionalpopolare di Alberto Sordi, colto in una delle sue grandi interpretazioni in un vecchio film del 1974, Finchè c’è guerra, c’è speranza. La pellicola non passerà alla storia come capolavoro insuperabile; alcune scene sono a mio avviso piuttosto scontate, musiche e fotografia non sono certo memorabili. Tuttavia quando c’è un attore istrionico, sarcastico e pungente come Alberto Sordi, un film non può essere mai banale. Si affronta inoltre un tema assai delicato che non deve aver portato all’attore romano l’approvazione unanime dei poteri forti…

Sordi interpreta Pietro Chiocca, un rappresentante di una società che vende armi. Gira per il mondo, in particolare in Africa dove, nonostante la povertà estrema delle popolazioni, riesce sempre a stipulare lucrosi contratti. E’ un venditore meschino senza scrupoli, che non sembra mostrare alcun rimorso per quello che fa, e proprio per questo…è il migliore rappresentante sulla piazza. “Le armi non sono né buone né cattive, sono gli uomini che ne fanno un uso malvagio.” Lavandosi così la coscienza, riesce a farsi assumere dalla più importante azienda sul mercato che gli offre un ricco contratto e le migliori condizioni professionali. Grazie ad uno stipendio finalmente adeguato, può così soddisfare i bisogni fisiologici della moglie e dei figli che, come si conviene ad una ricca borghese, necessitano di vivere in ville lussuose con piscina, di viaggiare in jaguar o di organizzare feste in night privati. La sua carriera sembra non conoscere ostacoli, fino a che un imprevisto non rischia di far saltare tutto. Durante un viaggio di affari in Angola, un giornalista del Corriere della Sera gli propone un affare per conto delle truppe ribelli. Per trattare però, devono viaggiare attraverso la foresta: durante la traversata, il giornalista, che nel frattempo mostra tutto il suo ribrezzo per quel lavoro infame, osserva, prende appunti, scatta fotografie…Il perché di tutto questo Chiocca lo scoprirà al suo ritorno in Italia, quando un numero del Corriere svelerà i suoi loschi affari e la sua professione di “mercante di morte”. È il preludio alla parte conclusiva del film, nove minuti di grande intensità emotiva e di grande amarezza…

Concludo questa segnalazione, oltre che con l’invito a vedere il film per chi non lo avesse fatto, riportando il momento forse più significativo del film, lo sfogo di uno stanco Pietro Chiocca davanti alla sua famiglia. Una frase il cui senso riguarda tutti noi e che dovrebbe stimolare le nostre coscienze ad una maggiore riflessione sul nostro stile di vita:

"Perché vedete... le guerre non le fanno solo i fabbricanti d'armi e i commessi viaggiatori che le vendono. Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra che vogliono, vogliono, vogliono e non si accontentano mai! Le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano…costano molto e per procurarseli, qualcuno bisogna depredare. Ecco perchè si fanno le guerre..."

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