giovedì 21 maggio 2009

"La crisi economica può salvare il pianeta". Gli studenti d'Ingegneria a lezione di "Decrescita"

di Isabella Rossi

“Siamo in una crisi economica che rientra nelle normali fasi di contrazione o si tratta di una crisi sistemica?” Questo il quesito posto a Mauro Bonaiuti, docente di Economia presso le Università di Modena e Bologna e presidente delle Rete Italiana per la Decrescita, che su invito dell’Isf di Perugia, l’associazione Ingegneri senza frontiere, ha tenuto mercoledì pomeriggio nell’aula magna della Facoltà di Ingegneria una conferenza-dibattito dal titolo “Pensare la decrescita”.

Nessuna intenzione di creare allarmi, né di presentare l’ennesimo uovo di Colombo ai tempi della crisi economica mondiale. Ciò che preme al professor Bonaiuti è l’esplorazione del fenomeno crisi da una prospettiva multidimensionale, in cui l’economia è punto di partenza e di arrivo.

“Nel luglio 2008 il petrolio ha superato i 140 dollari al barile. Secondo alcuni studiosi potrebbe essere la bolla speculativa del petrolio ad aver innescato la crisi mondiale. In questo caso avremmo a che fare con una crisi sistemica”. La causa diretta non sarebbe il crollo dei mercati finanziari, come si sente insistentemente ripetere, ma il progressivo esaurimento della fonte “non rinnovabile” per eccellenza, il motore dell’intero pianeta. Tesi, ovviamente confutabile, a cui tuttavia fa da corollario una premessa metodologica inconsueta: la multidimensionalità. Se nessuno si aspettava una crisi di tale portata è per “l’incapacità degli economisti di leggere una realtà multidimensionale dovuta, in parte, alla tendenza a prendere modelli di riferimento dal passato”. Ovvero l’economia come processo lineare è mera illusione. Lo insegna “il principio di emergenza” secondo il quale al crescere di una dimensione economica si ha una “trasformazione della relazione tra le parti”. E il rapporto tra popolazione e risorse del pianeta si è fortemente modificato dal 1820 al 2000 in una crescita economica del pianeta senza precedenti.

Ma l’economia di mercato, responsabile della crescita, non è stata in grado di integrare la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio di mercato, organicamente e contestualmente presenti nell’ “economia umana”. L’ esclusione di questi elementi avrebbe generato danni all’umanità e all’economia. Questo, esemplificando, l’insegnamento di Karl Paul Polanyi, filosofo, economista e antropologo ungherese, a cui il movimento della Decrescita si inspira. Uno del tutto evidente è il danno ecologico.

Lo testimonia l’impronta ecologica globale (l’indice statistico che misura l'area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti, ndr) che oggi supera il 30% del fruibile. In altre parole “ci stiamo mangiando il futuro” secondo Bonaiuti. E non abbiamo risolto neanche il problema della povertà per il quale si è creduto che lo sviluppo fosse la soluzione.

In realtà la competizione internazionale, vinta da pochi, ha aumentato il numero dei poveri “che non hanno più niente da offrire al mercato globale”. Contro un uno per cento che possiede il 57 per cento delle risorse ci sono i milioni di persone che non possiedono più di due dollari al giorno. Altro effetto negativo è la “dissoluzione dei legami sociali” nella società di mercato, in cui gli oggetti, e non le relazioni con il prossimo, sono elementi costitutivi dell’identità personale. Per Bonaiuti sul grafico dello sviluppo senza fine è apparsa improvvisamente una curva.

“Mi capita di girare molto per l’Italia ma qui il livello di preparazione è davvero buono” si è complimentato il professore con gli studenti, che al termine del dibattito hanno sollevato quesiti, sferrato critiche ed espresso curiosità verso la teoria della Decrescita. Di fatto uno slogan, una provocazione o “una definizione di transizione volontaria verso una società equa, partecipata ed ecologicamente sostenibile”. Un ringraziamento particolare è andato al professor Gianni Bidini, rettore della facoltà di Ingegneria, che ha reso possibile l’iniziativa.

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