domenica 25 ottobre 2009

Morte a Natale (dallo spettacolo "Natale. Via Capo di Buona Speranza")


(Entra un ragazzo. E’ magrissimo, tutto vestito di nero; in viso porta dipinto un funereo pallore)

RAGAZZO: (Declamando) La morte! La morte
è un giorno!
La morte senza andata
e senza ritorno!
La morte, la morte
che sale!
La morte, la morte
a Natale!

(Passa in quel momento un signore, carico di pacchi e buste multicolore. Con gran fatica a causa dei pacchi, tira fuori due monete dalla tasca del cappotto e le getta sulla cappello del ragazzo)

RAGAZZO: Grazie… (Riprende a declamare)
La morte! La morte!
La morte…

SIGNORE: (Lo interrompe) Santo Cielo ragazzo!

RAGAZZO: Sì?

SIGNORE: Dio mio, non hai qualcosa di più allegro da recitare?

RAGAZZO: Perché?

SIGNORE: Ma che diamine, è Natale!

RAGAZZO: Fa qualche differenza?

SIGNORE: Ma sì…certo che la fa! Insomma, se non si sta allegri nemmeno a Natale!

RAGAZZO: E mettiamo il caso che io non abbia alcun motivo di essere felice…eh? Mettiamo, per puro caso, che io venga da una serie di catastrofi e di disgrazie impensabili…bhè, a questo punto che si fa? Si sta allegri ugualmente?

SIGNORE: No, no di certo…ma in quel caso il Natale diventa motivo di speranza…

RAGAZZO: Ah, già, che stupido! Non ci avevo pensato! E lei, se mi posso permettere, spera o è felice?

SIGNORE: Sono felice. Si capisce.

RAGAZZO: Lei felice? (Ride)

SIGNORE: Ti faccio ridere? Pensi che io non sia un uomo felice?

RAGAZZO: No, signore…in tutta onestà, non credo che lei sia felice!

SIGNORE: Ma come fai a dirlo se nemmeno mi conosci?

RAGAZZO: Oh, signore! Io la conosco e come! Sa, vivendo per strada si imparano tante di quelle cose…

SIGNORE: Per esempio?

RAGAZZO: Per esempio che lei non ha alcuna voglia di tornare a casa!

SIGNORE: Questa è bella! E perché mai?

RAGAZZO: Andiamo! Come può aver voglia di tornare a casa, fra quelle mura nauseanti di falso pulito, piene di camice stirate e di odore di cera per pavimenti…con sua moglie e sua suocera in bigodini a urlarle appena entra in casa: “LE PATTINE!”! E poi via, a spettegolare tutta la sera, su tutto e su tutti… “Lo sai caro? La figlia di Perotti è rimasta incinta! Ma abortirà…perché sai di chi è il figlio?”, e subito la suocera: “Di Coletti, l’operaio! Capito la figlia di Perotti messa incinta da un operaio!”, “Certo che questi figli…”…finché poi, stanche, se ne vanno a letto, e allora per lei viene il momento più bello della giornata…da solo, a sonnecchiare davanti al televisore guardando programmi sconci, telefoni erotici e roba del genere…

SIGNORE: Dio mio…

RAGAZZO: Ma ci parla mai con sua moglie? No…solo di affitto e di bollette…e le vacanze? Oh, già, le vacanze! Quindici giorni al mare perché lo iodio fa tanto bene ai bambini…

SIGNORE: (Con un filo di voce) Dio mio…è così…

RAGAZZO: Lo so…lo so che è così! E lì, code sull’autostrada, con sua moglie a maledirla perché non è partito un’ora prima o un’ora dopo…tanto quello che fa lei è tutto sbagliato… E poi il lavoro, costretto in quel misero ufficio, schiavizzato da lecchini e da untuosi minicapi…e sua moglie a dirle: “Bonetti, lui sì che è un uomo…tu invece…”, e così suo figlio è cresciuto pensando che suo padre fosse il peggior coglione del mondo! Ma perché? Perché l’ha sposata? Perché adesso non è fra le braccia di quella ragazza dolce dal viso pallido che sognava davanti alle onde del mare e che chiedeva solo un suo abbraccio?

SIGNORE: (Impietrito) Darla…

RAGAZZO: Scappi signore, scappi signore…lei è ancora in tempo!

SIGNORE: E tu, ragazzo?

RAGAZZO: Oh, mi lasci stare…non badi a me! Per me è troppo tardi, è tutto troppo tardi! Oh, se potessi riavere un solo misero fottuto secondo…sì, tornerei dalla mia principessa con gli occhi azzurri che sognava ad occhi aperti in riva al mare…Dio, com’era bella! Dio come l’amavo! Giuro signore, mi basterebbe riavere quel secondo, e ‘stavolta non me ne andrei…no, mi volterei, la rincorrerei e le direi sì, e poi ancora sì, e poi ancora sì…le direi sì, amore mio, abbracciami ancora, un altro sogno amore, un altro ancora piccola mia…(urla) Ma non posso! Vede, la vede questa mia mostruosa magrezza, il mio volto scavato come quello di un morto? Ho l’AIDS signore…ho l’AIDS…sono fottuto, non ho scampo! E allora…allora non mi dica di dover essere felice…non posso far altro che cantare la Morte…la Morte a Natale….(Pausa) Dev’essere triste morire a Natale, davvero triste….(in lacrime) La prego, almeno lei, non mi dimentichi…pensi ogni tanto a me, a quel ragazzo mezzo morto col viso triste che, per caso, in una qualunque vigilia di Natale, le ha lasciato il suo testamento…la prego, non mi dimentichi…me lo prometta! (Il signore annuisce) Grazie…e ora mi scusi, ma devo tornare al mio lavoro…

SIGNORE: Non so nemmeno come ti chiami…

RAGAZZO: Non ha importanza signore…mi basta che lei si ricordi dei miei occhi…Addio, signore…

SIGNORE: No, aspetta! Perché addio? Lavori sempre qui, in questa strada, vero? Verrò a trovarti domani…

RAGAZZO: “Domani”... che parola! Vorrei tanto poterla usare! Addio signore!
(Esce il signore)

RAGAZZO: (Uscendo) La morte! La morte
è un giorno!
La morte senza andata
e senza ritorno!
La morte! La morte
che sale!
La morte! La morte
a Natale!
(Esce)

(SIPARIO)


RICCARDO LESTINI, 2001

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mercoledì 21 ottobre 2009

Le donazioni del sangue, la situazione generale in Umbria. Intervista ad Andrea Motti, presidente AVIS Perugia


Partiamo con una descrizione sulla situazione delle donazioni di sangue in Umbria. Quanti donatori ci sono nella nostra regione? Tale dato è in linea con quello delle altre regioni d’Italia? E soprattutto, questo numero è sufficiente a soddisfare il fabbisogno di sangue necessario?
Attualmente in Umbria ci sono circa 27 mila donatori che fanno della nostra regione la quarta in Italia per incidenza percentuale sulla popolazione. Questo è sicuramente un dato positivo, anche tenendo conto dell’età media elevata degli abitanti (l’Umbria è, dopo la Liguria, la regione con il più alto indice di invecchiamento). Il loro numero peraltro aumenta costantemente anno dopo anno, così come quello delle donazioni effettive di sangue. Per quest’ultime non siamo posizionati tanto bene come lo siamo invece per i donatori, ma ciò dipende anche da una scelta fatta dalle Avis e dalle strutture sanitarie locali, che hanno puntato ad una quantità minore di donazioni per ogni singola persona (come misura di prevenzione del donatore stesso). Rimane tuttavia una forbice del 5-10% tra il sangue raccolto e il fabbisogno effettivo, una discrepanza che nel corso degli anni non si è riusciti a colmare. Si è costretti così ad importare il sangue necessario dall’estero, con conseguenze economiche non trascurabili. Considera che lo stato italiano spende mediamente una cifra intorno ai 700-800 milioni di euro all’anno per comprare sangue ed emoderivati. Prova ad immaginare quanti altri servizi sanitari potrebbero essere coperti se riuscissimo a soddisfare autonomamente tale fabbisogno...

Quali sono i motivi per cui, nonostante l’aumento delle donazioni, questa discrepanza non è stata ancora saldata?

Per quanto riguarda l’Umbria diciamo che sono fondamentalmente due, entrambi peraltro con una valenza positiva. Da una parte infatti, si è registrato un aumento della vita media delle persone che ha determinato un incremento della domanda (in effetti, le persone anziane hanno statisticamente dei consumi di sangue più elevati rispetto alle fasce medie). Il secondo motivo è che nella nostra regione vengono oggi praticate nuove tecniche di intervento chirurgico - impensabili fino a 10-15 anni fa - che richiedono un fabbisogno di sangue sempre crescente. Per dare un’idea, in alcune operazioni al fegato possono essere utilizzate (prima, durante e dopo l’intervento) anche 80 sacche per persona. Tenendo conto che un donatore può donare al massimo solo una volta ogni tre mesi, capisci quanto sia importante avere sempre molto sangue a disposizione.

In questo contesto, qual è il contributo dei giovani alle donazioni? E quali sono le difficoltà maggiori che ostacolano un loro maggiore coinvolgimento?
Nei ragazzi c’è un’alta disponibilità alle donazioni e di giovani se ne avvicinano realmente moltissimi. Possiamo dire che la fascia di ragazzi tra i 18 e i 30 anni rappresenta circa il 20% dei donatori complessivi. Qual è però la grossa difficoltà che riscontriamo con loro? Il problema è quello delle non idoneità temporali ai prelievi di sangue. Un donatore può essere sospeso per una o più donazioni per i motivi più disparati, dalla prescrizione di farmaci non compatibili, all’insorgere di influenze o altre malattie, fino ad un uso eccessivo di alcool. Ebbene, tra i donatori fino ai 30 anni di età, circa il 30% risulta temporaneamente non idoneo ai test sanitari che vengono fatti prima dei prelievi. Questo è purtroppo un dato molto alto, elevatissimo soprattutto nei maschi, e che è causato da stili di vita non corretti (soprattutto a causa del poco sonno e dell’abuso di alcool). Tale tendenza si è oramai consolidata negli ultimi 7-8 anni e non sembra accennare a diminuire. E peraltro i dati a nostra disposizione riguardano esclusivamente i giovani che si avvicinano alle donazioni...Come Avis, noi cerchiamo di rivolgerci ai giovani con numerose campagne di sensibilizzazione (andando nelle scuole, nelle discoteche o nei momenti aggregativi di ogni paese). Noi cerchiamo il loro apporto perché è necessario assolutamente un ricambio generazionale anche tra i donatori. Al giorno d’oggi, per fortuna, non si muore più per carenza di sangue, tuttavia essa rappresenta ancora un problema negli ospedali italiani. Non avere disposizione di sangue può significare allungare i tempi di chiamata per una certa operazione o un certo intervento, creando così disagi anche notevoli a persone che soffrono di gravi malattie (un problema cronico soprattutto in estate). E solamente con una partecipazione attiva e motivata di giovani, possiamo sperare di invertire la tendenza e raggiungere finalmente l’autosufficienza.

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lunedì 19 ottobre 2009

Serge Latouche, il profeta della decrescita economica


di Isabella Rossi

Una folla di fan entusiasti ha invaso martedì scorso palazzo Donini. A Perugia, nel corso delle celebrazioni capitiniane 2008-2009 promosse dalla Regione Umbria, l’attesissima e seconda visita ufficiale - dopo quella del 1993 - di Serge Latouche, economista francese e profeta della “decrescita serena”. Non poche le analogie tra il pensiero di Aldo Capitini, il filosofo perugino ideatore della “Marcia della Pace”, e quello del professore emerito di Scienze Economiche, come ha sottolineato Luciano Capuccelli, presidente della Fondazione Aldo Capitini. Ma la lectio su “la decrescita come uscita dalla crisi” è partita con un’amara constatazione: “Assistiamo in diretta al crollo della civiltà occidentale. Per l’impero romano ci sono voluti secoli, per noi sono meno di trent’anni.” La crisi finanziaria scoppiata nel 2008 è, secondo Latouche, il frutto di una crisi economica globale iniziata molto tempo prima. “Già nel 1974 era in atto la crisi del fordismo. La vita del capitalismo si è protratta attraverso la bolla speculativa, e ora la crescita non è più possibile”. L’utopia dello sviluppo infinito, inaugurata dal Saggio sulla ricchezza delle nazioni (1776, ndr) di Adam Smith, è stata smentita nei fatti: “l’arricchimento ha riguardato solo una ristretta cerchia di borghesi, non i contadini né gli artigiani”. A partire dal 1850 è stata l’adozione del sistema termoindustriale, a rendere concreta l’utopia della crescita infinita proseguita, dopo la seconda guerra mondiale, con lo sfruttamento dei pozzi di petrolio. “Potenti schiavi meccanici al servizio dell’uomo” e una fede cieca nella crescita non hanno potuto evitare lo scontro con la realtà. Ma come è stato possibile tenere in vita l’utopia collettiva dello sviluppo infinito? Il meccanismo su cui si basa, ha illustrato l’economista, ha tre capisaldi: il marketing, il credito e l’obsolescenza programmata. Attraverso la pubblicità, soprattutto televisiva, “che fa girare 500 miliardi all’anno di dollari”, si è avuta la colonizzazione dell’immaginario collettivo, la tragica trasformazione dell’homo sapiens in “bestia consumans”. Gli effetti collaterali sono l’inquinamento spirituale, visivo ed acustico, e una fuorviante immagine del femminle. E’ proprio grazie all’incoraggiamento al credito ad ogni costo che le famiglie statunitensi si sono indebitate fino all’eccesso, ma “nel 2007 il sistema è crollato”. L’obsolescenza programmata trova un emblematico esempio nelle migliaia di cellulari buttati, perché resi obsoleti dalle tendenze programmate, contenenti un metallo raro, il coltan, “per il quale si è fatta una guerra nel Congo”. Un totalitarismo soft, quello della società dei consumi, secondo Latouche, ma pur sempre un totalitarismo. Ancora più drammatica la situazione dell’ambiente: “anche evitando di bruciare petrolio alla fine del secolo ci saranno almeno due gradi di riscaldamento del pianeta”. Ma, avverte l’economista, “se tutto va bene saranno 6 gradi”. Quarant’anni fa era possibile evitare la catastrofe, “ora la possiamo solo gestire per limitarla”. E avverte Latouche, “gli immigrati dal sud del mondo non saranno migliaia, ma centinaia di milioni. Paradossalmente il minor consumo indotto dalla crisi mondiale ha avuto un effetto positivo per l’ambiente, ma la disoccupazione è una tragedia per l’uomo. Ecco perché occorre uscire da una società della crescita ed inventare altri modelli. Quello della decrescita, puntualizza Latouche, è solo uno slogan, una provocazione in grado di mettere, per così dire, il dito sulla piaga. Sobrietà dei consumi, “crescita della gioia di vivere e del benessere” contro la demonizzazione della povertà misurata, “in cui un tempo si viveva senza vergogna” . Mentre ora “ad amministrarci è la mano invisibile dei mercati finanziari”, proprio questi concetti sono estranei al pensiero unico dello sviluppo infinito, secondo cui solo il consumo è il veicolo di felicità. Rivoluzionario, dunque il progetto della decrescita, “che vuole essere soprattutto matrice di alternative, che rendano possibile la creazione di un futuro sostenibile”. Niente soluzioni chiavi in mano. Non un passpartout per ogni paese, ma principi inspiratori, “ogni schema deve essere calato sul luogo”. Ad esempio “raccolta differenziata al posto dell’inceneritore” cita il professore incassando un applauso dai presenti, o produrre e consumare a chilometri zero. Utopie? Non per Latouche, che nel frattempo un suo programma per la Francia l’ha già stilato, “riuscendo addirittura ad essere eletto”. Inutile, dunque cercare di liquidare il suo progetto culturale con facili etichette. La sua forza maggiore, proprio come è accaduto per Capitini, la trae dal basso, dall’inspirazione della consapevolezza e della coscienza di ogni singolo individuo, a cui instancabilmente fa appello.

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giovedì 15 ottobre 2009

BELLA CIAO (monologo di Riccardo Lestini)


Entra Stella, spingendo una bicicletta.

STELLA
V’è mai capitato d’ammazzare qualcuno? V’è mai capitato di non sapere se l’uomo che v’è caduto davanti l’avete ammazzato voi o no? V’hanno mai ammazzato un caro davanti agli occhi?
Io ero una bambina…avevo quattordici anni e solo una bambola…non avevo nemmeno questa qui (indica la bicicletta), lei è venuta dopo e non era nemmeno la mia. Me l’aveva lasciata lui…anzi, diciamo che me la sono presa, ma dopo tanti giri mi sembrò giusto che a tenerla fossi proprio io. Lui era più grande di me, di anni ne aveva diciannove e suonava la fisarmonica. La sera in piazza, d’estate, suonavano sempre, lui e gli altri amici suoi. Ed erano sempre ubriachi. Li chiamavano gli anarchici, perché erano quasi tutti di famiglie tenute d’occhio e perché non c’erano mai alle parate né ai raduni della Gioventù. Ogni tanto passavano qualche guaio, ma niente d’importante. Loro erano ragazzi e in paese li lasciavano stare. Ce l’avevano con i loro padri semmai…ai ragazzi si limitavano a prenderli in giro.
A quattordici anni impazzivo per le feste, ma la mia preferita era quella dell’otto agosto. Quella sera la piazza era…era la musica della banda, era la mia gonna leggera e i miei fermagli ai capelli, era i miei sguardi incantati e i falò lungo le strade per i poggi…Lui ovviamente era lì con la sua fisarmonica, ma sbagliava sempre gli accordi perché…perché mi guardava in continuazione, guardava me e solo me. E io quegli sguardi me li sentivo tutti addosso, uno dopo l’altro, e dio mio non avevo più fiato e il cuore senz’altro m’è scoppiato addosso quando mi ha sorriso. E volavo, volavo davvero mentre tornavo a casa lungo la discesa dietro la piazza…e chi se lo scorda più come sono saltata quando mi sono sentita chiamare “Stella!”, proprio così…era lui che mi chiamava per nome, lui tutto ubriaco e sudato, lui che mi chiedeva di riaccompagnarmi a casa. Mi ha raggiunta, mi ha preso sottobraccio e parlava, parlava…una raffica di parole che facevo quasi fatica a stargli dietro. Ma ero già innamorata.
Dopo quella sera, lui passava a casa mia tutti i giorni. Arrivava al tramonto, appena finito di lavorare. E arrivava sempre con questa qui, e scampanellava forte per chiamarmi. Parlavamo, lui fumava due sigarette e poi tornava a casa. Poi un giorno andò da lui mio padre e gli disse: “Sono contento che vieni qui tutti i giorni, basta che non metti Stella nei guai con le tue idee”. Lui glie lo promise, e da allora anch’io potevo andare a trovarlo. Andavo a mezzogiorno, gli portavo qualcosa da mangiare e un paio di sigarette. Perché a casa mia c’erano sempre, le sigarette. Mio padre era postino, e quando consegnava la posta a qualche signore gli regalavano sempre uova, polli e sigarette.
Eravamo fidanzati. Lui veniva a prendermi anche la domenica dopo la messa. E una di quelle domeniche io gli dissi: “non mi portare subito a casa”. Allora prendemmo una stradina che portava dritta alla macchia. Siamo rimasti in piedi, sotto un cipresso, a guardarci per non so quanto tempo. Poi io ho preso il suo volto tra le mie mani e l’ho portato contro il mio petto profumato. Lui ha sollevato il viso ad occhi chiusi, annaspando con le labbra fino a trovare le mie. Era il nostro primo bacio.
Qualche mese dopo scoppiò la guerra. Noi continuavamo ogni giorno a stare insieme, sempre di più. Ogni giorno passava a prendermi e ogni giorno mi montava qui sopra (indica la canna della bicicletta), e mi portava a fare un giro per i campi. Partivano tutti i ragazzi, ma lui no. Lui e quelli che chiamavano gli anarchici no. Avevano dei permessi speciali che gli procurava chissà chi. Dopo seppi che era un medico amico dei francesi a farlo, ma allora non sapevo niente. Ogni tanto spariva, si riunivano di nascosto da qualche parte. Io provavo a chiedergli qualcosa, ma lui non diceva mai niente. Diceva solo “Ho promesso a tuo padre di non metterti in mezzo”.
Intanto arrivava l’autunno e dei ragazzi partiti non tornava nessuno. Un giorno, dopo aver girato a lungo in bicicletta, gli chiesi di fermarsi in un enorme campo di grano. Io avevo già deciso dal giorno prima: volevo diventare donna, subito, immediatamente. Volevo fare l’amore lì, in quel campo. Lui provò a dire di no, a dire che aveva promesso anche di rispettarmi. Ma io gli dissi “domani potremmo essere morti”, e lui non parlò più. E fu bellissimo.
L’otto settembre fu un fuggi fuggi da incubo. Aspettavano quel giorno da mesi, e quando arrivò tutti i ragazzi scapparono. Lui venne da me trafelato, in bicicletta, con una pistola che gli spuntava dalla tasca dei pantaloni. Non mi disse dove andava, mi disse solo di stare tranquilla e che sarebbe tornato appena avrebbe potuto. Ricompariva di rado, sempre all’improvviso, sempre senza avvisare, sempre più magro e stanco. E restava sempre pochissimo. Ma io insistevo, volevo sapere tutto, volevo aiutarlo, lui e tutti gli altri ragazzi. E non m’importava della promessa che aveva fatto a mio padre. Questa era una scelta mia e solo mia, e dovevano rispettarla tutti. Una sera allora mi portò alla macchia…tutti i ragazzi sembravano come impazziti, erano ragazzi di vent’anni che facevano una festa con la musica e il vino. Avevano fatto saltare un ponte, era andato tutto benissimo e non si tenevano dalla gioia. Lui mi prese per mano e fuori dalla cascina dove abitavano mi disse: “quando finisce la guerra, ti sposo!”.
Lo presero, d’inverno, nel ’44. Ci fu un rastrellamento terribile. Gli altri riuscirono a scappare, lui no. Lui era in paese dai suoi. Le SS sfondarono la porta di casa sua con un calcio e lo portarono via davanti gli occhi di sua madre. Lo portavano chissà dove. A me lo dissero soltanto la sera. Avevo un dolore così potente che non riuscii nemmeno a piangere. Ma sapevo già cos’avrei fatto: presi questa bicicletta che mi aveva regalato tante gioie e raggiunsi gli altri ragazzi nel loro nuovo nascondiglio. Sarei stata dei loro. Avevo una bicicletta e un mestiere ereditato dal destino: la postina. Avrei cominciato a fare la postina per loro, in guerra, da clandestina. A mio padre dissi che quest’idea me l’ero messa in testa da sola. E gli dissi di stare tranquillo: avremmo vinto noi.
Più d’un anno c’ho passato qua sopra (indica la bicicletta), un anno e passa di corse e rincorse, di messaggi cifrati e lettere segrete in borsa, un anno e passa di posti di blocco e occhi dolci alle SS per passare indenne ai controlli. E di lui nessuna notizia.
Un anno e passa in bicicletta con la morte addosso. Perché anch’io sparavo. E la morte era sempre lì, nei compagni che ti cadevano ai piedi, nelle pallottole che ti sfioravano la fronte, nelle raffiche delle fucilazioni che sentivi a valle. Uno l’ho ammazzato. Era un ragazzo, avrà avuto venticinque anni, era un ragazzo ed era tedesco, era un ragazzo ed era una SS. È stato un attimo, solo io e lui nel buio dell’inizio di una rappresaglia. Non so se ne ho ammazzati altri. Quando c’erano le battaglie a valle, non sapevi mai se quelli che cadevano li avevi colpiti tu o qualche altro tuo compagno.
Sono scesa di bicicletta solo a guerra finita. Quella sera tornarono i fuochi e tornarono i falò, si sparava a festa e io pensavo solo a lui, a lui che non tornava mai, a lui che probabilmente non sarebbe mai tornato. La guerra era finita, non avevo ancora vent’anni e già m’avevano strappato via l’amore dal cuore per sempre.
E invece tornò. Tornò secoli dopo, quando nessuno l’aspettava più. Tornò stremato, magro da far paura, ammalato ma vivo. L’avevano portato a Modena. Poi in Germania, a Bergen-Belsen, campo di sterminio. Aveva gli occhi intrisi di cose che non avrebbe mai potuto raccontare. Avrebbe avuto notti e incubi che nessuno avrebbe mai saputo e che neanch’io sapevo. A me sarebbe toccato svegliarmi con lui e riacciuffarlo per la stanza, accarezzargli i capelli e sussurrargli che tutto andava bene. Ma era tornato, e non importava nient’altro.
Quando me lo dissero non feci altro che riprendere la bicicletta e pedalare come una pazza fino a casa sua. Volavo, volavo davvero. Appena arrivata riuscii a dirgli soltanto “ti ho riportato la bicicletta”. E lui rispose “vuoi sposarmi?”. E finalmente piansi, finalmente piansi tutte le lacrime vecchie di due anni.
Non lo so se abbiamo vinto noi oppure no. So soltanto che lui me l’hanno ammazzato anche se era riuscito a tornare. Me l’hanno ammazzato lo stesso, qualche anno dopo. Me l’hanno ammazzato perché quand’è tornato aveva venticinque anni e camminava con un bastone…aveva venticinque anni e un cuore debole debole. Me l’hanno ammazzato e ci hanno lasciato sole, me e nostra figlia, che è nata un anno dopo che ci siamo sposati.
Non lo so se abbiamo vinto noi oppure no. So soltanto che ogni volta che mi perdo da sola a girare su questa bicicletta e alzo gli occhi al cielo, penso a lui e quel giorno, quando ho preso tra le mani il suo viso e l’ho portato contro il mio petto profumato…penso al suo capo che si solleva lentamente e ad occhi chiusi…penso alle sue labbra che annaspano fino a trovare le mie…penso al nostro primo bacio…
Penso al nostro amore.

RICCARDO LESTINI, da "Storie d'amore e di bicicletta" (2005)


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lunedì 12 ottobre 2009

Serge Latouche a Perugia


Il filosofo economista e sociologo, Serge Latouche, terra' martedi' 13 ottobre (ore 16.30, Palazzo Donini) a Perugia, una ''Lectio Magistralis'' in onore delle celebrazioni ad Aldo Capitini su ''La decrescita come uscita dalla crisi''. Latouche, professore emerito di scienze economiche alla Universita' di Studi di Paris-Sud e presidente della Ong ''Ligne d'Horizion'', e' oggi l'ispiratore e il maggior teorico del movimento della ''decrescita'' (termine usato per la prima volta dall'economista romeno Nicolae Georgescu-Roegen). La ''decrescita'' rappresenta per Latouche una critica radicale dei processi di crescita economica illimitata e della modernita' intesa come ''occidentalizzazione del mondo''.

Essa implica - e' detto nella presentazione dell'iniziativa - un'opera volta a decolonizzare il pensiero e l'immaginario collettivo che accettano il saccheggio delle risorse e l'impoverimento del pianeta. Le complesse proposte del teorico della decrescita, che negli ultimi suoi lavori viene modulata come ''acrescita'', tendono al recupero, nella concretezza dei rapporti sociali, dei valori dell'altruismo, dell'onesta', della bonta'. L'iniziativa - spiega una nota - promossa nell'ambito delle celebrazioni del quarantennale della morte di Aldo Capitini e presieduta da Claudio Carnieri, Presidente dell'Agenzia Umbria Ricerche, sarà presentata da Luciano Capuccelli, Presidente della Fondazione Aldo Capitini.

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giovedì 8 ottobre 2009

Finmeccanica rimoderna gli Apache britannici

di Stefano Ferrario (per altri articoli dello stesso autore sulle commesse di Finmeccanica, clicca qui).

Il 6 ottobre AgustaWestland, l’azienda trainante del gruppo Finmeccanica che ha accumulato, da sola, un quarto degli ordini complessivi di Finmeccanica per un valore di 10.610 milioni di euro, ha annunciato una nuova super commessa. Il contratto è con il Ministero della Difesa inglese, di entità pari a 439 milioni di sterline (circa 480 milioni di euro), per l’ammodernamento dell’intera flotta di 67 elicotteri “Apache”. Il famigerato “Apache”, di produzione della Boeing, operativo per gli eserciti degli Stati Uniti, del Regno Unito e di Israele, è un elicottero da combattimento tuttora impiegato dagli inglesi nelle guerre in Iraq e Afghanistan. L'armamento principale è costituito da un cannone automatico calibro 30 mm. Può essere equipaggiato con una combinazione di missili anticarro, razzi e missili aria-aria agganciati alle alette laterali. La tecnologia italiana permetterà agli “Apaches”, come sperano gli inglesi, una vita lunga 22 anni, quando questi elicotteri saranno posti definitivamente fuori servizio. L’ammodernamento si situa nel programma IOS (Integrated Operational Support), supporto operativo integrato, che garantirà agli elicotteri una maggiore disponibilità operativa e assicurerà, al contempo, una riduzione dei costi di gestione della vita operativa degli elicotteri. Giuseppe Orsi, amministratore delegato di AgustaWestland, ha dichiarato: “il contratto IOS per l’Apache è un’ulteriore dimostrazione del nostro costante impegno con il Ministero della Difesa britannico al fine di fornire soluzioni innovative e vantaggiose sotto il profilo del rapporto costo-efficacia. Questo contratto, che segue quelli simili già firmati con il Ministero della Difesa britannico per gli elicotteri Sea King e Merlin, garantirà importanti benefici per i reparti di prima linea e, al contempo, una significativa riduzione dei costi.” Nell’aprile del 2005 AgustaWestland si era già aggiudicata il primo contratto IOS per la flotta di elicotteri “Sea King” delle forze armate britanniche. A questo contratto era seguito, nel marzo 2006, quello riguardante il supporto operativo degli elicotteri AW101 “Merlin” (l’elicottero che è all’origine della joint-venture tra Agusta e Westland). Il concetto di supporto operativo integrato, fa notare l’azienda, sta suscitando sempre più interesse anche da parte dei clienti AgustaWestland al di fuori del Regno Unito. Sottolineiamo che il contratto consentirà l’ammodernamento della flotta di elicotteri “Apaches” tra l’inizio del 2010 e il 2014.


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martedì 6 ottobre 2009

ANDATE A MORIRE AMMAZZATI (linguaggi e linciaggi ai tempi di Silvio B.)


È difficile, se non impossibile, riuscire a comprendere la ragione del perché un ministro della Repubblica possa urlare in mondovisione ai suoi avversari politici una frase come “andate a morire ammazzati”, e poi, chiamato a rispondere sulla grave questione, liquidi il tutto dicendo che si trattava soltanto di un’innocente frase “ironica”. Eppure, leggo dal vocabolario, ironia “deriva dal greco eiron”, e si usa quando si dice qualcosa “intendendone un’altra”, creando “un effetto di stacco tra il significato superficiale di una dichiarazione e il suo significato nascosto”. Dov’è allora, caro ministro Brunetta, il significato nascosto di una frase truce, volgare e obbrobriosa come “andate a morire ammazzati”? Non capisco, non capisco proprio.

Forse è abbastanza inutile e ridicolo cercare spiegazioni. Forse occorre semplicemente ammettere che la deprimente rivoluzione socioculturale compiuta ai tristi tempi di Silvio B. è riuscita anche a sovvertire idiomi e linguaggi, distorcendo, rovesciando e cancellando i significati originari e secolari delle parole. Impresa che non era riuscita nemmeno al regime fascista, che pure al linguaggio aveva dedicato attenzione maniacale (vedi l’epurazione dei termini anglofoni e dei francesismi, oppure l’uso e l’abuso di ampollosità retoriche ed enfatiche d’ogni sorta). Ai tempi del ventennio il mussoliniano “me ne frego” significava esattamente “me ne frego”, “eia eia alala” nessuno lo capiva, ma era un antico grido di guerra greco ripreso da D’Annunzio, usato appunto dal Duce per incitare la Patria in armi; ai tempi di Silvio B. invece, “ironia”, in barba a qualsiasi derivazione etimologica, diventa di colpo sinonimo di insulto, offesa, turpiloquio.

E se le parole cambiano e stravolgono il loro significato originario, figuriamoci le azioni che ne conseguono. Ecco allora che “delinquenziale” (tra l’altro, che brutta parola…) non è il fatto che un ministro auguri ai suoi avversari politici una violenta morte di massa, ma è “delinquenziale” (ripeto, parola terrificante…) che un programma televisivo (leggi Santoro) si interroghi sul perché un Presidente del Consiglio non solo trascorra serate circondato da professioniste del sesso, ma che le proponga anche come candidate al Parlamento Europeo. E rovesciato, di conseguenza, è anche il significato della parola “competenza”, termine invece straordinario, che fonde i concetti di “conoscenza” e “capacità”: “essere competente di…”, un tempo, voleva dire che quella persona conosceva profondamente quella data cosa e, soprattutto, era capace di farla e applicarla. Quindi per fare qualcosa, qualsiasi cosa, occorreva esserne competenti: fare politica voleva dire aver militato a lungo nelle sezioni, conoscere la costituzione, le leggi, possedere capacità dialettiche, conoscere a fondo quei settori in cui, attraverso l’azione politica, si intendeva intervenire. Ai tempi di Silvio B., che voleva riempire le sue liste per le europee di vallette, starlette, escort e via dicendo, la competenza non ha più alcun significato. Platone, cinque secoli prima di Cristo, scriveva che il malfunzionamento degli Stati era l’inevitabile conseguenza della mancanza di competenze, del fatto di come gli uomini fossero collocati nei posti sbagliati. Ma questo era Platone, un filosofo, un sapiente, un uomo che viveva di e per la cultura, un uomo che un tempo sarebbe stato un modello, un punto di riferimento. Non oggi, ai tempi di Silvio B., quando e dove il modello princeps è uno come Flavio Briatore, uno che a ogni benedetta intervista non si stanca di vantarsi come non abbia mai letto un libro in vita sua, di come la scuola sia stata una colossale perdita di tempo.

Capita, ai tempi di Silvio B., che lo stesso termine “coraggio” risulti svuotato del suo nobile significato (deriva dal latino “cor, cordis”, cuore, inteso sia fisicamente sia moralmente): quello di un ragazzo come Roberto Saviano, che è riuscito a smascherare e a denunciare (con la sola forza delle parole) il clan camorrista più potente del mondo, e che adesso è costretto a vivere da braccato e ad avere come migliori amici i cinque uomini della sua scorta, non è “coraggio” ma è, come non smette un attimo di ricordare la banda dei vari Fede, Feltri, Giordano e Belpietro, “tornaconto personale”, “pubblicità”, “guadagno economico”, “culto di se stesso”, “smania di apparire”. Ai tempi di Silvio B. è la lotta di Saviano alla camorra la vera “smania di apparire”, non la nullafacenza delle centinaia di “concorrenti” dei reality show che affollano a qualsiasi ora i palinsesti della televisione generalista.

E a proposito di “culto di se stesso”…ai tempi di Silvio B. è ovviamente Saviano a fare pubblico culto di se stesso scrivendo un romanzo di denuncia come “Gomorra”, non lo stesso Silvio B., il quale, oltre ad essersi autoproclamato “miglior presidente del consiglio della storia della Repubblica”, si gongola tronfio nelle svariate canzoni (canzoni?) a lui dedicate. Con le canzoni Silvio B. era partito soft, con un inno quasi innocente e per lo meno “pluralista”: “E Forza Italia…e siamo tantissimi…”. Poi quel “noi” dell’inno è gradatamente sparito lasciando spazio all’ego debordante del premier: “c’è un sogno che vive dentro di noi/ siamo la gente della libertà/ presidente siamo con te/ meno male che Silvio c’è”. Al di là della metrica terrificante (la rima “c’è/te” è da brivido), l’apoteosi è stata toccata con l’ultima canzone (canzone?), “La pace può”, colonna sonora ufficiale per la candidatura di Silvio B. al nobel per la pace (nobel per la pace?). Una voce lirica similbocelliana canta, pomposa e barocca: “C’è un presidente/ sempre presente/ che ci accompagnerà/ Siamo qui per te/ cuore ed anima/ un Nobel di pace/ Silvio Silvio grande è”. Credo che, in quanto a “culto di se stesso”, nemmeno Stalin sia arrivato a tanto. “Silvio Silvio grande è”…alla fine, viene quasi voglia di rimpiangere “Faccetta nera”.

RICCARDO LESTINI, 3 ott. 09

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giovedì 1 ottobre 2009

Ritorna Altrocioccolato, Gubbio 16-18 Ottobre




Cioccolato, il dolce e l’amaro dei nostri tempi
Torna a Gubbio Altrocioccolato, IX edizione della kermesse dedicata al gusto e al consumo consapevole. Dal 16 al 18 ottobre 2009, tre giorni di dibattiti, convegni e spettacoli; la mostra mercato e altri appuntamenti. Il tema dell’accoglienza al centro della manifestazione. Leit-motiv dell'edizione 2009 sarà la “Festa equosolidale dell'Accoglienza”, a supporto della creazione di modalità d'integrazione dell'immigrato, di relazioni interetniche e di percorsi identitari dei migranti.
Torna a Gubbio Altrocioccolato, e questa è già una notizia. Altrocioccolato vince anche quest’anno la propria scommessa, prima fra tutte quella di continuare a esistere. Una festa del gusto unica nel suo genere dove i sapori si affiancano ai saperi. Per nulla paragonabile ad altre manifestazioni, Altrocioccolato si regge grazie e soprattutto all’impegno e alle energie profuse dai volontari delle Botteghe del Commercio Equo; un impegno grazie al quale un pubblico sempre più numeroso e vasto potrà avvicinare e conoscere i temi del consumo critico e responsabile, un modo concreto di costruire un mondo più giusto e solidale.
Protagonista indiscusso sarà il cioccolato, scelto come simbolo dolce e amaro dei nostri tempi. Assaggi, degustazioni guidate e prodotti d’eccellenza provenienti dall’Italia e dai paesi produttori di cacao. Stand ricchi di bontà artigianali e di golosità attendono i visitatori.
La mostra mercato vedrà come protagonisti gli attori dell’economia solidale e sostenibile, espressione di un modello produttivo capace di coniugare innovazione e sostenibilità ambientale, economia e giustizia, senza lasciare in secondo piano la qualità dei prodotti.
Ci saranno anche i produttori biologici locali e gli artigiani del Movimento Arti e Mestieri in strada, da anni presenza costante ad Altrocioccolato.

Musica, seminari e approfondimenti
Tanti i momenti musicali inseriti nella manifestazione. Si partirà il 16 ottobre alle 21.30 con l’omaggio a Fabrizio De Andrè affidato al Piccolo Circo elettroacustico Eianda. Sabato 17 dalle 11.00 alle 21.00 all’interno del “Festival di musica itinerante e arte di strada” sarà la volta di Associazione “Il brigante” – suoni e danze di Calabria, My!Laika (kunst-cirque) – circo teatrale con Elske (Olanda), Salvatore (Italia), Philine (Germania) e Paola Brilli Truccabimbi.
Sempre sabato, alle 20.30 presso il ristorante equosolidale e biologico “Arconi” di Via Baldassini si esibirà in un'anteprima musicale Baba Sissoko con “Fragments” e alle 22.00 Tam Tam Morola e ancora “Baba Sissoko solo in concerto”.
Nella mattinata di domenica ancora spazio al “Festival di musica itinerante e arte di strada”; chiuderà la manifestazione un Concerto-incontro tra la musica italiana e la cultura musicale gitana rom, con l'esibizione del gruppo Itinerari sonori “Il Viaggio” e Bruskoi Prala

Seminari e approfondimenti
Spazio come sempre per l’approfondimento e l'attualità. Due gli appuntamenti in programma: venerdì 16 ottobre presso la Saletta degli Affreschi in Piazza Grande si svolgerà l'incontro con la cultura rumena organizzato da GSI.
Sabato 17 sarà la volta del seminario campagna “Diritto al cibo”. Partecipano Norma Velasquez, rappresentante di Minka, Perù, Marco Costantino ricercatore sul progetto Minka.

Spazio bimbi
Per i bambini saranno tre giorni di giochi e colori per le vie del centro di Gubbio.
Particolare attenzione Altrocioccolato la riserva infatti ai più piccoli, attraverso vari laboratori e spettacoli che si terranno nei giorni di sabato 17 e domenica 18, curati da Tieffeu, mentre vie e piazze saranno riempiti dai suoni e dalle performance di diversi artisti.

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